Zuppe pronte: perché scaldarle al microonde non basta, le prove che lo dimostrano
La morte di una donna a Roma, avvenuta lo scorso ottobre e collegata al consumo di una vellutata ai carciofi, ha acceso i riflettori sulla sicurezza dei piatti pronti refrigerati. In seguito alla tragedia, il Ministero della Salute, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ha evidenziato che le indicazioni di riscaldamento riportate sulle...
La morte di una donna a Roma, avvenuta lo scorso ottobre e collegata al consumo di una vellutata ai carciofi, ha acceso i riflettori sulla sicurezza dei piatti pronti refrigerati.
In seguito alla tragedia, il Ministero della Salute, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ha evidenziato che le indicazioni di riscaldamento riportate sulle confezioni di queste zuppe – in media 3-5 minuti al microonde – sono insufficienti per eliminare il rischio botulino.
Ne abbiamo parlato qui: L’errore che non devi mai fare quando scaldi una zuppa pronta
Il Ministero ha allora introdotto una nuova raccomandazione: bollire i prodotti per almeno 5 minuti prima del consumo. Ma forse non bastano nemmeno quelli.
Un’indagine condotta da Il Salvagente, infatti, pubblicata nel numero attualmente in edicola e in digitale, ha mostrato che questo non è sufficiente. Per garantire il raggiungimento dell’ebollizione, il tempo di riscaldamento effettivo varia dai 7 agli 11 minuti, a seconda della composizione del prodotto. Di conseguenza, per rispettare la raccomandazione ministeriale, le zuppe pronte devono essere riscaldate almeno dai 12 ai 16 minuti.
Le prove condotte da Il Salvagente hanno messo alla prova questi tempi su diverse referenze di zuppe. Il risultato? Il forno a microonde, con questi parametri, non è idoneo: le zuppe risultano secche, poco appetitose e, in alcuni casi, quasi immangiabili.
L’indagine
Le analisi hanno evidenziato diversi punti deboli nella filiera e nella preparazione delle zuppe pronte refrigerate (tecnicamente chiamate REPFEDs – Refrigerated Processed Food with Extended Durability):
- catena del freddo non sufficiente: l’ISS ha rilevato che la sicurezza microbiologica di questi prodotti è garantita solo se vengono mantenuti a una temperatura inferiore ai 6°C per tutta la durata della shelf life. Tuttavia, i frigoriferi domestici registrano spesso temperature medie tra 8,5°C e 9,5°C, rendendo vulnerabili questi alimenti
- inadeguatezza dei trattamenti termici: i processi di pastorizzazione utilizzati (90°C per 10 minuti) non eliminano le spore di Clostridium botulinum. L’unica soluzione è una cottura che garantisca la completa distruzione termica della tossina botulinica (BoNTs). Le autorità sanitarie consigliano di bollire il prodotto per almeno 5 minuti, ma secondo Il Salvagente i tempi effettivi sono ben più lunghi
- limiti del microonde: per raggiungere l’ebollizione e rispettare i parametri di sicurezza, il microonde si rivela inefficace, poiché altera la consistenza e il gusto delle zuppe.
I dubbi sui contenitori in plastica
Un altro tema affrontato dall’indagine riguarda la sicurezza dei contenitori in plastica utilizzati per le zuppe pronte. Con tempi di cottura prolungati, esiste il rischio di rilascio di contaminanti nell’alimento? Le aziende leader del settore – DimmidiSì, Euroverde e Zerbinati – hanno rassicurato che le loro vaschette in polipropilene (PP5) rispettano le norme europee sui MOCA (Materiali a Contatto con gli Alimenti). Questi contenitori sono testati per resistere fino a un’ora a 121°C, quindi teoricamente idonei a sopportare i tempi di riscaldamento richiesti.
Tuttavia, un tecnico intervistato da Il Salvagente ha sottolineato che, alla luce delle nuove indicazioni ministeriali, sarebbe necessario sottoporre tutti i contenitori a nuovi test specifici per escludere definitivamente il rischio di migrazione di componenti plastici negli alimenti.
L’indagine de Il Salvagente mette in evidenza che le attuali soluzioni – come la semplice modifica delle etichette – non bastano a garantire la nostra sicurezza senza compromettere la qualità del prodotto. Una questione, concludono gli esperti, che richiede ulteriori approfondimenti e interventi strutturali da parte delle autorità e delle aziende del settore.
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