Il nuovo imperialismo americano di Re Donald Trump

Il 5 novembre scorso l’Empire State Building si è tinto di rosso insieme agli ultimi feudi democratici della mappa americana, segnando nella storia il giorno in cui ebbe inizio il nuovo regno di Trump II nel Paese costituzionalmente più antimonarchico della storia. Durante il suo discorso di insediamento da 47esimo presidente degli Stati Uniti, Donald […]

Feb 7, 2025 - 10:14
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Il nuovo imperialismo americano di Re Donald Trump

Il 5 novembre scorso l’Empire State Building si è tinto di rosso insieme agli ultimi feudi democratici della mappa americana, segnando nella storia il giorno in cui ebbe inizio il nuovo regno di Trump II nel Paese costituzionalmente più antimonarchico della storia. Durante il suo discorso di insediamento da 47esimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha promesso agli americani una nuova “golden age”, un’età dell’oro per molti versi simile alla “gilded age” statunitense che, parallelamente alla Belle Époque in Francia e alla seconda metà dell’età vittoriana in Inghilterra, durò dal 1870 al 1901 partendo dalla presidenza di Ulysses Grant per terminare sotto quella del presidente repubblicano William McKinley, l’unico dei suoi predecessori verso cui Trump abbia finora speso parole d’elogio definendolo «un grande presidente».   

Testando i limiti etici, normativi e tradizionali dei poteri presidenziali, Trump ha intrapreso diverse iniziative allarmanti sia sotto il punto di vista sanitario che ecologico, come il ritiro dagli Accordi di Parigi e dall’Oms, ma c’è un aspetto della nuova amministrazione che ha generato particolare scompiglio tra gli osservatori internazionali, ovvero le mire espansionistiche di Donald Trump, il primo presidente dopo oltre un secolo a reclamare nuovi territori per gli Stati Uniti, persino extraterrestri. 

Una “nazione in crescita”
Oltre all’uso muscolare di sanzioni e dazi commerciali per affermare la sua linea politica America first, il presidente americano ha annunciato – senza usare mezzi termini – una serie di azioni volte ad ampliare l’influenza geopolitica della nazione, tra cui la sottrazione della Groenlandia alla Danimarca, la riconquista del Canale di Panama e l’annessione del Canada come 51esimo Stato degli Usa, oltre a rinominare unilateralmente il Golfo del Messico in Golfo d’America (cancellando quattrocento anni di storia) e la cima dell’Alaska, Denali, la vetta più alta del Nord America, in Monte McKinley. L’ultimo presidente ad ampliare il territorio americano fu proprio William McKinley, che oltre ad essere un forte sostenitore dei dazi commerciali per finanziare il governo e proteggere l’industria, presiedette i negoziati per la creazione del Canale di Panama e aggiunse ai territori americani Cuba, le Hawaii e le Filippine.

La posizione di Trump sull’espansione territoriale è netta: l’America deve tornare a essere «una nazione in crescita». Nel suo trattare con gli avversari, il presidente neo eletto sembra incline a riesumare lo spirito dell’epoca imperialista delle grandi potenze, senza tenere conto delle norme post Seconda guerra mondiale e delle alleanze transatlantiche sorte durante l’ultimo secolo. Trump è particolarmente fissato con Panama. Secondo lui, i termini degli accordi del trattato di Panama sono stati violati, e il canale è adesso sotto il controllo della Cina – non è vero, ma il governo cinese ha acquisito enorme influenza sul canale – dichiarando nella fase saliente del suo discorso: «Ce lo riprenderemo».

Vecchia formula
La visione internazionale di Trump coincide con quella di McKinley anche per quanto riguarda i dazi commerciali. Il 25esimo presidente degli Stati Uniti firmò il Dingley Act nel 1897, aumentando le tariffe fino al 50 per cento. Nel suo discorso d’insediamento McKinley disse che serviva a proteggere l’industria americana. Durante un discorso al Congresso per sostenere i dazi, dichiarò che si trattava di una legge prudente per finanziare il governo senza aumentare le tasse. Trump ha detto le stesse cose. «Faremo pagare i dazi e le tasse ai Paesi stranieri per arricchire i nostri cittadini», ha spiegato, anche se non è chiaro cosa farà esattamente. «Così facendo, enormi quantità di denaro provenienti dall’estero si riverseranno nel nostro tesoro».

