Il debito va tagliato, ma è fondamentale la crescita | L’analisi di Roberto Sommella, direttore di Milano Finanza
L’ennesimo rialzo per il debito pubblico italiano, che ha superato la soglia dei 3.000 miliardi nel mese di novembre, deve suonare come un campanello d’allarme. Non tanto perché potremmo rovinare la rinnovata considerazione dei mercati finanziari, di cui si è parlato in Consiglio dei ministri dopo le comunicazioni di Giorgia Meloni, ma perché rappresenta una […] L'articolo Il debito va tagliato, ma è fondamentale la crescita | L’analisi di Roberto Sommella, direttore di Milano Finanza proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.
L’ennesimo rialzo per il debito pubblico italiano, che ha superato la soglia dei 3.000 miliardi nel mese di novembre, deve suonare come un campanello d’allarme.
Non tanto perché potremmo rovinare la rinnovata considerazione dei mercati finanziari, di cui si è parlato in Consiglio dei ministri dopo le comunicazioni di Giorgia Meloni, ma perché rappresenta una linea rossa che si pensava non arrivasse mai. E invece…
Stando ai dati diffusi dalla Banca d’Italia, il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 23,9 miliardi rispetto al mese di ottobre, toccando 3.005,2 miliardi.
L’incremento, ha spiegato Via Nazionale, riflette quello delle disponibilità liquide del Tesoro (20,9 miliardi) e il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (3,2 miliardi).
Insomma, lo Stato costa sempre di più.
C’è modo di fermare questa slavina e ci dobbiamo preoccupare?
MF-Milano Finanza l’ha chiesto qualche tempo fa agli ex ministri dell’Economia, avendo la ferma convinzione che senza un drastico taglio del debito pubblico resteremo sempre schiavi del medesimo.
Vale perciò la pena ricordare la loro posizione espressa su queste pagine quando questo non invidiabile traguardo era prossimo ad essere raggiunto.
D’altronde, repetita iuvant.
Il tema è da far tremare i polsi quando non cresce l’economia.
Giulio Tremonti, uno che Via XX Settembre la conosce come le sue tasche, l’ha sempre sostenuto coniando un monito efficace: “abbiamo il terzo debito pubblico al mondo ma non siamo la terza economia”.
Giancarlo Giorgetti, attuale titolare del Mef, conosce bene questo assunto e non a caso è il primo titolare di Via XX Settembre che ha preso sul serio la battaglia lanciata da questo giornale sul Tagliadebito – sostenuta anche dal ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, fresco di accordo sulle pmi con la Confindustria di Emanuele Orsini – e lo ha detto pubblicamente nel messaggio inviato per i 35 anni di MF:
“Da ministro dell’Economia condivido la vostra campagna sul cosiddetto Tagliadebito e la sostengo. Solo la consapevolezza della necessità di ridurre l’enorme indebitamento pubblico può liberare, almeno in parte, le risorse necessarie per il rilancio dell’economia italiana”.
Il tema di fondo è appunto quello della servitù e della sovranità di un Paese: se in un anno si pagano più interessi sul debito (anche se in lieve calo) che per tutta la formazione, l’Italia non ha futuro.
Giovanni Tria, ministro dell’Economia nel governo di Giuseppe Conte I, ha fatto un’analisi precisa del fenomeno qualche tempo fa che mantiene ancora intatto il suo valore:
“Non credo che la quota 3.000 di debito pubblico sia significativa. Credo che i mercati guardino al rapporto con il Pil ma soprattutto ai segnali di prospettiva che arrivano dal governo. Certo conta nel breve il fatto che il tasso di crescita del Pil nominale decresca più rapidamente a causa della riduzione dell’inflazione di quanto si riducono i tassi di interesse nominali”.
Sfogliando le nostre pagine di archivio, spunta un altro autorevole titolare del ministero dell’Economia, Daniele Franco, a capo del Mef col governo di Mario Draghi, col quale ho avuto modo di conversare sul tema: “Non attribuirei tanto rilievo a quota 3.000 miliardi. I mercati guardano il rapporto debito/Pil”.
Secondo Franco, la riduzione degli acquisti Bce può mettere pressione sugli acquisti da parte del mercato, ma finché è programmata non ci saranno sorprese.
L’importante però è crescere, questo il mantra dei predecessori di Giorgetti.
Sembra facile, ma l’effetto combinato della politica rialzista della Bce con il boom dei prezzi delle materie prime hanno steso da quasi due anni la nostra produzione industriale.
Se Vittorio Grilli, importante banchiere d’affari, già ministro dell’Economia nell’esecutivo di Mario Monti, ha confidato a chi scrive che “non ci sono segnali di particolare attenzione dei mercati sul nostro debito al momento né particolari red lines”, Enrico Letta, ex presidente del Consiglio, ora tornato alla docenza, si mostra da tempo più preoccupato per l’implosione della Francia che potrebbe diventare quel “meteorite” che colpisce il nostro debito come fu la Grecia ai tempi della crisi dell’euro.
Facendo gli scongiuri, occorre infine non dimenticare quanto è solito dire Mario Monti, commissario europeo, presidente del Consiglio, ministro dell’Economia e senatore a vita, uno che lo spread l’ha visto per mesi a quota 500: “Magari esistessero ancora delle linee rosse sul debito e l’attenzione per vederle”.
Se questa cecità nel vedere i burroni sia fatalismo o irresponsabilità è difficile dirlo, ma di certo quota 3.000 deve indurre il governo, e in particolar modo la commissione istituita per il censimento e la valorizzazione degli immobili pubblici, a fare presto.
Sarebbe infatti sbagliato archiviare con un’alzata di spalle il superamento di questo record.
A furia di voltar pagina, ammoniva Giulio Andreotti, il libro finisce.
L'articolo Il debito va tagliato, ma è fondamentale la crescita | L’analisi di Roberto Sommella, direttore di Milano Finanza proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.