Giorgia Meloni cita a sproposito Penelope: capita a chi sfoggia una cultura solo orecchiata eppure male
Giorgia Meloni non conosce l'abc della mitologia greca e così cita Penelope e si paragona alla moglie di Ulisse dando vita ad uno sfondone imbarazzante L'articolo Giorgia Meloni cita a sproposito Penelope: capita a chi sfoggia una cultura solo orecchiata eppure male proviene da Globalist.it.
di Gero Campaldini
Per giustificare scelte e indirizzi politici di governo, alla famiglia Meloni piace evocare la letteratura e la mitologia. Si ricorderà il post di Arianna, sorella di Giorgia, prima che questa diventasse premier: “Ti accompagnerò sul monte Fato a gettare quell’anello nel fuoco, come Sam con Frodo”.
Ancora l’altro giorno, durante la riunione dello stato maggiore di Fdi – che ha avuto luogo nella bagarre tra forze di maggioranza e magistratura, con l’indagine nei confronti della premier per il caso Almasri e il rinvio a giudizio della Ministra del Turismo Daniela Santaché per falso in bilancio – riferendosi all’amata sorella l’ineffabile Arianna ha tirato in ballo lo scrittore fantasy assoldato dal suo partito: “L’anello è pesante, dobbiamo aiutarla nella fatica di portarlo senza mai indossarlo: è ciò che ci siamo sempre promessi. Oggi ognuno è chiamato a fare la propria parte”, distillando poi l’ennesima citazione: “Giorgia è il nostro Frodo, noi la Compagnia dell’Anello”.
Del resto, è noto: l’attuale Destra italiana si è appropriata, non si capisce a quale titolo, di una delle frasi più citate del Signore degli Anelli, “Le radici profonde non gelano” – aforisma che ha dato la stura ai maggiori fraintendimenti dell’interpretazione del romanzo di J. R. R. Tolkien –, e in generale di hobbit, terra di mezzo, draghi ed elfi, per quanto sfugga ai più cosa diavolo c’entri la Contea da cui è partito Frodo Baggins con gli eredi del fascismo, quelli di Fratelli d’Italia. Appropriazione indebita nel cui alveo si situa – ricorderemo ancora – la mostra che il poco compianto ex Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (il quale, se per questo, assunse tra i destrorsi nientepopodimeno che Dante Alighieri) fortemente volle per i 50 anni della morte dello scrittore britannico.
Nel video diffuso a difesa del suo opinabile operato – nello specifico, la liberazione, con tanto di rimpatrio con aereo di stato, del “torturatore di Mitiga” su cui pende un mandato di arresto della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, il famigerato Almasri (il cui vero nome è forse Osama al-Najeem), che le è valso l’iscrizione nel registro degli indagati per i reati di favoreggiamento e peculato (atto dovuto, e comunque non un “avviso di garanzia”, come erroneamente proclamato dalla premier) –, per non essere da meno della coltissima sorella Giorgia Meloni si è rivolta alla letteratura dell’antica Grecia, scomodando Penelope e la sua famigerata tela. Così ha dichiarato nella sua “ospitata” all’evento “La ripartenza” di Nicola Porro, con monologo di quindici minuti: “Il punto è che quello che sta accadendo è soprattutto un danno che si fa alla nazione, che si fa alle sue opportunità, che si fa alle sue speranze, che si fa alle sue occasioni. Ecco che cosa mi manda francamente un po’ ai matti, che tu puoi essere anche disposto a fare tutti i sacrifici necessari, a portare a casa dei risultati, ma se quegli stessi italiani che dovrebbero remare con te invece ti remano contro, o smontano tutto il lavoro che fai… lei se la ricorda, Porro, Penelope, no?, la mitologica moglie di Ulisse? Ecco, al confronto a me Penelope avrebbe tessuto le tende dello stadio Olimpico. Questo obiettivamente ti manda un po’ ai matti”. E poi: “Se alcuni giudici vogliono governare si candidino alle elezioni”. A questo punto, applausi a scena aperta del pubblico alla colta e ironica citazione.
Ora, sorvolando sulla qualità dell’eloquio della leader a capo dell’Esecutivo, sul consueto ricorso al vittimismo, lo sparigliare le carte per confondere le acque, alla sua claque è sfuggito un particolare: il paragone istituito è fuori luogo. Di più: le si ritorce contro. Evidentemente sfugge, alla premier, uno dei significati fondamentali del mito omerico: un’attività dilatoria e strategica per guadagnare tempo. Perché – Meloni pare ignorare – a smontare la tela tessuta con diligenza dalla regina di Itaca non era un nemico, ma ella stessa, di notte, per prendere tempo ed ingannare i Proci, nobili pretendenti alla sua mano che la assediano durante la lunga assenza del marito.
Non sarebbe, dunque, simbolicamente, un magistrato o un avversario politico a smontare la tela (leggasi il lavoro intrapreso per il bene del Paese) tessuta dalla premier, ma proprio lei: qualcosa non torna nell’abborracciata citazione. Pericoli che si corrono quando si fa ricorso ad una cultura male orecchiata.
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