Rettifica del saldo e ripetizione d’indebito: recap del Tribunale di Cagliari su contestazione e/c, interessi, rimesse e fido.

Nota a Trib. Cagliari, 27 gennaio 2025, n. 150. Segnalazione a cura dell’Avv. Federico Meloni.

Feb 5, 2025 - 18:13
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Rettifica del saldo e ripetizione d’indebito: recap del Tribunale di Cagliari su contestazione e/c, interessi, rimesse e fido.

Nota a Trib. Cagliari, 27 gennaio 2025, n. 150.

Segnalazione a cura dell'Avv. Federico Meloni.

di Veronica Valeria Loi

Avvocato

La sentenza del Tribunale di Cagliari n. 150/25 del 27 gennaio 2025 offre le principali coordinate normative e giurisprudenziali da seguire nelle ipotesi di domanda di accertamento negativo del saldo di conto corrente con ripetizione di indebito al fine di una corretta rideterminazione del dare avere tra le parti[1].

Il giudice del capoluogo sardo, infatti, ha accolto la domanda proposta da una società correntista al fine di ottenere la restituzione di quanto illegittimamente versato in relazione ad un rapporto di conto corrente, aperto nel lontano 1989, affrontando, anche alla luce della domanda riconvenzionale della Banca convenuta, le principali questioni da sempre oggetto del contendere nell’ambito di queste controversie, ovvero: la mancata contestazione degli e/c, la ripartizione dell’onere probatorio, l’applicazione di interessi ultralegali, anatocismo e cms, la “ricerca” delle rimesse solutorie, la prova del fido e la produzione “lacunosa” degli estratti conto.

Ebbene, attraverso un’attenta e chiara disamina di tutte queste dibattute tematiche, in applicazione dei più recenti principi giurisprudenziali espressi in materia, puntualmente richiamati in sentenza, e facendo proprie le risultanze della CTU, il Tribunale di Cagliari ha rideterminato il corretto dare avere tra le parti, condannando l’Istituto di credito a restituire al fallimento, attore in riassunzione, la somma di Euro 103.683,09, oltre alla rifusione delle spese legali e di CTU.

 

Sulla mancata contestazione degli estratti conto.

Innanzitutto, il Giudice isolano, con riferimento alla “mancata contestazione degli estratti conto”, previo richiamo a quanto disposto dagli articoli 1832 c.c.[2] e 119 TUB[3], il giudicante ha rilevato che, “per orientamento giurisprudenziale consolidato, l’approvazione tacita del conto non ha riguardo alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali derivino gli addebiti, e quindi non preclude le contestazioni fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, dell’inclusione o dell’eliminazione di partite del conto corrente.  La mancata contestazione dell’estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate, cioè, riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale”.

Da qui, dunque, la dichiarata infondatezza dell’eccezione preliminare della bancadi inammissibilità dell’azione per mancata contestazione degli estratti contoposto che con l’atto introduttivo l’attrice ha contestato la validità delle pattuizioni contrattuali e la conseguente illegittimità ed inefficacia degli addebiti operati sul conto dalla convenuta banca”.

 

Sull’illegittimità del tasso di interesse applicato in misura ultra-legale.

Entrando nel merito della domanda attorea, in primis, il magistrato sardo ha ritenuto fondata l’eccezione “riguardante l’illegittimità del tasso corrispettivo applicato in misura ultra-legale dall’istituto di credito, in assenza di pattuizione scritta”.

Infatti, il contratto di conto corrente oggetto di causa risulta stipulato nel lontano 1989, epoca in cui “non era in vigore né la legge sulla c.d. “trasparenza bancaria” (ovverosia, la legge n. 154/1992), né, tantomeno il D.lgs. n. 385/1993 (c.d. TUB) che, rispettivamente agli artt. 3 e 117, hanno introdotto nell’ordinamento la forma scritta ad substantiam per i contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari. All’epoca della stipulazione del contratto era dunque vigente (…), il solo art. 1284 co 3 c.c. per cui «gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale», regola già allora pacificamente interpretata nel senso che per la pattuizione di interessi superiori alla misura legale la forma scritta è richiesta ad substantiam e che la sua mancanza è causa di nullità assoluta del patto, rilevabile dal giudice ex officio[4].