Dall’assassinio di McKinley da parte di un anarchico, la posizione difensiva verso la produzione interna è diventata col tempo un approccio associato sempre più al partito Democratico. La formula di McKinley combinava quella che viene vista oggi come una politica di sinistra con una certa vicinanza alla grande industria tipica della destra. Trump, come McKinley, vuole riportarla dentro il partito Repubblicano. Durante la campagna presidenziale del 1896, McKinley ottenne 250mila dollari in donazioni sia da JP Morgan che dalla Standard Oil (equivalenti a 20 milioni di dollari nel 2025). Durante la cerimonia di inaugurazione, Trump ha riservato i posti in prima fila a Jeff Bezos, Elon Musk e Mark Zuckerberg, ognuno dei quali ha sostenuto l’evento donando diversi milioni di dollari. Nel suo discorso d’insediamento il presidente ha annunciato una nuova epoca d’oro, ma per quanto riguarda i dazi, l’espansione territoriale e la sua fissazione per Panama, sembra piuttosto voler ricalcare quell’età dell’oro ormai passata. 

Senza limiti
Nel suo primo giorno allo Studio Ovale Trump ha firmato 26 ordini esecutivi – più di qualsiasi altro presidente, come sottolinea il sito-web della Casa Bianca – e oltre 100 azioni esecutive nella prima settimana, promettendo di arrivare a 200, dando così inizio al suo secondo mandato con un flusso incessante di iniziative per implementare la sua agenda politica, aderendo allo slogan utilizzato durante entrambe le sue campagne elettorali nel 2016 e nel 2024, “Promises Made, Promises Kept” (letteralmente: “Promesse fatte, promesse mantenute”); nonostante sia probabile che molte di queste finiranno alla Corte Suprema. I temi principali sono la sicurezza delle frontiere – schieramento di truppe militari al confine e aumento delle risorse della guardia Costiera e nel neonato golfo d’America; la politica energetica – con l’apertura alle trivellazioni offshore e l’esplorazione energetica in Alaska; l’immigrazione – attraverso l’attuazione della deportazione di massa degli immigrati irregolari; la riforma del governo – con una forte deregulation in stile reaganiano, la fine dello smart working per i dipendenti statali e il ripristino delle assunzioni basate sul merito anziché sul principio Dei (Diversità, equità, inclusione); libertà d’espressione – per porre fine alla “censura governativa” e l’applicazione di una serie di azioni volte ad azzerare gli sprechi dell’apparato federale e limitare gli aiuti delle agenzie Usa all’estero.

Trump ha così affermato la sua volontà di rimodellare e oltrepassare i limiti attribuiti all’autorità del Presidente, mettendo alla prova la resilienza delle istituzioni americane, la stabilità di un sistema democratico che perdura da quasi due secoli e mezzo e i livelli di tolleranza di alcuni dei suoi più stretti alleati. Ancor più rispetto al suo primo mandato, ha sfidato le aspettative di ciò che un presidente può e non può fare dimostrando che le regole seguite dai suoi predecessori possono essere piegate, superate o addirittura infrante, come ad esempio il rovesciamento del 14esimo emendamento sullo ius soli. Trump non ha certo mai dimostrato di voler stare alle regole, ma il livello di subordinazione dimostrato dal mondo dell’industria, delle università e dei media sin dalle prime fasi del suo secondo mandato non ha precedenti storici. 

Grandi alleati e interessi
Mentre gli altri presidenti si sono sempre distanziati dalle loro attività personali per evitare conflitti d’interessi, Trump ha sfruttato la sua popolarità politica per guadagnare ingenti quantità di denaro mettendo in piedi uno schema attraverso cui potrebbe ricevere finanziamenti da investitori coinvolti nelle politiche federali governative. Poco prima della sua elezione ha rilasciato un cripto moneta chiamata $Trump che, insieme ad altre monete digitali che portano i nomi dei membri della sua famiglia, ha raccolto in pochi giorni oltre 10 milioni di dollari offrendo l’opportunità a investitori finanziari stranieri di guadagnarsi il favore della nuova amministrazione. 

Inoltre, mentre gli altri presidenti hanno sempre avuto finanziatori benestanti discreti che avevano accesso segreto allo studio ovale, durante la cerimonia d’inaugurazione Trump si è circondato di miliardari e ha dato a Elon Musk, l’uomo più ricco del pianeta, il mandato di ripulire il governo federale affidandogli un dipartimento. E a differenza di qualsiasi altro presidente dei tempi moderni, si è incaricato di ridisegnare sia a livello simbolico che materiale la mappa del mondo. La sua deriva imperialista rappresenta una sfida alle norme democratiche. I suoi alleati respingono l’idea che abbia aspirazioni autoritarie, dopotutto è soggetto al 22esimo emendamento che gli impedisce di candidarsi a un terzo mandato. Ma la settimana scorsa un parlamentare del Tennessee, Any Ogles, ha proposto un emendamento costituzionale per permettere a Trump di correre per un terzo mandato. Non ci sono possibilità realistiche che passi, ma lo stesso Trump ha dichiarato che sarebbe un onore per lui «servire due volte il suo Paese, e chissà, forse tre». Il re è tornato.