Il caso Al-Masri e i rapporti tra politica e magistratura
Se ci pensate, basterebbe davvero pochissimo a risolvere tutto: far cadere questo Governo e sostituirlo con uno di grande coalizione, con dentro ovviamente il Partito Democratico. Tutto tornerebbe a posto: […]
Se ci pensate, basterebbe davvero pochissimo a risolvere tutto: far cadere questo Governo e sostituirlo con uno di grande coalizione, con dentro ovviamente il Partito Democratico. Tutto tornerebbe a posto: quantomeno curioso.
Negli ultimi giorni, il dibattito politico italiano si è infiammato attorno a un nodo cruciale: la continua interferenza della magistratura nei momenti più delicati dell’azione di governo. Episodi recenti, dalle indagini su Giorgia Meloni e i suoi ministri fino alla gestione del caso Open Arms, hanno riportato al centro della discussione il tema della separazione dei poteri e del rapporto tra politica e giustizia.
Il processo contro Matteo Salvini per la vicenda Open Arms si è concluso con un’assoluzione piena: “il fatto non sussiste”. Non un vizio di forma, non insufficienza di prove, non perché il fatto non costituisce reato, non una questione di interpretazione, ma una sentenza che sancisce come l’impianto accusatorio fosse del tutto infondato. Eppure, nonostante ciò, il leader della Lega ha dovuto affrontare anni di battaglia legale, con tutte le implicazioni politiche che ne derivano e col rischio di essere condannato a 6 anni di reclusione.
Oggi ci troviamo davanti a un nuovo scenario: il Presidente del Consiglio, il Ministro dell’Interno, il Ministro della Giustizia e un sottosegretario sono finiti sotto indagine per favoreggiamento e peculato. Accuse che lasciano più di un dubbio: se davvero ci fosse stato un favoreggiamento, perché non coinvolgere anche i giudici che hanno disposto la scarcerazione di Al-Masri? E in merito al peculato, si dovrebbe credere che gli indagati si siano addirittura “intascati” un aereo di Stato? Anche tra gli osservatori più distaccati c’è chi fatica a trovare una logica dietro queste ipotesi di reato: eppure si insiste nel definirlo un atto dovuto.
Un altro nodo cruciale riguarda il cosiddetto “modello Albania”, una strategia adottata dal governo per la gestione dei flussi migratori: un modello benedetto dai vertici dell’UE e dai socialisti di mezza Europa (per quanto possa interessarcene). Anche in questo caso, il blocco arriva dalla magistratura.
Non si discute che valutazioni politiche diverse possano e debbano esistere. Il dibattito sulla liberazione di Al-Masri, sulle ragioni di Stato o sulla strategia migratoria dell’Italia è legittimo e benvenuto. Tuttavia, la sede per queste discussioni è il Parlamento, non un tribunale o un ufficio di procura.
Di fronte a questo quadro, emergono due ipotesi contrapposte:
Uno: l’attuale governo sta operando una svolta autoritaria. Se così fosse, la magistratura starebbe resistendo eroicamente per impedire una deriva antidemocratica e, perché no?, fascista.
Due: la politica è ancora ostaggio di vincoli esterni. In questo caso, esisterebbero forze che si oppongono a determinati cambiamenti e sono disposte a ricorrere a ogni strumento pur di far saltare il tavolo, pur di esercitare il proprio vincolo esterno.
Quale vi pare più probabile?
Una domanda, dunque, sorge spontanea: l’Italia degli ultimi due anni è davvero meno libera e meno democratica? Due elementi sembrano emergere con forza:
Primo: è un dato di fatto che l’opposizione sia impresentabile e che l’azione della magistratura in qualche modo tenda a “supplire” tale inadeguatezza.
Secondo: c’è chi desidera, mantenere il controllo sulla politica e sulla volontà popolare, arrivando a mettere in discussione principi costituzionali fondamentali. Non è di certo una cosa nuova.
In questo scenario, le accuse di autoritarismo rivolte al governo suonano paradossali. Eppure, chi viene additato come “fascista” è spesso proprio chi denuncia queste anomalie: un ribaltamento dei ruoli che meriterebbe una riflessione più seria e più onesta.
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