 

 

Sulla ripartizione dell’onere probatorio.

In merito alla ripartizione dell’onere probatorio, il giudicante ha osservato “che allorquando sia il correntista ad agire in giudizio per l’accertamento delle somme indebitamente versate alla banca e per la loro ripetizione, incombe su costui, secondo i comuni canoni sanciti dall’art. 2697 c.c. e ribaditi dal prevalente insegnamento giurisprudenziale, l’onere di allegare specificamente e provare – in positivo – i fatti costitutivi del proprio diritto, versando agli atti del processo tutta la documentazione utile a consentire di ricostruire in maniera puntuale il rapporto contrattuale intercorso tra le parti e l’ammontare della azionata pretesa restitutoria.

Mentrenel caso in cui l’attore proponga domanda di accertamento negativo del diritto del convenuto e quest’ultimo non si limiti a chiedere il rigetto della pretesa avversaria, ma proponga domanda riconvenzionale per conseguire il credito negato dalla controparte, allora valgono regole differenti, giacché ambedue le parti hanno l’onere di provare le rispettive contrapposte pretese[5].

Ma, come ha chiarito la Suprema Corte, il suddetto principio, di carattere generale, “sempre operante ove si faccia questione di un contratto pacificamente concluso per iscritto, si presta ad essere diversamente modulato con riferimento a due particolari ipotesi, entrambe collegate a un’allegazione attorea circa la conclusione del contratto verbis tantum o per fatti concludenti”.

  • Infatti, èpossibile che quest’ultima allegazione sia incontroversa tra le parti, e allora il giudice deve dare senz’altro atto dell’integrale nullità del negozio e, quindi, anche dell’assenza di clausole che giustifichino l’applicazione degli interessi ultralegali e della commissione di massimo scoperto.
  • Ma è altresì possibile “che la domanda basata sul mancato perfezionamento del contratto nella forma scritta sia contrastata dalla banca (che quindi sostenga la valida conclusione, in quella forma, del negozio): e in tale seconda ipotesi non può gravarsi il correntista, attore in giudizio, della prova negativa della documentazione dell’accordo, incombendo semmai alla banca convenuta di darne positivo riscontro[6].

Ebbene,nel caso di specie, stante la contestazione della società attrice circa l’assenza di un contratto scritto, sarebbe stato onere della banca quello di dimostrare in giudizio la stipulazione scritta del contratto, procedendo alla relativa produzione”.

A tal proposito, il magistrato cagliaritano fa notare “che la suddetta conclusione non muta affatto per la circostanza che la attrice ebbe ad inviare alla banca, prima di introdurre la causa, la richiesta di “copia originaria del contratto di conto corrente” in data 11.04.2014 (…). Infatti, se, da un lato, ciò parrebbe sottintendere l’esistenza di un contratto scritto, dall’altro, di per sé, non dimostra affatto che le parti stipularono un contratto in forma scritta, essendo il tenore della richiesta rivolta alla banca circostanza del tutto equivoca: la richiesta di documentazione, rimasta senza esito, può infatti essere richiamata quale argomento logico a riscontro dell’assenza di un contratto scritto”.

Invero, nel caso in esame, “dagli atti emerge (…) che la “prima” pattuizione scritta del contratto (e quindi del tasso) è avvenuta solo in data 24.11.2004 (cfr. doc. 1 alla nota della banca del 30.6.2016 in ottemperanza all’ordine di esibizione); con la conseguenza che si tratta di procedere ad una rideterminazione del saldo dare/avere (anzitutto) sostituendo il tasso applicato dalla banca nel quindicennio antecedente al 2004, con il tasso legale di riferimento, in applicazione dell’art. 1284 c.c.”.

