Almasri, al ‘Gran circo’ del Parlamento. Orsina e il dibattito in Aula: “Toni inadatti alla gravità del tema”
Il politologo: “L’opposizione ha fatto a gara a chi offriva ai giornali il titolo migliore. È stato un boomerang”. La premier? “Non presentandosi ha rispettato la linea adottata. Ma il tentativo di voltare pagina è fallito”
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Roma, 7 febbraio 2025 – L’omino di burro. Mangiafuoco. Il presidente del coniglio. Mai un dibattito parlamentare si era svolto a colpi di battute quasi di avanspettacolo come è successo sul caso Almasri. Anche se l’argomento era serio e grave come pochi. Giovanni Orsina, storico e politologo dell’Università Luiss-Guido Carli ha naturalmente seguito con interesse l’intera discussione.
Professore, che impressione le ha fatto questo florilegio di battute e toni da comizio?
“Un brutto spettacolo, soprattutto perché si trattava di un tema con una sua specifica ed elevatissima drammaticità: il conflitto tra i diritti e l’interesse nazionale. E questo crea una situazione molto difficile come sempre quando si combattono due beni ugualmente pesanti. Ridurre tutto a omini di burro e conigli è stato sgradevole. Un segno dello svilimento della funzione parlamentare”. Caso Almasri, Salvini: “Piantedosi e Nordio hanno tutelato l’Italia allontanando un personaggio pericoloso”. E per Trump: “Nobel per la pace”
Maggioranza e opposizione hanno contribuito in pari misura a far slittare il dibattito su questi binari?
“No, l’opposizione ha dato l’impressione di fare qualcosa in più, usando la tribuna per una competizione interna a chi strappava il titolo ad effetto il giorno dopo: una scelta che ha finito per favorire la maggioranza. Il governo infatti può dire sì, noi abbiamo fatto una operazione discutibile, che però ha una sua serietà. La risposta dell’opposizione è stata il cabaret”.
Sulla scelta dei toni ha influito sicuramente la diretta tv. Non andrebbe forse ripensata?
“Da un lato abbiamo una necessità essenziale per la democrazia come quella della trasparenza, dall’altro il fatto che, se induciamo i parlamentari a parlare al Paese invece che ai colleghi, rischiamo che la demagogia esploda. In un caso come questo sarebbe stato opportuno discutere all’interno e poi comunicare i risultati all’esterno. Mi chiedo anzi se non sarebbe stato meglio per il governo mettere il segreto di Stato così che la discussione si svolgesse a porte chiuse nel Copasir. Invece, non solo abbiamo lavato i panni in pubblico, trattandosi oltretutto di una vicenda che coinvolgeva una partnership delicata come quella con la Libia, ma l’abbiamo fatto in modo becero”.
Resta il fatto che il governo ha dato nel tempo versioni diverse, contraddittorie e, per alcuni, anche i ministri in aula non hanno detto la stessa cosa.
“È evidente che qualcosa non ha funzionato nella trasmissione: mi pare che mercoledì Nordio abbia introdotto degli elementi che erano assenti dalla sua prima comunicazione. Al contrario, non ho colto contraddizioni tra lui e Piantedosi, perché il guardasigilli non ha detto che Almasri non fosse pericoloso, ha detto che c’erano vizi tali nell’atto inviato dalla Corte penale internazionale per cui non poteva essere accolto”. Caso Almasri, le opposizioni non mollano: “Informativa non esaustiva, venga Meloni”
In definitiva, la maggioranza ne è uscita bene?
“Bisogna chiedersi che cosa è arrivato all’opinione pubblica, di questa vicenda. La parte di elettorato che è molto attenta ai diritti certamente non avrà gradito la liberazione di Almasri, ma è una parte minoritaria, sebbene consistente, del Paese, ed è comunque schierata contro questo governo. Mentre una parte più grande potrebbe aver letto in modo positivo la decisione securitaria. Ovvero, aver pensato che l’esecutivo avesse fatto ciò che era giusto fare, anche se in modo confuso”.
Va detto che la sinistra scontava un grosso handicap: avere cioè firmato per prima il Memorandum con la Libia, tasto sul quale la maggioranza ha martellato. Pensa che questo aspetto del problema sia arrivato all’opinione pubblica?
“In parte forse sì, ma più di questo, è passato il messaggio che questo tipo di cose vengono fatte più o meno da tutti i governi, perché toccano il tema dell’interesse nazionale”.
La premier ha sbagliato a non andare in aula?
“Ha rispettato la linea adottata, quella di gestire il caso più sotto il profilo tecnico che sotto quello politico. Una volta che hai scelto questa strategia, è coerente non andare in aula, mandando due ministri tecnici. Personalmente, penso che il governo avrebbe fatto meglio a spingere più sul versante politico, ma tant’è”.
L’intenzione di Giorgia Meloni era usare il dibattito per voltare pagina: ci è riuscita?
“Non mi sembra. La questione resta mediaticamente e politicamente aperta. Bisogna capire se le opposizioni riusciranno a trovare appigli istituzionali per continuare a martellare”.
La denuncia contro il governo alla Corte penale internazionale è un appiglio?
“Sì, certamente”.