Da Ronald a Donald, similitudini tra Reagan e Trump
C’è del Reagan in Trump. Non solo perché entrambi sono miracolosamente sopravvissuti a un tentativo di assassinio. Il nuovo presidente sembra ricalcare alcune orme del suo celebre predecessore.Ve n’eravate accorti? Alcuni tra i più efficaci slogan di Donald Trump non sono suoi. La parola d’ordine «Otterremo la pace attraverso la forza», e la domanda (retorica) posta agli elettori «State meglio oggi, o quattro anni fa?», impiegate nella campagna trumpiana 2024 per scavare un fossato contro il presidente uscente, Joe Biden, non sono affatto nuove. Risalgono per l’esattezza al 1980, quando - ripetute per mesi - misero le ali a un altro grande candidato repubblicano alla Casa Bianca: Ronald Reagan, che fu poi presidente dal 1981 al 1989. Anche il fortunatissimo slogan «Make America Great Again», che con l’acronimo «MAGA» ha riempito milioni di berretti e t-shirt, e che oggi è il simbolo del 47° presidente degli Stati Uniti, non ha nulla d’inedito: fu Reagan, chiudendo la convention repubblicana che 45 anni fa lo aveva appena scelto come candidato, a usare la frase «Let’s make America great again». Trump ha solo cancellato le due parolette all’inizio.Questi curiosi paralleli tra Ronald & Donald sono passati abbastanza inosservati. Forse perché i due presidenti, a prima vista, hanno personalità diverse. Tanto l’immagine pubblica di Trump è aggressiva e ruvida, quanto quella di Reagan era affabile e cordiale, quasi «berlusconiana» (online sopravvivono i video di alcune tra le mille barzellette che era solito raccontare dal palco). Donald è un protezionista, mentre Ronald era un fautore del libero scambio. Trump non ha quel che si dice una visione espansiva dei diritti civili, ed è ostile all’immigrazione illegale, mentre Reagan in questi campi era molto più laico e liberale, anche se va ricordato che era un anti-abortista, e ai suoi tempi non esistevano né gli eccessi della «cancel culture» né le follie dell’ideologia «gender» o di quella Woke, e le spinte migratorie non avevano la minacciosa carica di oggi. Eppure le similitudini tra Reagan e Trump sono intense. Non solo perché entrambi, prima di entrare in politica per la destra repubblicana, erano stati elettori democratici. E Ronald fu detestato dalla sinistra, in patria e in Europa: fin dall’inizio della sua presidenza venne ridicolizzato e maltrattato dai media progressisti, per essere poi descritto come un pericoloso reazionario. Proprio come da un decennio accade a Donald.Entrambi i presidenti, inoltre, sono sfuggiti a un agguato mortale. Il 30 marzo 1981 Reagan fu colpito per strada a Washington da uno dei sette colpi di pistola esplosi da John Hinckley: il proiettile gli trapassò il polmone e si fermò a 25 millimetri dal cuore. E Trump il 13 luglio 2024 è sopravvissuto al colpo di fucile sparato a 150 metri di distanza da Thomas Matthew Crook nel comizio di Butler, in Pennsylvania: il colpo l’ha ferito a un orecchio, sfiorandogli il cranio per soli 15 millimetri. Usciti dall’ospedale, sebbene nessuno dei due avesse mai mostrato grande devozione, sia Reagan sia Trump hanno detto di essere stati «salvati dalla mano di Dio». Le storie dei due presidenti si sovrappongono anche in campo economico e fiscale. La «Reaganomics» degli anni Ottanta e il «Tax cuts and jobs act» del 2017 si sono posti lo stesso obiettivo: stimolare la crescita riducendo la pressione tributaria. Reagan tagliò le aliquote, riducendo la massima dal 70 al 28 per cento. Nel primo mandato, Trump ha ridotto l’aliquota per le imprese dal 35 al 21. Risultati? Il Pil americano accelerò a una media del 3,6 per cento per tutti e otto gli anni di Reagan, e al 2,6 per cento nei primi tre anni di Trump, dal 2016 al 2019 (nel 2020 scoppiò il Covid, e a quel punto il mondo si fermò); l’occupazione alla fine del mandato di Reagan era aumentata del 3,5 per cento, e del 4,7 alla fine del triennio trumpiano.