Il capitalismo della sorveglianza: benvenuti nell’era del totalitarismo digitale (di Shoshana Zuboff)

Il capitalismo della sorveglianza, appropriandosi di libertà e conoscenza, e distaccandosi dalle persone, con le sue ambizioni collettiviste e la sua indifferenza radicale, ci spinge verso una società nella quale il capitalismo non è sottoposto a istituzioni politiche o economiche inclusive. Dobbiamo considerarlo una forza profondamente antidemocratica, e non sono la sola a pensarla così. […]

Feb 7, 2025 - 10:14
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Il capitalismo della sorveglianza: benvenuti nell’era del totalitarismo digitale (di Shoshana Zuboff)

Il capitalismo della sorveglianza, appropriandosi di libertà e conoscenza, e distaccandosi dalle persone, con le sue ambizioni collettiviste e la sua indifferenza radicale, ci spinge verso una società nella quale il capitalismo non è sottoposto a istituzioni politiche o economiche inclusive. Dobbiamo considerarlo una forza profondamente antidemocratica, e non sono la sola a pensarla così. Mi riferisco, per esempio, a come Thomas Paine si schierò a difesa della democrazia nel suo capolavoro I diritti dell’uomo, nel quale polemizzava contro Riflessioni sulla rivoluzione in Francia, scritto da Edmund Burke a favore della monarchia. Paine si schierava con le persone comuni e contro i privilegi degli aristocratici, e riteneva le leggi di questi ultimi inadatte a soddisfare i bisogni delle persone: «Visto che questi uomini non devono rispondere delle proprie azioni, nessuno dovrebbe dar loro fiducia».

Il golpe
La furia antidemocratica del capitalismo della sorveglianza può essere considerata come una sovversione dall’alto di natura economica. Non un colpo di stato nel senso classico, ma un “coup de gens”, un rovesciamento camuffato da quel cavallo di Troia che è il Grande Altro.

Impossessandosi dell’esperienza umana, la sovversione si appropria di un potere e di una conoscenza senza pari, che custodisce grazie alla divisione dell’apprendimento nella società, privatizzando il più importante principio di ordine sociale del Ventunesimo secolo. Come gli “adelantados” mormoravano la formula magica del “Requerimiento”, così i capitalisti della sorveglianza impongono alla società le proprie dichiarazioni e un’autorità totalitaria d’altri tempi. È una forma di tirannia che si ciba delle persone ma non è parte di loro. In un surreale paradosso, la sovversione viene chiamata “personalizzazione”, anche se ignora, annulla e rimuove ogni cosa personale che ci possa riguardare. Non uso la parola “tirannia” a cuor leggero. Come l’alveare strumentalizzante, la tirannia è la negazione della politica. Si basa sull’indifferenza radicale che vede ogni persona, tranne il tiranno, come un organismo tra gli organismi, un insieme di altri che si equivalgono.

Hannah Arendt ha osservato che la tirannia è una perversione dell’egualitarismo perché tutti vengono trattati come se fossero ugualmente insignificanti: «Il tiranno governa secondo la sua volontà e i suoi interessi. […] Chi governa si oppone a tutti gli altri, e “tutti” gli altri sono uguali, cioè ugualmente privi di potere». Arendt rileva come la teoria politica classica ritenesse il tiranno «fuori dall’umanità stessa, […] un lupo in forma di uomo».

Il capitalismo della sorveglianza esercita il suo dominio tramite il potere strumentalizzante, materializzandosi nel Grande Altro, che come il tiranno dell’antichità esiste al di fuori dell’umanità, pur assumendone paradossalmente la forma. Il tiranno del capitalismo della sorveglianza non ha più bisogno della frusta del despota, come non gli servono i campi e i gulag del totalitarismo. Tutto quel che gli serve può trovarlo nei messaggi e nelle emoticon rassicuranti del Grande Altro, e può soggiogare gli altri non con il terrore, ma inducendoli alla confluenza in modo irresistibile, riempiendoci la camicia di sensori, rispondendo alle nostre richieste, ascoltandoci attraverso la tv, conoscendoci per mezzo di casa nostra, origliando i nostri sospiri nel letto, leggendoci nei nostri libri… Il Grande Altro sfrutta una serie di operazioni commerciali senza precedenti, pensate per modificare il comportamento umano e fare soldi. Rimpiazza il contratto legittimo, la legge, la politica e la fiducia sociale con una nuova sovranità e le sue ricompense gestite in forma privata.

