Trump passa all’azione: borse giù e dollaro su
Stamattina le borse scendono in Asia Pacifico, i future anticipano un calo del 2,5% dell’azionario dell’Europa. A completare il quadro, c’è il forte rafforzamento del dollaro, il rimbalzo del petrolio e la caduta del bitcoin.Tariffe del 25% contro i Paesi vicini degli Stati Uniti e del 10% contro Pechino. Canada, Messico e Cina non sono rimasti a guardare.Il segretario della NATO, Mark Rutte ha detto che la spesa militare sarà "molto, molto, molto di più" del 2% del Pil. Risiko finanziario sempre più complicato in Italia. Unicredit possiede direttamente il 4,1% di Assicurazioni Generali e gestisce per conto dei propri clienti un ulteriore 0,6%.
Quella che il Wall Street Journal ha definito, “la guerra commerciale più stupida della storia”, è iniziata venerdì sera: gli effetti dei primi provvedimenti si sono visti immediatamente. Wall Street ha girato al ribasso e ha chiuso in negativo: S&P500 -0,5%. Gennaio si è chiuso in rialzo (+2,7%) ma febbraio rischia di essere un mese molto difficile per il Toro. Stamattina le borse scendono in Asia Pacifico, i future anticipano un calo del 2,5% dell’azionario dell’Europa. A completare il quadro, c’è il forte rafforzamento del dollaro, il rimbalzo del petrolio e la caduta del bitcoin.
Messico, Canada e Cina sono responsabili - secondo la versione della Casa Bianca - "dell'invasione di migranti e di fentanyl che sta uccidendo migliaia di americani”: perciò dal primo febbraio scatta la risposta: tariffe del 25% contro i Paesi vicini degli Stati Uniti e del 10% contro Pechino. Non è finita, il presidente Donald Trum è tornato a minacciare i paesi emergenti, brandendo tariffe al 100% se creeranno una loro valuta o ne sosteranno una alternativa al dollaro. All'Unione europea ha mandato un messaggio chiaro: "Ci ha trattati male, imporrò dazi sicuramente anche a loro”.
Smentendo le indiscrezioni, venerdì sera, mentre i media parlavano di un ripensamento o di un possibile posticipo al primo marzo delle misure , la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt si è presentata alla stampa per fare chiarezza: le tariffe "scatteranno domani", 1 febbraio. Il commander-in-chief ha poi spiegato nello Studio Ovale quali saranno i prodotti colpiti: acciaio e farmaceutici dal primo febbraio, poi microchip, petrolio e gas dal 18 febbraio.
Canada, Messico e Cina non sono rimasti a guardare. A poche ore dalla firma di Donald Trump sull'ordine esecutivo dei dazi, il premier canadese Justin Trudeau ha annunciato misure di ritorsione del 25% su beni statunitensi per un valore di oltre 100 miliardi di dollari, la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha promesso una reazione proporzionata e il ministero del Commercio cinese ha dichiarato che presenterà una causa contro gli Stati Uniti presso l'Organizzazione mondiale del commercio nonché l'adozione di "contromisure corrispondenti". E mentre la guerra dei dazi è ormai entrata nel vivo sul fronte nordamericano e quello asiatico, l'Europa nel mezzo si prepara ad affrontarla con una risposta dura. "Certamente non stiamo cercando l'escalation, ma difenderemo il Canada, i canadesi e i posti di lavoro canadesi", ha assicurato il premier in uscita nel corso di una conferenza stampa. Il presidente americano per tutta risposta ha insistito sul fatto che il Canada dovrebbe diventare il 51esimo Stato americano così da ottenere "tasse molto più basse, una protezione militare di gran lunga migliore per il popolo canadese e nessun dazio". Anche il Messico ha reagito alle misure americane con Sheinbaum che ha denunciato come "calunniosa" l'accusa di avere legami con i cartelli della droga. Più moderata la risposta di Pechino, comunque risparmiata da Trump con dazi del 'solo' 10%, che ha lasciato aperta una finestra per il dialogo e il compromesso. Intanto il presidente americano ha, alla fine, ammesso quello che gli esperti andavano dicendo da settimane e cioè che le tariffe avranno delle conseguenze dirette sugli americani. “Ci sarà qualche sofferenza? Sì, forse (e forse no!)", ha scritto su Truth il presidente americani. "Ma renderemo l'America di nuovo grande, e ne varrà la pena”.
Fin qui gli eventi di venerdì, sabato e parte della domenica. Ieri sera, i toni sono cambiati. Parlando con i reporter al suo ritorno a Washington da Mar-a-Lago, Trump ha detto che stamattina avrà dei colloqui con i vertici di Ottawa e Città del Messico. Il presidente Usa ha anche avvertito che presto annuncerà dazi suoi prodotti dell’Ue.