È in campo internazionale, però, che i collegamenti tra Ronald e Donald sono più evidenti. Reagan prese in mano gli Stati Uniti dopo i disastri causati da Jimmy Carter, il presidente democratico che nel 1979 aveva permesso l’invasione sovietica dell’Afghanistan e non aveva per nulla colto i rischi della rivoluzione degli Ayatollah in Iran, antefatto e prologo di decenni di terrorismo islamico. Nel 2016 Trump è arrivato alla Casa Bianca anche grazie agli imperdonabili errori compiuti sullo scacchiere internazionale da Barack Obama, che dopo aver annunciato nel 2009 il «disimpegno americano a livello mondiale» aveva ritirato gli Stati Uniti dall’Iraq e dal Medio Oriente, lasciando campo libero alla Russia, all’Iran e soprattutto alla Jihad, tanto da permettere la nascita dello Stato islamico in Iraq e Siria, e l’esplosione globale del terrorismo. Trump oggi è tornato al potere anche grazie al disastro lasciato da Joe Biden, che dopo aver devastato l’immagine degli Stati Uniti con l’ingloriosa ritirata dall’Afghanistan, nell’agosto 2021, ha rinunciato alla deterrenza militare: così ha permesso l’invasion
C’è del Reagan in Trump. Non solo perché entrambi sono miracolosamente sopravvissuti a un tentativo di assassinio. Il nuovo presidente sembra ricalcare alcune orme del suo celebre predecessore.
Ve n’eravate accorti? Alcuni tra i più efficaci slogan di Donald Trump non sono suoi. La parola d’ordine «Otterremo la pace attraverso la forza», e la domanda (retorica) posta agli elettori «State meglio oggi, o quattro anni fa?», impiegate nella campagna trumpiana 2024 per scavare un fossato contro il presidente uscente, Joe Biden, non sono affatto nuove. Risalgono per l’esattezza al 1980, quando - ripetute per mesi - misero le ali a un altro grande candidato repubblicano alla Casa Bianca: Ronald Reagan, che fu poi presidente dal 1981 al 1989. Anche il fortunatissimo slogan «Make America Great Again», che con l’acronimo «MAGA» ha riempito milioni di berretti e t-shirt, e che oggi è il simbolo del 47° presidente degli Stati Uniti, non ha nulla d’inedito: fu Reagan, chiudendo la convention repubblicana che 45 anni fa lo aveva appena scelto come candidato, a usare la frase «Let’s make America great again». Trump ha solo cancellato le due parolette all’inizio.
Questi curiosi paralleli tra Ronald & Donald sono passati abbastanza inosservati. Forse perché i due presidenti, a prima vista, hanno personalità diverse. Tanto l’immagine pubblica di Trump è aggressiva e ruvida, quanto quella di Reagan era affabile e cordiale, quasi «berlusconiana» (online sopravvivono i video di alcune tra le mille barzellette che era solito raccontare dal palco). Donald è un protezionista, mentre Ronald era un fautore del libero scambio. Trump non ha quel che si dice una visione espansiva dei diritti civili, ed è ostile all’immigrazione illegale, mentre Reagan in questi campi era molto più laico e liberale, anche se va ricordato che era un anti-abortista, e ai suoi tempi non esistevano né gli eccessi della «cancel culture» né le follie dell’ideologia «gender» o di quella Woke, e le spinte migratorie non avevano la minacciosa carica di oggi. Eppure le similitudini tra Reagan e Trump sono intense. Non solo perché entrambi, prima di entrare in politica per la destra repubblicana, erano stati elettori democratici. E Ronald fu detestato dalla sinistra, in patria e in Europa: fin dall’inizio della sua presidenza venne ridicolizzato e maltrattato dai media progressisti, per essere poi descritto come un pericoloso reazionario. Proprio come da un decennio accade a Donald.
