Ex Ilva, tutte le difficoltà del governo
Il governo ha prorogato ancora, al 14 febbraio, la procedura di vendita di Acciaierie d’Italia. Le offerte per l'interezza degli asset sono tre, tutte molto più basse della cifra auspicata dal governo. Intanto, si estende la cassa integrazione per i lavoratori dell'ex Ilva. Ecco numeri, dichiarazioni e dettagli.
Il governo ha prorogato ancora, al 14 febbraio, la procedura di vendita di Acciaierie d’Italia. Le offerte per l’interezza degli asset sono tre, tutte molto più basse della cifra auspicata dal governo. Intanto, si estende la cassa integrazione per i lavoratori dell’ex Ilva. Ecco numeri, dichiarazioni e dettagli
Il governo ha prorogato ancora, dal 31 gennaio al 14 febbraio, la procedura di vendita di Acciaierie d’Italia – la società in amministrazione straordinaria che gestisce l’ex Ilva di Taranto – per permettere ai gruppi interessati di rilanciare le loro proposte.
LE OFFERTE PER L’EX ILVA
Le offerte di acquisto giunte sono dieci, ma quelle relative all’acquisizione di tutti gli asset sono solo tre: una è quella della compagnia siderurgica azera Baku Steel, un’altra è quella dell’indiana Jindal Steel e la terza è quella del fondo d’investimento statunitense Bedrock Industries.
Considerato che di queste offerte era stata data notizia già nella seconda settimana di gennaio, la proroga della procedura a metà febbraio suggerisce che i rilanci desiderati dal governo non siano giunti. Senza contare che tutte e le tre le proposte sono lontane dalla cifra auspicata dall’esecutivo per la vendita di Acciaierie d’Italia, ovvero 1,5 miliardi di euro.
LE CIFRE
Baku Steel, infatti, ha offerto 450 milioni più 500 milioni per il magazzino (950 milioni di euro in totale, quindi). Jindal Steel ha offerto 80 milioni, più il valore di magazzino. L’offerta di Bedrock, invece, è limitata al magazzino, con la parte cash pari a zero.
La formula apparentemente inusuale di Bedrock è in realtà una “consuetudine da fondo americano”, aveva scritto Il Sole 24 Ore: l’offerta del fondo, cioè, “è formulata secondo i criteri di un private equity, con il capitale che verrebbe via via sostenuto finanziariamente dai futuri (auspicati) guadagni. Una formula incompatibile con una società in amministrazione straordinaria”.
QUAL È L’OFFERTA MIGLIORE?
Secondo Gianclaudio Torlizzi, consigliere del ministro della Difesa per le materie prime, “sul piano prettamente industriale la proposta di acquisto più solida per l’Ilva è quella di Jindal Steel. Quella degli azeri di Baku Steel la meno convincente. Riguardo l’offerta di Bedrock troppi sono ancori i punti poco chiari”.
Sul piano prettamente industriale la proposta di acquisto più solida per l’ILVA e’ quella di Jindal Steel. Quella degli azeri di Baku Steel la meno convincente. Riguardo offerta Bedrock troppi sono ancori i punti poco chiari.
— Gianclaudio Torlizzi (@TCommodity) January 11, 2025
Jindal Steel, infatti, ha un progetto di investimento da 2 miliardi di euro in tutto che fa leva sul forno elettrico ad arco, una tecnologia a più basse emissioni rispetto all’altoforno ma che non permette di ottenere acciai della stessa qualità. In teoria, un’acciaieria “elettrica” potrebbe produrre le stesse tipologie di acciaio dell’altoforno attraverso il processo di riduzione diretta, che però necessita di idrogeno pulito a basso prezzo.
Quanto a Baku Steel, Repubblica ha scritto che la loro proposta di acquisizione dell’ex Ilva è legata alla realizzazione di un rigassificatore galleggiante nel porto di Taranto.
NIENTE AZIONISTA PUBBLICO IN ACCIAIERIE D’ITALIA
La proroga della procedura e l’attesa di un rilancio delle offerte comunicano anche l’auspicio del governo per un impegno massimo da parte dei privati: lo stato, infatti, non rimarrà nell’azionariato di Acciaierie d’Italia.
“Io ho l’impressione che in questi anni la presenza dello stato non abbia contribuito per l’ex Ilva. Quindi di per sé la presenza dello stato non sempre è una soluzione al problema”, ha dichiarato pochi giorni fa il ministero delle Imprese Adolfo Urso.
“Non mi sembra che il bilancio di questi anni in cui Invitalia aveva una parte importante e significativa in Acciaierie d’Italia possa essere giudicata positiva”, ha aggiunto. “Siamo stati costretti a intervenire perché si era di fronte all’insolvenza”.
Dall’amministrazione straordinaria Acciaierie d’Italia ha ottenuto 150 milioni di euro, poi altri 150 milioni da un secondo intervento, poi ancora 320 milioni dal prestito-ponte del ministero dell’Economia e ulteriori 250 milioni a fine gennaio.
LA CASSA INTEGRAZIONE
La cifra di 1,5 miliardi di euro è importante per il governo anche perché è considerata la minima necessaria al mantenimento della società e dei suoi diecimila occupati. Al contrario, “le offerte al ribasso potrebbero tradursi in una mini Ilva (i sindacati lo hanno capito, i diecimila e ottocento addetti non sono credibili) e in una richiesta strutturale di cassintegrazione e mobilità (il Mef lo ha capito)”, ha scritto Il Sole 24 Ore.
A proposito di cassa integrazione, è giunta la proroga di altri dodici mesi dell’intervento di cassa integrazione per circa tremila lavoratori di Taranto, a partire dal 1 marzo 2025.
È UN BUON MOMENTO PER VENDERE L’EX ILVA?
Come spiegato da Startmag, il momento non è dei più propizi per la vendita di Acciaierie d’Italia: la domanda di acciaio in Europa è fiacca e i prezzi sono bassi a causa principalmente del surplus produttivo in Cina, che viene riversato all’estero e danneggia la profittabilità degli stabilimenti nel Vecchio continente.