"Le misure tariffarie trasversali aumentano i costi aziendali, danneggiano lavoratori e consumatori. I dazi creano inutili sconvolgimenti economici e spingono l'inflazione", ha affermato il portavoce della Commissione europea. "I mercati aperti e il rispetto delle regole del commercio internazionale sono essenziali per una crescita economica forte e sostenibile", ha aggiunto, riaffermando che "l'Ue crede fermamente che tariffe basse spingano la crescita e la stabilità economica all'interno di un sistema commerciale forte e basato su regole”.
Toni diversi dall’Italia. Secondo il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, se l’Europa vuole evitare una guerra commerciale con Trump deve acquistare di più dagli Stati Uniti, aumentare i bilanci della difesa e deregolamentare per rafforzare l'economia europea. In un'intervista a Politico.eu, il vicepremier ha spiegato che un modo per affrontare ed evitare la minaccia dei dazi è creare "un clima virtuoso" acquistando più beni dagli Stati Uniti.
Il segretario della NATO, Mark Rutte ha detto che la spesa militare sarà "molto, molto, molto di più" del 2% del Pil. Crescerà ben oltre quella soglia destinata a essere spazzata via dalla nuova realtà geopolitica, nella convinzione - diventata il mantra del segretario generale dell'Alleanza - che "per prevenire la guerra" sia necessario "prepararsi alla guerra". Spetterà ai leader decidere fino a che punto spingersi: l'ipotesi più accreditata - in discussione anche nelle prossime ore al vertice informale Ue tutto dedicato alla difesa a Bruxelles - vede il target salire fino al 3 o persino al 3,5%, pur lontano da quel 5% preteso dal presidente americano.
Unicredit possiede direttamente il 4,1% di Assicurazioni Generali e gestisce per conto dei propri clienti un ulteriore 0,6%. La banca guidata da Andrea Orcel scopre così le sue carte. E assicura che l'acquisto, accumulato nel tempo, è un "puro investimento finanziario". E' chiaro però che le azioni in suo possesso arrivano sul tavolo nel quale due gruppi contrapposti stanno per iniziare il confronto per il controllo di Generali. Nella partita per il rinnovo del Cda della compagnia triestina si scende in campo per l’assemblea dell'8 maggio. La data si avvicina e le squadre già iniziano a scaldarsi: da una parte ci sarà Mediobanca che con l'aiuto dei fondi esteri ha vinto l'ultima sfida; dall'altra i gruppi Delfin e Caltagirone che, pur se autonomi, spesso hanno condiviso e condividono valori e battaglie. L'ingresso di Unicredit in Generali è con una quota di tutto rispetto, che ai valori di borsa attuali vale circa 2 miliardi.
"La quota, acquisita nel tempo sul mercato, è un puro investimento finanziario della banca che supera in modo significativo le sue metriche di rendimento e ha un impatto trascurabile sul CET1”, scrive l'istituto per spiegare che l'obiettivo è quello di ottenere un buon rendimento, senza intaccare gli equilibri finanziari dei propri conti. Unicredit, lo dice chiaramente, tiene invece a Commerz e a Banco Bpm. "UniCredit - assicura la società - non ha un interesse strategico in Generali e rimane pienamente concentrata sull'esecuzione del piano UniCredit Unlocked, sull'offerta di scambio in corso su Banco Bpm e sull'investimento in Commerzbank”.
Di certo le diverse partite si intrecciano con la nomina del Cda di Generali. La fotografia scattata ora, che ovviamente potrebbe cambiare ancora, indica che Mediobanca alla prossima assemblea di Generali arriverà con il 13,1% del capitale e, questa volta, non ci sarà la cosiddetta 'lista del Cda' che aveva appoggiato e orientato. Dall'altra parte i gruppi Delfin della famiglia Del Vecchio, con il 9.93%, e Caltagirone, con il 6,92%, uniti hanno più del 16%. Il risultato dipenderà da tanti aspetti. E' difficile semplificare. Ma appare chiaro che lo spostamento del 4,1% di Unicredit sarà un vero e proprio ago della bilancia.
MPS - Mediobanca. Moody’s ha confermato il rating di Mediobanca, ma ha cambiato l'outlook su issuer e senior unsecured debt a negativo. Anche su MPS, l’agenzia du rating Usa ha confermato il giudizio ma ha cambiato l'outlook su depositi e senior unsecured debt a positivo.
Italgas. L'accordo con 2i Rete Gas dovrebbe chiudersi alla fine del primo trimestre o inizio del secondo, ha spiegato a margine di un convegno veneziano l'AD Paolo Gallo, confermando attorno a 1 miliardo l'entita' dell'aumento di capital enecessario. Le richieste dell'antistrust probabilmente imporranno cessioni di asset in aree in cui Italgas e 2i Rete Gas sono i due competitor.
STM sta valutando di tagliare fino al 6% della sua forza lavoro, ovvero fino a 3.000 lavoratori nei suoi stabilimenti in Francia e Italia come parte di un programma di ristrutturazione. Lo ha riportato Bloomberg News, citando fonti anonime.