 

Sulla nullità degli interessi anatocistici applicati.

In merito all’eccezione di nullità inerente agli interessi anatocistici, il giudicante ricorda “che sino al 1999[7], la giurisprudenza aveva ritenuto legittima la pratica anatocistica degli istituti di credito – ovvero il riportare contabilmente a capitale, con valuta data di regolamento, gli interessi passivi maturati annualmente a carico del correntista quale componente della voce “competenze”, concorrendo così a formare il primo saldo per valuta del trimestre successivo, sul quale calcolare nuovi interessi – equiparandola ad un uso normativo, come tale ricadente nella clausola di salvezza di cui allart. 1283 c.c”.

Tale orientamentoè stato ribaltato a partire dal 1999, quando la Corte di Cassazione ha ritenuto nulle le clausole anatocistiche, perché non fondate su di un uso normativo, bensì su un mero uso negoziale.  

È quindi intervenuto il legislatore con l’art. 120 t.u.b., al 2° co., aggiunto dal d.lgs. n. 342/1999, così disponendo: «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori»”.

Inoltre, si ricorda che il 2° comma dell’art. 2 della delibera CICR del 2000, dispone, testualmente, che «Nell’àmbito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori».

Non si deve poi dimenticare che “la sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76, Cost., l’art. 25, comma terzo, D.Lgs. n. 342 del 1999, che aveva fatto salva la validità e l’efficacia – fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 – delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza.

Ne consegue, che “tali clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283, cod. civ., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo.

Per quanto concerne, invece, ilperiodo successivo al 2000 (e sino al 2014) non può ritenersi che la capitalizzazione degli interessi passivi sia illegittima tout court, ma è legittima se applicata con la medesima periodicità – come noto, la delibera CICR 9 febbraio 2000 richiamata dall’art. 120 TUB, riformato dal d. lgs 342/1999, ammette la produzione degli interessi sugli interessi purché, nell’ambito dei contratti di conto corrente, venga assicurata l’eguale periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori”.

Nel caso di specie “dagli estratti conto prodotti risultano applicati interessi anatocistici illegittimi sino alla fine del 2004, quando le parti risultano aver sottoscritto un contratto rispettoso della regola dettata dalla Circolare CICR sopra richiamata”.

Ne consegue, “che dal saldo dare/avere del conto devono essere epurate anche tali componenti debitorie.

 

L’insufficienza della pubblicazione dell’avviso in G.U. ai fini dell’adeguamento alla delibera CICR 2000

Sul punto, la Banca convenuta aveva dedottoche il rapporto per cui è causa era stato effettivamente adeguato a quanto disposto dalla delibera CICR del 9/2/2000 con apposite comunicazioni al cliente e mediante pubblicazione di un avviso sulla Gazzetta Ufficiale del 19/6/2000”.

I suddetti assunti non sono però condivisi dal Tribunale.

Infatti, richiamando quanto disposto dall’art.118 TUB[8]in tema di «Modifica unilaterale delle condizioni contrattuali», il giudice evidenzia che, nella fattispecie in oggetto, “sino al 2004 non v’è traccia di pattuizione sottoscritta dalla società attrice, in relazione al riconoscimento contrattuale in favore della banca di un potere di modifica unilaterale delle condizioni economiche/giuridiche del rapporto”.

