Trump e lo shock globale

Plutocrazie o democrazie? Oligarchie o Stato di diritto? Dittatura della sorveglianza o costituzionalismo liberale? Le riflessioni attorno a queste divisioni politiche ormai si sprecano. Sta di fatto che una foto […]

Feb 4, 2025 - 14:05
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Trump e lo shock globale

Plutocrazie o democrazie? Oligarchie o Stato di diritto? Dittatura della sorveglianza o costituzionalismo liberale? Le riflessioni attorno a queste divisioni politiche ormai si sprecano. Sta di fatto che una foto come quella della cerimonia di insediamento di Trump (miliardario) circondato da uno stuolo di boss del settore hi-tech (triliardari) a tutto fa pensare meno che a una democrazia. Infatti, se quello fosse il popolo, la rappresentazione plastica del “demos” occidentale, allora dovremmo tutti navigare nell’oro e nel lusso come loro. Invece, negli Stati Uniti, più di 38 milioni di persone vivono in estrema povertà, 7 dollari l’ora è il salario minimo federale, 30% è la quota di poveri afroamericani (il doppio rispetto ai bianchi). Per non parlare dell’Europa (sempre e comunque filo-americana) dove le persone a rischio di povertà o di esclusione sociale sono ben 94,6 milioni (Eurostat 2024). Queste sono le cifre dell’Occidente trionfante, tecnologicamente all’avanguardia e sempre sicuro di sé e del suo successo.

Il progresso tecnologico va avanti senza sosta e la popolazione povera aumenta esponenzialmente. Forse c’è qualcosa che non torna? Non dovevamo migliorare la nostra condizione di vita, di salute e di benessere, proprio grazie allo sviluppo scientifico e tecnologico? La vita si è sicuramente allungata di molto rispetto ai secoli scorsi, non c’è dubbio, ma a livello di tenore di vita, di benessere psicofisico, di perseguimento della “felicità” (come sottolinea la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America) stiamo davvero meglio di prima? Non abbiamo forse prolungato soltanto l’esistenza fisica, biologica, accorciando drasticamente quella spirituale? Questi sono quesiti che nessuna macchina artificiale, del tipo di Chat GPT, Zendesk o DeepSeek, potrà mai riuscire a risolve. In un certo qual modo, questi problemi sono irrisolvibili. Nel senso che non è la statistica o il calcolo delle probabilità che ci può dare una soluzione, ma è la conoscenza profonda della coscienza spirituale umana che, scavando a fondo dentro se stessa, trova le risorse sufficienti per interrogarsi sul senso della vita.

A livello macro-politico il processo di globalizzazione a trazione statunitense sta subendo un grande rallentamento, per non dire un arresto forzato. L’emersione delle nuove potenze del sud globale, i cosiddetti BRICS, hanno avviato da tempo una controrivoluzione in chiave anti-dollaro che non sembra volersi fermare. Il nazionalismo isolazionista del nuovo Presidente degli Stati Uniti è una forma di paura, di chiusura, di strategia della tartaruga che tira dentro la testa per tentare di proteggersi con la sua corazza. Dichiarazioni come questa di Trump del 30 gennaio 2025 ne sono un’esempio lampante: “Se i BRICS dovessero creare una loro valuta alternativa al dollaro imporrò dazi del 100%”. Basterà questo atteggiamento a fermare l’emersione asiatica o le enormi ondate migratorie che, per varie ragioni, aumenteranno in Occidente nei prossimi decenni? Se dovessi scommettere direi di no. Ciò che aumenterà sarà innanzitutto l’odio sociale, la violenza, il razzismo, la superbia e l’alterigia di una civiltà decadente che per terrore della propria fine, invece di entrare in “conversione”, invoca l’elezione divina come ancora di salvezza e martello da dare in testa al resto del mondo (“God with us”).

Certo il piano era già inclinato da tempo, grazie alle politiche dei governi precedenti. In tal senso, l’arrivo di Trump alla Casa Bianca è senz’altro uno shock globale che può servire come “finestra di opportunità” anche per noi europei, per darci una sveglia. Ce lo auguriamo. Di fatto, però, se l’alternativa alla visione guerrafondaia della von der Leyen, della Kallas e di Rutte è la visone suprematista dei sostenitori di Trump, allora siamo solo passati dalla padella alla brace. Trump infatti non è per la pace o per i diritti sociali: è lì solo per proteggere i suoi interessi individuali. Se ciò favorisce, per il momento, una tregua a Gaza e un avvio di possibile accordo per il cessate il fuoco in Ucraina non può che essere per tutti una buona notizia. Come dice Lucio Caracciolo: “Trump è riuscito dove Biden ha fallito”. Dunque, ad oggi: “è lui vincitore”. Ma, questo fatto non può in alcun modo tranquillizzarci. Nè può permetterci di sperare in una relazione fraterna fra Meloni e Trump. Basta vedere cose sta succedendo a livello di “guerra dei dazi” contro l’Europa (e contro l’Italia) che, secondo una stima fatta da uno studio di Prometeia citato anche dal Ministero degli Esteri italiano, solo per il nostro Paese si “parla di un minimo di 4 e un massimo di 7 miliardi” e di oltre “44 mila imprese” che verrebbero colpite immediatamente da questa tassazione.

Stando così le cose, anche noi dovremmo cominciare a pensare di più ai nostri interessi locali, invece di svendere quel poco che ci resta in cambio di protezioni sempre meno confortanti (visti i nostri recenti rapporti con Mosca). La strategia che sta seguendo il governo Meloni, di un atlantismo supino e di un europeismo spinto secondo i valori bellici o “tecno-green”, è tutto meno che sovranista, qualunque cosa questo termine voglia significare oggi. Oltre a dilapidare il nostro grande patrimonio storico, artistico, linguistico e culturale, picconando le fondamenta delle università italiane imponendo, per esempio, sempre di più corsi solo in lingua inglese, anche dal punto di vista della svendita dei cosiddetti “beni pubblici sovrani”[1], come l’ex Alitalia e Tim, l’andazzo è evidentemente quello di procedere nello smantellare l’industria italiana.

Un rivoluzione politico-spirituale radicale (non violenta) e ciò che ci servirebbe più di ogni altra cosa. Chi lavora nella direzione di un riformismo di basso profilo è destinato a soccombere. Di fronte alla guerra fatta a colpi di bazooka o di dazi, l’unica soluzione democratica è rispondere con un aumento di spirito critico, di voglia di vivere politicamente e con coraggio profetico le sfide del nostro tempo, poiché quest’ultime sono certamente vertiginose, ma sono perfettamente alla nostra portata. Rinunciare a lottare equivale a fare il gioco dei poteri criminali che sono a capo di quasi tutte le istituzioni mondiali. TINA (“There Is No Alternative”) è il motto del Sistema coloniale neoliberista. Non facciamolo diventare anche il nostro.
 


[1] https://forbes.it/2024/08/27/iniziata-privatizzazione-beni-pubblici-sovrani/