Zoo o fabbriche di morte? Tutta la crudeltà dell’abbattimento dei babbuini “in eccesso” a Norimberga
Nel febbraio 2024, lo zoo Tiergarten Nürnberg, in Germania, ha annunciato l’intenzione di abbattere alcuni babbuini della Guinea ospitati nelle sue strutture perché considerati “in sovrannumero”. La notizia ha suscitato ampie polemiche, mettendo in luce uno dei temi più delicati nell’ambito del benessere animale: gli zoo nascono davvero per proteggere le specie oppure rischiano di...
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Nel febbraio 2024, lo zoo Tiergarten Nürnberg, in Germania, ha annunciato l’intenzione di abbattere alcuni babbuini della Guinea ospitati nelle sue strutture perché considerati “in sovrannumero”. La notizia ha suscitato ampie polemiche, mettendo in luce uno dei temi più delicati nell’ambito del benessere animale: gli zoo nascono davvero per proteggere le specie oppure rischiano di trasformarsi in luoghi dove alcuni individui, ritenuti superflui, finiscono per essere sacrificati?
La dichiarazione dello zoo tedesco non lascia spazio a fraintendimenti: dopo aver tentato di trasferire i babbuini in esubero presso altre strutture, e avendo valutato l’ampliamento degli spazi, i responsabili hanno optato per l’abbattimento, giustificandolo come scelta necessaria per mantenere un gruppo riproduttivo gestibile e una variabilità genetica ottimale. A detta del Tiergarten Nürnberg, la riduzione selettiva della popolazione sarebbe l’unica soluzione rimasta per garantire condizioni di vita adeguate agli animali.
La controversa scelta dell’abbattimento
Secondo alcuni ricercatori e veterinari, eliminare gli esemplari anziani o non più utili ai fini riproduttivi sarebbe una strategia “naturale” per garantire la vitalità del gruppo e contenere i costi di gestione, nonché, a loro dire, insegnare al pubblico il ciclo della vita e della morte. Un caso emblematico resta quello del 2014, quando allo zoo di Copenaghen venne soppressa e sezionata in pubblico una giovane giraffa di nome Marius, in un’operazione definita “educativa” dai suoi stessi responsabili.
I sostenitori di questa linea spiegano che la riproduzione in cattività richiede di eliminare il surplus per mantenere gruppi sociali stabili. Ritengono anche che interventi come la contraccezione possano risultare dannosi, interrompendo i processi naturali e compromettendo il benessere stesso degli animali, privati dell’istinto riproduttivo e della possibilità di allevare i propri cuccioli.
Quali alternative possibili?
Da un punto di vista etologico, la situazione è molto più complessa, come ha spiegato qualche giorno fa su La Stampa l’etologa e presidente dell’associazione Etico Scienza Chiara Grasso. Il benessere di un animale non dipende unicamente dal suo potenziale riproduttivo. A incidere profondamente sono anche fattori come le relazioni sociali, le dimensioni dell’habitat, l’arricchimento ambientale, la salute psicofisica e la qualità delle cure veterinarie. La sterilizzazione, se eseguita in modo adeguato, può rappresentare una soluzione meno cruenta rispetto all’abbattimento, evitando gravidanze indesiderate e alleviando la pressione gestionale sulle strutture.
Inoltre, anche l’ampliamento degli spazi e la creazione di reti tra diversi zoo potrebbero aiutare nella ricollocazione degli animali in esubero. Strutture con ampi territori o orientate alla salvaguardia di specie specifiche possono, se ben coordinate, accogliere nuovi individui senza scontrarsi con limiti di capienza e risorse. Questo renderebbe l’abbattimento davvero l’ultima, estrema risorsa.
Educazione o “spettacolarizzazione” della morte?
Uno degli aspetti più controversi riguarda la cosiddetta valenza “pedagogica” di queste uccisioni. Gli zoo hanno l’obiettivo, almeno sulla carta, di sensibilizzare i visitatori alla natura e al rispetto degli animali. Tuttavia, trasformare la morte in uno spettacolo o in un evento eclatante rischia di ottenere l’effetto contrario. Se è vero che i processi ecologici prevedono la mortalità, è altrettanto vero che l’eutanasia di un animale in un ambiente artificiale non rispecchia né la dinamica selvaggia della predazione né la complessità degli equilibri naturali.
Mostrare apertamente l’uccisione di un individuo allevato in cattività solleva dubbi sull’efficacia educativa di queste pratiche. Chi si occupa di etologia e tutela faunistica sottolinea che non c’è nulla di “naturale” in un animale che, anziché morire di morte naturale o essere preda di un predatore in un contesto selvatico, venga soppresso e poi smembrato a scopo dimostrativo.
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