Inoltre, “sulla base dell’orientamento giurisprudenziale[9], ritenuto dal Tribunale isolano preferibile, “la capitalizzazione trimestrale reciproca, nel caso di specie, determinerebbe una modifica in peius delle condizioni economiche del rapporto, poiché detta capitalizzazione soltanto apparentemente seguirebbe ad una capitalizzazione differenziata per interessi debitori e creditori; infatti, a seguito dell’accertamento dell’illegittimità della prassi anatocistica seguita dalla banca e della sua inefficacia, la modifica introduce nel rapporto, ex novo, una capitalizzazione degli interessi, in precedenza non (legittimamente) prodotti, con la conseguenza che, così correttamente ricomposta la prospettiva, detta modifica presenta un indubbio carattere peggiorativo delle condizioni economiche applicate, con conseguente insufficienza dei mezzi in concreto utilizzati per il preteso disposto adeguamento, stante la necessità di una espressa approvazione da parte del cliente (art. 118 TUB), in atti indimostrata sino al contratto del 2004.

 

Sulla commissione di massimo scoperto.

In relazione alle commissioni di massimo scoperto[10], secondo il giudicante, “quanto stabilito” nel rapporto contrattuale oggetto di causa risulta “del tutto indeterminato” con conseguenteillegittimità delle pretese a tale titolo della banca, sino al contratto di affidamento del 5.12.2006 (…), ove viene specificata la misura della commissione trimestrale per affidamento “nello 0,100% dell’accordato, minimo Euro 17,50 massimo Euro 200,00” (deve dunque essere superata la contestazione della convenuta circa la espunzione della cms per tutto il periodo successivo al 2004)”.

 

Sulla “ricerca” delle rimesse solutorie e sul dies a quo della prescrizione della condictio indebiti.

Con riferimento al metodo di calcolo da utilizzare al fine della rideterminazione del corretto dare avere tra le parti, il Tribunale sardo condivide l’orientamento, ormai consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità[11], secondo cui nelle controversie che hanno ad oggetto l’azione di nullità delle clausole contrattuali e delle prassi bancarie contrarie a norme imperative ed inderogabili e la relativa domanda di ripetizione di indebito con prescrizione decennale, la ricerca dei versamenti di natura solutoria (ovvero quelli che abbiano funzione estintiva e siano assimilabili a pagamenti, presupposto logico dell’azione di ripetizione dell’indebito), «deve essere affrontata attraverso un iter procedurale che vede, in via preliminare, l’individuazione e la cancellazione dal saldo di tutte le competenze illegittime applicate dalla banca e dichiarate nulle dal giudice di merito e solo successivamente, avendo come riferimento tale saldo “rettificato, si potrà procedere con l’individuazione della parte solutoria di ogni singolo versamento effettuato dal correntista nel corso del rapporto contrattuale di conto corrente con apertura di credito o comunque scoperto.

Pertanto, il dies a quo della prescrizione della condictio indebiti di cui all’art. 2033 cod. civ. decorrerà solo per quella parte della rimessa sul conto corrente che supererà il limite del fido dopo aver rettificato il saldo»[12].

 

Sulla prova della “presenza di fidi”.

È stata ritenuta infondata anche “la contestazione” dell’Banca convenuta relativa alla “mancata dimostrazione da parte dell’attore, circa la presenza di fidi concessi alla attrice”.

Sul punto, il giudice sardo fa proprie le risultanze della CTU, laddove viene spiegato che “il conto è da considerare in sede di ricalcolo sempre affidato in quanto gli affidamenti emergono in maniera chiara e inequivocabile dagli atti di causa e, nello specifico, già il primo estratto conto utile (…), espone chiaramente nella pagina dedicata alle variazioni contrattuali il valore del fido concesso (pari a lire 100.000.000) e dei tassi a debito e della commissione di massimo scoperto entro ed extra fido”.

 

Sulla produzione incompleta degli estratti conto ai fini della ricostruzione del saldo del rapporto.

Infine, il magistrato cagliaritano si sofferma sulla “questione della superabilità o meno della produzione incompleta degli estratti conto ai fini della ricostruzione dell’esatto saldo del rapporto”. Questione risolta dal giudicante richiamando i principi espressi dalla Cassazione nella sentenza n. 11543/2019[13]e riguardanti, appunto, le “ipotesi di lacune nella catena degli estratti conto prodotti (lacune nel caso di specie del tutto marginali, essendo circoscritte a brevissimi periodi).