Entrambi i presidenti, inoltre, sono sfuggiti a un agguato mortale. Il 30 marzo 1981 Reagan fu colpito per strada a Washington da uno dei sette colpi di pistola esplosi da John Hinckley: il proiettile gli trapassò il polmone e si fermò a 25 millimetri dal cuore. E Trump il 13 luglio 2024 è sopravvissuto al colpo di fucile sparato a 150 metri di distanza da Thomas Matthew Crook nel comizio di Butler, in Pennsylvania: il colpo l’ha ferito a un orecchio, sfiorandogli il cranio per soli 15 millimetri. Usciti dall’ospedale, sebbene nessuno dei due avesse mai mostrato grande devozione, sia Reagan sia Trump hanno detto di essere stati «salvati dalla mano di Dio». Le storie dei due presidenti si sovrappongono anche in campo economico e fiscale. La «Reaganomics» degli anni Ottanta e il «Tax cuts and jobs act» del 2017 si sono posti lo stesso obiettivo: stimolare la crescita riducendo la pressione tributaria. Reagan tagliò le aliquote, riducendo la massima dal 70 al 28 per cento. Nel primo mandato, Trump ha ridotto l’aliquota per le imprese dal 35 al 21. Risultati? Il Pil americano accelerò a una media del 3,6 per cento per tutti e otto gli anni di Reagan, e al 2,6 per cento nei primi tre anni di Trump, dal 2016 al 2019 (nel 2020 scoppiò il Covid, e a quel punto il mondo si fermò); l’occupazione alla fine del mandato di Reagan era aumentata del 3,5 per cento, e del 4,7 alla fine del triennio trumpiano.
È in campo internazionale, però, che i collegamenti tra Ronald e Donald sono più evidenti. Reagan prese in mano gli Stati Uniti dopo i disastri causati da Jimmy Carter, il presidente democratico che nel 1979 aveva permesso l’invasione sovietica dell’Afghanistan e non aveva per nulla colto i rischi della rivoluzione degli Ayatollah in Iran, antefatto e prologo di decenni di terrorismo islamico. Nel 2016 Trump è arrivato alla Casa Bianca anche grazie agli imperdonabili errori compiuti sullo scacchiere internazionale da Barack Obama, che dopo aver annunciato nel 2009 il «disimpegno americano a livello mondiale» aveva ritirato gli Stati Uniti dall’Iraq e dal Medio Oriente, lasciando campo libero alla Russia, all’Iran e soprattutto alla Jihad, tanto da permettere la nascita dello Stato islamico in Iraq e Siria, e l’esplosione globale del terrorismo. Trump oggi è tornato al potere anche grazie al disastro lasciato da Joe Biden, che dopo aver devastato l’immagine degli Stati Uniti con l’ingloriosa ritirata dall’Afghanistan, nell’agosto 2021, ha rinunciato alla deterrenza militare: così ha permesso l’invasione russa dell’Ucraina e l’espansione delle ambizioni strategiche della Cina.
L’inconsistenza di Biden, poi, ha permesso ciò che settant’anni di politica estera americana avevano sempre scongiurato: l’alleanza anti-Occidente tra Mosca e Pechino. Reagan non fu compreso in tutta la sua grandezza se non quando, dopo otto anni di contrapposizione diretta all’Unione Sovietica e dopo aver aumentato la spesa militare del 54 per cento tra il 1981 e il 1985, fu lui a vincere la Guerra Fredda e a far cadere «l’Impero del Male». Trump ha usato i suoi primi quattro anni giocando un’immensa partita economica e militare contro la Cina, il grande avversario strategico dell’Occidente.Oggi deve fare fronte contro il nuovo «asse del Male» tra Vladimir Putin e Xi Jinping, allargato all’Iran. Una partita quasi più difficile di quella del vecchio Ronald.