Vicino a casa, nell’Irlanda del nord
Vicino a Casa, traduzione di Carlo Prosperi, pagg 310, euro 22), di Michael Magee, romanzo d’esordio di questo giovane autore, non si sottrae del tutto al cliché L'articolo Vicino a casa, nell’Irlanda del nord proviene da Globalist.it.
di Rock Reynolds
Popolo fiero, quello d’Irlanda, nazione occupata e vessata per secoli dal colonizzatore britannico per il quale era poco più di un ammasso incolto di pezzenti mangiapatate, buoni solo per una sbronza in compagnia. Per questo, dopo l’invasione ordita e attuata da Oliver Cromwell – provate a chiedere a qualcuno, nell’Isola di Smeraldo, se ritiene che, insieme a Winston Churchill, sia giusto intestargli strade, piazze, scuole eccetera – per facilitare il controllo del paese, fu ordinato un influsso di massa di contadini presbiteriani scozzesi che avrebbero preso il controllo delle terre migliori, rappresentando così la vera testa di ponte della monarchia britannica tra quella gente riottosa, inospitale, indomabile.
Ogni volta che esce un nuovo romanzo irlandese – cosa che capita spesso perché, a dispetto dello snobismo e del razzismo imperialista, la grande narrativa e, in senso più lato, il fuoco della creatività sono due delle tante qualità innegabili dell’Irlanda – risulta naturale aspettarsi che la storia raccontata abbia stretti legami con la secolare lotta per affrancarsi dall’odiato colonizzatore.
Vicino a Casa, traduzione di Carlo Prosperi, pagg 310, euro 22), di Michael Magee, romanzo d’esordio di questo giovane autore, non si sottrae del tutto al cliché – che cliché, peraltro, non è, considerati l’impatto che il tentativo di svincolarsi per sempre dal controllo britannico ha avuto sul paese e le ferite profonde che continuerà a mostrare a lungo – tenendo sullo sfondo i cosiddetti “Troubles”, il trentennio di guerra civile nell’Ulster, l’Irlanda del Nord, e facendovi saltuarie, interessanti incursioni.
Vicino a Casa narra la vicenda di una famiglia disfunzionale, quella del protagonista Sean, un ambiente domestico non certo idilliaco, con una madre separata e insicura, un fratello pericolosamente e perennemente sul ciglio del precipizio con il suo stile di vita esagerato e un padre separato e del tutto assente, sul cui passato incombe un’ombra fosca. Siamo a Belfast, città internazionale, se non esattamente cosmopolita, in cui oggi per fortuna l’eco dei Troubles è solo un ricordo o, forse, un memento. La vita corre veloce, non diversamente da svariati altri grandi centri europei, con un’università prestigiosa e locali à la page che davvero sembrano avere poco a che spartire con la storia di sangue e divisione di quella che è una delle ultime propaggini dell’Impero Britannico tuttora in mano alla Gran Bretagna. L’ostinazione con cui Londra si è tenuta stretta l’Ulster o, meglio, la tenacia con cui la popolazione protestante, lealista, unionista (e settariamente privilegiata) è restata abbarbicata alla madrepatria inglese sono state, insieme all’insopprimibile fuoco irredentista della comunità cattolica, repubblicana, nazionalista, la prima scintilla di un conflitto sanguinoso alle porte della civilissima Europa. Ecco perché il popolo irlandese è così solidale con quello palestinese: ha subito vessazioni e umiliazioni a non finire dalla potenza occupante e per secoli è stato costretto a far buon viso a cattivo gioco e, quel che è peggio, ad accettare supinamente la narrazione dei potenti.
Sean vive la sua vita senza grandi progetti, nonostante gli studi universitari in Lettere fatti a Liverpool. L’esistenza per un giovane cattolico che non abbia le spalle coperte da una famiglia facoltosa può risultare complicata a Belfast e i sogni spesso restano pie illusioni, al punto che molti non se li consentono neppure. Passando da un lavoretto precario all’altro, sperperando in alcol e droghe buona parte dei pochi soldi guadagnati, con l’unica prospettiva di emigrare in Australia – cosa che il suo amico Ryan intende fare, senza realmente sapere se tale decisione sia la mossa della disperazione – Sean ha scarsi punti di riferimento e, per giunta, poco solidi: la madre depressa, il fratello sbandato che ha un segreto inconfessabile sulla coscienza, e Mairéad, la ragazza con cui intrattiene una bizzarra relazione sentimentale. Non abbastanza per trovare l’equilibrio necessario. E poi c’è un elemento che pare onnipresente nella storia irlandese, non soltanto nel Nord: la violenza legata all’abuso di alcol, una piaga endemica che il governo di Dublino e pure quello di Belfast, che amministra l’Ulster per conto di Londra, da decenni si stanno sforzando di sanare. Quando il tasso etilico supera la soglia di sicurezza, è più facile prevedere disastri che gesti edificanti. Il romanzo di Maghee si apre con un disastro, una conseguenza quasi diretta della difficoltà di un rientro a casa per stare vicino alla madre e al fratello, con la consapevolezza chiarissima dei rischi che il ritorno nell’ambiente difficile, alienante e a tratti spietato della Belfast post-Accordi del Venerdì Santo avrebbe comportato.
Lo stile narrativo di Maghee è volutamente semplice, immediato, con dialoghi da strada, senza virgolette. I luoghi raccontati, quelli della movida, pulsano di vita vera. Sulla vicenda incombe costantemente un’ombra minacciosa, lo spettro della depressione della società urbana moderna, globalizzata in una bolla di finzione fagocitante che non risparmia nessuno. Di quando in quando, come detto, saltano fuori i Troubles, un trentennio che – nonostante la pace sancita faticosamente tra cattolici e protestanti, pace che finora ha retto – ha segnato le sei contee dell’Ulster talmente in profondità da andare a occupare uno spazio mentale inequivocabile. E, naturalmente, salta fuori l’IRA, l’Esercito Repubblicano d’Irlanda che, nel periodo della guerra civile, in certe zone si ergeva a depositario della giustizia, sostituendosi ai Royal Ulster Constabulary, troppo vicini ai nemici lealisti.
Vicino a Casa è un bel romanzo. Non aspettatevi un autentico noir, perché non lo è e non si prefigge di esserlo. Però, le pagine scorrono senza intoppi, alimentate da un’innegabile capacità di introspezione e da personaggi vivi, credibili, inseriti in situazioni e luoghi mai lontani dalla realtà.
Proprio in questi giorni, sto leggendo un bel romanzo uscito in inglese nel 1983 e subito diventato un film dallo stesso titolo: Cal di Bernard MacLaverty, la storia di Cal, appunto, a sua volta un ragazzo che vive con la madre e che deve districarsi tra le difficoltà tipiche della sua età e il clima di violenza dei Troubles. Peccato che non sia più disponibile nella versione italiana. E non disponibile è pure un altro splendido libro, Giornataccia a Blackrock, di Kevin Power, che ricostruisce un terribile fatto di cronaca – il pestaggio a morte di un ragazzo a opera di un gruppo di compagni di scuola, davanti a una discoteca alla moda in un quartiere bene di Dublino – per avere un quadro non tanto diverso della società contemporanea irlandese (per quanto Dublino non sia Belfast) e delle sue idiosincrasie.
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