Secondo la Suprema Corte, difatti, non vi è “ragione, in senso logico e giuridico, per ritenere che nell’ambito del contratto di conto corrente un adempimento solo parziale dell’onere di produzione degli estratti conto inibisca sempre e comunque di procedere alla semplice neutralizzazione del saldo debitorio intermedio: quasi che ai fini della definizione del rapporto di dare e avere non presenti mai alcun valore l’evidenza dell’esposizione debitoria maturata dal correntista nel periodo in cui l’andamento del conto è regolarmente documentato. Quel che conta, invece, è la possibilità di raccordare tale andamento a un dato di partenza che sia concretamente affidabile[14].

La Suprema Corte, invero, “ha inteso evidenziare come una tale soluzione non si fondi su “«criteri presuntivi od approssimativi» (…) giustamente inutilizzabili, ai fini della ricostruzione delle movimentazioni del conto[15] ma, al contrario, costituisce naturale derivazione dell’applicazione delle regole di cui gli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c.”.

Partendo da tale considerazione, e tornando al caso di specie, secondo il Tribunale sardo, è “rilevante osservare che:

1) è pacifico che il rapporto si sia chiuso nell’estate del 2012;

2) il periodo finale, sfornito della copertura documentale di un estratto conto, risulta circoscritto a due mensilità;

3) non risulta agli atti del giudizio alcuna specifica allegazione, né da parte dell’attore, né da parte della banca rispetto ai mesi conclusivi del rapporto, in relazione a movimenti in dare o in avere;

4) la banca ha adempiuto parzialmente all’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., non producendo alcun estratto conto in riferimento a tale periodo”.

Ne consegue che è “del tutto ragionevole ritenere che per tale periodo, non vi sia stata alcuna significativa variazione del conto (del resto, se vi fosse stata una qualche movimentazione di rilievo per gli interessi dell’istituto di credito, è verosimile che gli estratti conto riportanti tali voci sarebbero stati prodotti dalla convenuta, in sede di ottemperanza all’ordine ex art. 210 c.p.c.)”.

Di conseguenza, “il saldo accertato dal CTU può dunque essere ragionevolmente considerato il saldo finale del rapporto”.

Pertanto, stando alle risultanze della disposta consulenza tecnica, fatte proprie dal giudice, e preso in considerazione, “… il ricalcolo denominato dal CTU “ricalcolo 1”, il saldo risultante all’esito delle verifiche demandate risulta pari, alla data del 30 giugno 2012 (ultimo estratto conto in atti), ad Euro 91.845,32 in favore del correntista, con una differenza complessiva da recuperare rispetto al saldo banca del conto corrente (pari a euro -11.837,77 al 30.6.2012) pari a euro 103.683,09”.

Ergo, il Tribunale di Cagliari, “definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita” ha condannato la Banca convenuta a corrispondere al Fallimento, attore in riassunzione,la somma di Euro 103.683,09” e “alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla parte attrice … oltre spese generali ed accessori”, ponendo anche le spese della consulenza tecnica a carico dell’Istituto convenuto.

 

 

 

 

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[1] Sugli stessi temi si veda anche Trib. Oristano, 6 novembre 2024, n. 356, edita su questa rivista con nota di V.V. LOI “Accertamento negativo su conto corrente: le “istruzioni” del Tribunale di Oristano per la rideterminazione del saldo”.

[2] Si ricorda infatti che dell’art. 1832 c.c. stabilisce che: «L’estratto conto trasmesso da un correntista all’altro s’intende approvato, se non è contestato nel termine pattuito o in quello usuale, o altrimenti nel termine che può ritenersi congruo secondo le circostanze. L’approvazione del conto non preclude il diritto di impugnarlo per errori di scritturazione o di calcolo, per omissioni o per duplicazioni. L’impugnazione deve essere proposta, sotto pena di decadenza [2964 ss.], entro sei mesi dalla data di ricezione dell’estratto conto relativo alla liquidazione di chiusura, che deve essere spedito per mezzo di raccomandata».