Una nuova “chiesa” globale
Il capitalismo della sorveglianza non ha confini e ignora le vecchie distinzioni tra mercato e società, tra mercato e mondo, tra mercato e persona. Agisce a scopo di lucro subordinando la produzione all’estrazione, rivendicando il controllo esclusivo di umanità, società e politica, andando ben oltre l’ambito convenzionale di un’azienda o del mercato. Rifacendoci a Karl Polanyi, possiamo vedere che il capitalismo della sorveglianza annette l’esperienza umana alle dinamiche di mercato per farle rinascere come comportamento: il quarto «bene fittizio». I primi tre beni fittizi di Polanyi – terra, lavoro e denaro – erano soggetti alla legge. Anche se imperfette, le leggi sul lavoro, sull’ambiente e sulle banche costituiscono delle cornici di regole per difendere la società (così come la natura, la vita e la finanza) dagli eccessi peggiori del capitalismo.

L’esproprio dell’esperienza umana da parte del capitalismo della sorveglianza non ha incontrato ostacoli simili. Il successo di questo “coup des gens” è l’amara prova che i bisogni della seconda modernità, che hanno consentito al capitalismo della sorveglianza di prosperare, sono stati ignorati. Non è pertanto difficile capire perché Mark Zuckerberg ritenga Facebook la soluzione ai problemi della terza modernità. Ambisce a un ordine strumentalizzante totalitario, che chiama la nuova «chiesa» globale, e che connetterà le persone di tutto il mondo in «qualcosa più grande di loro». Sostiene che sarà Facebook a risolvere i problemi della civiltà, costruendo «un’infrastruttura a lungo termine in grado di unire l’intera umanità», garantendo la sicurezza delle persone con un’intelligenza artificiale in grado di capire alla svelta «che cosa accade nella comunità».
Come Pentland, Zuckerberg immagina un’intelligenza delle macchine in grado di «identificare rischi che nessuno avrebbe segnalato, come dei piani terroristici progettati usando canali privati, atti di bullismo contro persone troppo spaventate per denunciarli, e altri problemi locali e globali». Parlando della propria responsabilità verso gli azionisti, Zuckerberg ha dichiarato alla Cnn: «Per questo controllare l’azienda è di grande aiuto».

La civiltà dell’informazione
Per più di tre secoli, la civiltà industriale ha cercato di governare la natura per il bene degli uomini. Con le macchine abbiamo superato i limiti dei nostri corpi e siamo riusciti a dominarla. Solo in seguito abbiamo cominciato a pensare alle conseguenze: la Terra è in pericolo e gli ecosistemi sono fuori controllo. Siamo all’inizio di un nuovo processo storico che ho chiamato civiltà dell’informazione, nel quale ci stiamo comportando con la stessa arroganza. Il fine non è più il dominio della natura, bensì della natura umana. Siamo passati da macchine che superano i limiti del corpo a macchine che modificano i comportamenti di individui, gruppi e popolazioni al servizio di obiettivi di mercato. L’ascesa del potere strumentalizzante spazza via quell’interiorità che è alla base della volontà di volere e della nostra voce in prima persona, privando così la democrazia delle sue radici. Si tratta naturalmente di un colpo di stato senza spargimenti di sangue. Non ci sono atti di violenza diretti ai nostri corpi, perché la terza modernità strumentalizzante preferisce addestrarci. La gente vuole una vita migliore, e la risposta è l’eliminazione graduale di caos, incertezza, conflitto, anormalità e disarmonia, a favore di prevedibilità, trasparenza, confluenza, persuasione, pacificazione e di una regolarità automatizzata. Noi dovremmo delegare la nostra autorità, liberarci dalle preoccupazioni, azzittirci, seguire il flusso e sottometterci ai tecnocrati visionari tanto ricchi e potenti da sapere senz’altro giudicare meglio di noi. In futuro avremo meno potere e controllo, nuove fonti d’ineguaglianza divideranno le persone, in pochi saranno soggetti e in tanti saranno oggetti, in pochi offriranno stimoli e in tanti daranno le loro risposte.
Questa visione minaccia anche altri delicati sistemi millenari, di natura sociale e psicologica. Sto pensando alla democrazia, costata tanti scontri e sofferenze, e all’idea di un individuo capace di elaborare un giudizio morale autonomo. La «inevitabilità» della tecnologia ci viene ripetuta come una sorta di mantra, ma si tratta di un sonnifero esistenziale che serve a farci rassegnare: un sogno che ci narcotizza lo spirito. Si parla molto di «sesta estinzione»: i vertebrati si stanno estinguendo con una velocità mai vista dalla fine dei dinosauri. È un cataclisma conseguenza dei metodi incauti e opportunistici, che pure venivano ritenuti inevitabili, con i quali l’industrializzazione si è imposta sulla natura per cambiare i mercati. Il potere strumentalizzante, marchio di fabbrica del capitalismo della sorveglianza, sembra presagire un altro tipo di estinzione. La “settima estinzione” non riguarderà la natura, bensì la parte più importante della natura umana: la volontà di volere, la santità dell’individuo, i legami d’intimità, la socialità che ci lega l’un l’altro attraverso le promesse e la fiducia. Questo futuro morirà, ancora una volta in modo non intenzionale.

