Per Donald Trump, i dazi sono l’arma di una guerra basata sul nazionalismo identitario
Il protezionismo di Donald Trump, esercitato coi dazi, è un tassello di un'ideologia che vede l'America difendersi da chi la minaccia L'articolo Per Donald Trump, i dazi sono l’arma di una guerra basata sul nazionalismo identitario proviene da Valori.
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Le prime mosse in politica commerciale della nuova amministrazione degli Stati Uniti sono decisamente convulse. Donald Trump minaccia i Brics di mettere dazi fino al 100% se abbandoneranno il dollaro. È chiaro che l’abbandono del dollaro come valuta dei pagamenti internazionali è iniziato. Ed è altrettanto evidente che il monito trumpiano esprime la debolezza di chi sa che quei dazi non può permetterseli. E dunque strilla per scongiurare il pericolo.
In altre parole, Trump i dazi alla Cina non può aumentarli proprio perché ciò metterebbe in crisi la dollarizzazione. Quindi fa capire ai cinesi che non modificherà lo stato attuale delle cose, al di là dei mini dazi al 10%, e la bilancia commerciale molto negativa nei confronti della Cina, se non ci sarà una riduzione degli scambi in dollari da parte cinese. Ma i cinesi, in questo caso, hanno già ottenuto il loro scopo. Cioè continuare a vendere senza troppi impicci negli Stati Uniti.
I numeri che non giocano a favore di Trump
Il secondo segnale è molto pesante per Trump e viene dai numeri. Il disavanzo americano nella bilancia dei pagamenti ha superato i 3mila miliardi nel 2024. La posizione finanziaria netta – i debiti contratti dal sistema pubblico e privato statunitense nei confronti del resto del mondo – è in negativo di 24mila miliardi di dollari.
Come ridurlo senza far saltare l’indispensabile dollarizzazione è davvero difficile da capire. Se non scatenando una guerra commerciale all’Europa, con conseguenze devastanti però, dal momento che gli scambi Usa-Ue occupano ancora il 42% del totale mondiale. Le esportazioni statunitensi sono concentrate nel settore dei servizi, perché nel manifatturiero l’economia a stelle e strisce è davvero poco efficiente. C’è poi un terzo segnale, certamente di minor rilievo, ma significativo. La speculazione sul prezzo dell’oro è arrivata a 2.700 dollari l’oncia: un record che indica quanto sia scarsa la fiducia sulla nuova “Golden era”.
Un regime di guerra basato sul nazionalismo identitario
In questo scenario ha un ruolo rilevante anche la decisione del presidente Trump di trasferire gli immigrati illegali nel super carcere di Guantanamo. Le immagini pubblicate con grande orgoglio di “rimpatri” in catene sono la chiara espressione di una narrazione volta a presentare gli Stati Uniti come un Paese minacciato da una vera e propria guerra. Un Paese che ha bisogno quindi di essere governato con tanti “ordini esecutivi” a cui le varie Corti non devono porre ostacoli. Dopo aver conquistato il Congresso, Trump vuole imporre un regime speciale, di guerra appunto, con cui condurre il Paese. Il sentimento che intende coltivare è quello di un nazionalismo identitario, fondato sull’odio suprematista e sulla parallela celebrazione dell’America come terra della ricchezza per tutti.
In questo senso la politica economica sarà caratterizzata dalla ferma volontà di attrarre i capitali e i risparmi di tutto il mondo entro i confini degli Stati Uniti. A cominciare da quelli finanziari. E di accrescere il valore delle esportazioni americane in modo da ridurre la dipendenza dall’estero, resa necessaria proprio dalla “guerra” contro gli Usa che giustifica i dazi. Al tempo stesso, l’amministrazione Trump procederà da una totale deregolamentazione per permettere la generazione di ricchezza da ogni forma di impiego finanziario, dalle criptovalute “popolari” da pochi centesimi, alle trivellazioni, all’intelligenza artificiale finanziata dal governo federale, ma anche alle ripresa di settori tradizionali come acciaio, meccanica e agricoltura, attirando i produttori esteri e difendendo le produzioni nazionali.
I dazi di Trump contro l’Europa per colpire le liberal democrazie capitaliste
Tutto questo impianto troverà la sua legittimazione proprio nell’accerchiamento che gli americani stanno subendo. E che è stato favorito dai Democratici, tanto colpevoli da essere oggetto di incriminazione per tradimento degli interessi nazionali. In tale modo il capitalismo trumpiano dimostra di avere bisogno di una guerra per legittimare la propria visione.
Non si tratta di una guerra combattuta in giro per il mondo, ma costruita, attraverso una visione e un racconto fortemente ideologici, all’interno del Paese. La guerra del nazionalismo identitario retta dall’odio contro gli “assedianti”, a cominciare dai migranti illegali e dalle diversità. Dunque una guerra da combattere in nome della formula per cui l’America è solo degli americani che hanno il diritto ad arricchirsi impossessandosi delle risorse di tutti coloro che li accerchiano: popolazioni, Stati o imprese a cui fornire, se disponibili a tale destinazione verso gli Stati Uniti, un mercato senza alcuna regola.
I dazi contro l’Europa si collocano certamente bene in una simile visione messianica dove il nemico da colpire sono le liberal democrazie capitaliste, vere artefici del sacco degli Stati Uniti. In estrema sintesi, nella retorica della guerra, mettere soldi negli Stati Uniti di Trump vuol dire finanziare la sua guerra di “civiltà”. In nome di un capitalismo brutale e modello per le destre di tutto il mondo.
La reazione della Cina ai dazi di Donald Trump
Il presidente tuttavia sembra fare poco i conti con un attore ingombrante. La reazione della Cina ai mini dazi di Trump è stata molto netta. Dopo aver mostrato un’iniziale cautela nei confronti della misura annunciate da parte del nuovo inquilino della Casa Bianca, i vertici cinesi hanno replicato con estrema durezza, sia pur spostando le lancette dell’orologio al 10 febbraio. In quest’ottica è evidente che la Cina voglia far capire agli Stati Uniti, ma soprattutto ad alcuni suoi interlocutori, qual è la sua reale forza. Le misure annunciate prevedono infatti di colpire la presidenza Trump in due settori strategici, gas naturale liquefatto e petrolio con dazi fra il 15 e il 10%, e tecnologia con il blocco delle esportazioni di alcune minerali rari.
Tali provvedimenti sottendono un messaggio esplicito costituito dal rafforzamento dei legami della Cina con la Russia sul versante degli approvvigionamenti energetici e dall’intenzione di rendere oltremodo complesso lo sviluppo del settore dell’Intelligenza artificiale. L’obiettivo immediato, poi, è quello di mettere in tensione le Borse americane la cui folle finanziarizzazione speculativa le rende sensibili ad ogni movimento. Gli eventuali dazi cinesi sono in grado di far scattare subito ondate di vendite ribassiste, difficilmente gestibili, favorendo al contempo la lievitazione dei listini di Shenzen. A differenza dell’Europa, la Cina ha una forza e una “credibilità” tali da dettare ormai gli andamenti di “mercati” finanziari dove, paradossalmente, non sono neppure presenti i propri capitali. Trump deve stare davvero molto attento o la bolla gli può scoppiare in mano.
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