[3] In ambito bancario, l’art. 119 TUB dispone che: «Per i rapporti regolati in conto corrente l’estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile. In mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, gli estratti conto e le altre comunicazioni periodiche alla clientela si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento».

[4] Cfr.: Cass. 6554/1980; conf. Cass. 9080/2002, 15643/2003, 266/2006; cfr. Cass. 19298/2022.

[5] Cfr., su tali aspetti, ex plurimis, Cass. n. 3374/2007; Cass. n. 23974/2010 e, da ultimo, anche Cass. n. 9201/2015; nella giurisprudenza di merito v. Trib. Cagliari n. 354/2013 e n. 1573/2013.

[6] Cfr., tra le altre, Cass. sent. n. 6480/2021, rel. Falabella. Sull’argomento si vedano anche, sempre su questo portale: Corte. d’App. Cagliari, 11 aprile 2024, con nota di V.V. Loi: Accertamento negativo e ripetizione di indebito: «se l’attore deduce l’inesistenza del contratto scritto di conto corrente, l’onere di produzione grava sulla Banca»; Trib. Catanzaro, Sez. II, 5 settembre 2024, n. 1695, con nota redazionale “Azione di accertamento negativo e di ripetizione: la produzione documentale gravante sul correntista; Corte d’App. Napoli, Sez. III, 6 dicembre 2023, con nota di A. ZURLO “Onere di produzione del contratto di conto corrente (di cui si eccepisce l’inesistenza) nella di ripetizione dell’indebito; Cass. Civ., Sez. VI, 3 agosto 2022, n. 24095, con nota redazionale “Azione di ripetizione e onere della prova (nel caso di contratto “verbale”).

[7] Cfr.: Cass. sent. 2374/1999.

[8] L’art. 118 TUB – rubricato «Modifica unilaterale delle condizioni contrattuali» – stabilisce che: «1. Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo. 2. Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: “Proposta di modifica unilaterale del contratto”, con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tale caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate. 2-bis. Se il cliente non è un consumatore né una micro-impresa come definita dall’articolo 1, comma 1, lettera t), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, nei contratti di durata diversi da quelli a tempo indeterminato di cui al comma 1 del presente articolo possono essere inserite clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto. 3. Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente. (…)».

[9] Confortato da molte pronunce della Corte di Cassazione, cfr., tra le altre, Cass. n. 26779/2019.

[10] Commissione di massimo scoperto da intendersi, secondo la definizione della Banca d’Italia, come “la remunerazione per i costi supportati dall’intermediario in relazione all’obbligo di garantire la disponibilità pattuita”.

[11] Cfr. Cassazione 7721/2023, “che deve qui essere richiamata, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., con riguardo alla problematica di stabilire quale saldo contabile (“saldo banca” o “saldo rettificato”) debba utilizzarsi per la ricerca e la individuazione delle rimesse solutorie e con riguardo agli argomenti espressi a sostegno della tesi del c.d. saldo rettificato (cfr. punti 4 della sentenza, pagg. 8-14)”.

[12] Cfr. Cass. n. 7721/2023, nonché, nel medesimo senso, Cass. n. 3858/2021; Cass. n. 9141/2020. Sull’argomento si veda anche, Cass. Civ., Sez. I, 15 febbraio 2024, n. 4214, edita su questo portale con nota di V. V. Loi “La ripetizione dell’indebito nel conto corrente ancora “aperto”. Ammissibilità e compatibilità con il principio di unitarietà del rapporto e la “rilevante” distinzione fra rimesse solutorie e ripristinatorie”.

[13] Cfr.: Cass. sent. n. 11543/2019.

[14] Cfr. ancora Cass. sent. n. 11543/2019, cit.

[15] Cfr.: Cass. 20 settembre 2013, n. 21597; Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693 cit.

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