“Recessione democratica”
Il potere strumentalizzante ha tratto la propria forza ignorando tanto l’umanità quanto la democrazia. Non c’è legge che possa proteggerci da quel che non ha precedenti, e le società democratiche sono indifese nei confronti di questo nuovo potere, proprio come l’innocente mondo dei Taino. Il capitalismo della sorveglianza è pertanto parte di una preoccupante deriva, che secondo molti analisti politici sta portando il pubblico a non ritenere più la democrazia una necessità inviolabile. Molti studiosi parlano di «recessione democratica» e «disgregazione» delle democrazie occidentali, un tempo ritenute al sicuro da minacce.

La portata e la natura di tali minacce non è stata ben definita, ma è evidente la saudade causata dai rapidi cambiamenti sociali e la sensazione che «i miei figli non avranno una vita come la mia». Queste sensazioni di disagio e alienazione sono state condivise da persone di tutto il mondo, ascoltate in un’inchiesta tenuta da Pew Research in 38 nazioni alla fine del 2017. Stando ai risultati, la democrazia non sembra essere più un imperativo sacro, anche per i cittadini delle società democratiche più mature. Il 78 per cento del campione sostiene che la democrazia è “buona”, ma il 49 approva anche un “governo di esperti”, il 26 auspica il “governo di un leader forte” e il 24 per cento preferisce un “governo militare”.

L’indebolimento dell’amore per la democrazia negli Stati Uniti e in molti Paesi europei è molto preoccupante. Secondo l’indagine della Pew, solo il 40 per cento degli statunitensi sostiene la democrazia e rifiuta le alternative. Ben il 46 per cento trova accettabili sia le alternative democratiche, sia quelle non democratiche, e il 7 è a favore solo di quelle non democratiche. Il campione USA è meno devoto alla democrazia di quelli di Svezia, Germania, Olanda, Grecia e Canada, ma ci sono importanti democrazie occidentali, come Italia, Gran Bretagna, Francia e Spagna, insieme a Polonia e Ungheria, che si posizionano sotto alla mediana del 37 per cento di sostegno esclusivo della democrazia, rilevata sulla totalità dei 38 Paesi. Secondo molti, la democrazia di mercato non è più di vitale importanza, malgrado mercato e democrazia abbiano apportato benefici all’umanità, contribuendo a emanciparla da millenni d’ignoranza, povertà e dolore. C’è chi propone di rinunciare ai mercati, e chi sostiene che la democrazia è obsoleta. Molti attivisti e studiosi di diverse estrazioni, inorriditi dal degrado sociale e dai problemi climatici frutto di quattro decenni di politica neoliberista, ritengono che l’era capitalista sia giunta alla fine. Qualcuno propone economie dal volto più umano o prevede un lungo declino, mentre altri, che detestano la complessità sociale, preferiscono una miscela di potere elitario e politica dirigista che possa imitare l’autoritarismo cinese.

Il prezzo pagato
Il tutto ci riporta a una verità più profonda: come il capitalismo diviene sostenibile solo se diluito, così le persone non possono vivere senza sentire di poter tornare a casa. Hannah Arendt si è occupata di queste cose più di sessant’anni fa nelle “Origini del totalitarismo”, dove ha seguito il percorso che porta dall’annullamento dell’individualità alle ideologie totalitarie. Sentendosi insignificante, sacrificabile, politicamente isolato e solo, l’individuo ha innescato il terrore totalitario. Ideologie del genere, secondo Arendt, sono «l’unica “verità” sicura su cui gli esseri umani possono contare una volta persa la reciproca garanzia, il senso comune».
Anni dopo, nel suo commovente saggio del 1966 “Educazione dopo Auschwitz”, il sociologo Theodor Adorno ha attribuito il successo del nazismo al modo in cui la ricerca di una vita soddisfacente era diventata insostenibile per troppe persone: «Bisogna accettare che il nazismo e il terrore che ha causato sono collegati […] alla decadenza e al rovesciamento delle vecchie autorità, mentre le persone non erano ancora pronte all’autodeterminazione. Hanno ricevuto la libertà e non se ne sono dimostrati all’altezza».

Se dovessimo stancarci di lottare per autodeterminarci e decidessimo di seguire le lusinghe del Grande Altro, finiremmo per barattare un futuro nel quale ci è ancora consentito tornare a casa con una tirannia silenziosa e sterile. Una terza modernità che risolve i nostri problemi in cambio del futuro dell’umanità è una perversione del capitalismo e della sua tecnologia digitale. Ed è anche un oltraggio alla democrazia. Ripeto il monito di Thomas Piketty: «Un’economia di mercato […] lasciata a sé stessa […] contiene potenti forze divergenti, potenzialmente minacciose per le società democratiche e per i valori di giustizia sociale sui quali si fondano».

Fondamento neoliberista
Ecco la tempesta che raccoglieremo dopo la semina del capitalismo della sorveglianza: un capitalismo brutale e senza precedenti che sta contribuendo ad affossare la democrazia, facendo piegare i popoli alla sua volontà sussurrata. Ci dà tanto, ma vuole molto di più. Il capitalismo della sorveglianza è entrato in scena quando la democrazia era già in difficoltà, ed è cresciuto grazie alle cure del neoliberismo, che chiedendo sempre maggiore libertà lo allontanava dalle vite delle persone. I capitalisti della sorveglianza hanno capito ben presto come approfittare della situazione, e hanno svuotato di forza e significato la democrazia. Malgrado le sue promesse democratiche, ha dato vita a un’Età dell’oro segnata da grandi diseguaglianze economiche e a nuove forme di esclusione imprevedibili, separando chi regola gli altri e chi viene regolato. Tra i molti affronti alla democrazia e alle sue istituzioni messi in atto da questo coup des gens, ci sono l’esproprio non autorizzato dell’esperienza umana; il dirottamento della divisione dell’apprendimento nella società; l’indipendenza strutturale del capitalismo; l’imposizione della forma collettiva dell’alveare; l’ascesa del potere strumentalizzante e dell’indifferenza radicale alla base della sua logica dell’estrazione; la costruzione, la proprietà e la gestione dei mezzi di modifica del comportamento costituita dal Grande Altro; l’abrogazione dei diritti fondamentali al futuro e al santuario; l’allontanamento dell’individuo in grado di autodeterminarsi dal cuore della vita democratica; l’annebbiamento psichico come merce di scambio con l’individuo in un do ut des illegittimo. Ora siamo in grado di vedere che il capitalismo della sorveglianza sta espandendo il proprio dominio più di quanto le sue teorie fondanti neoliberiste potessero prevedere, rivendicando il proprio diritto alla libertà e alla conoscenza, e mirando a una visione collettivista che vuole impadronirsi dell’intera società.

Come riprendere il controllo?
È possibile riscontrare nel capitalismo della sorveglianza qualcosa di Hayek e forse perfino di Smith, ma le sue ambizioni collettiviste antidemocratiche rivelano che è una creatura insaziabile che cerca di divorare i propri anziani genitori. Il cinismo è affascinante e può impedirci di vedere che la democrazia è l’unica strada per il cambiamento. Lo prova la lunga storia dell’oppressione umana, dalla quale è emerso il diritto inalienabile delle persone a governarsi da sole. La democrazia potrà anche essere sotto assedio, ma non possiamo permettere che le sue ferite ci distolgano dai nostri doveri nei suoi confronti. È proprio in risposta a questo dilemma che Piketty rifiuta di ammettere la sconfitta, sostenendo che anche le dinamiche di accumulo di potere più «anomale» sono state e possono essere ancora mitigate da istituzioni democratiche in grado di elaborare contromisure durevoli ed efficaci: «Se vogliamo riprendere il controllo del capitale, dobbiamo puntare tutto sulla democrazia».
La democrazia è vulnerabile a quel che non ha precedenti, ma la forza delle istituzioni democratiche è l’orologio che determina quanto tali ferite siano gravi e durature. In una società democratica il dibattito e il contesto garantito dalle istituzioni ancora solide può orientare l’opinione pubblica contro forme inattese di oppressione e ingiustizia, per mostrare la strada a leggi e giurisprudenza.