Per il Pianeta, ma ancor più per il turismo: così il Giappone sta andando (lentamente) verso una dieta vegetariana

Il Paese importa dal 40% al 60% della carne dall’estero, mentre dipende dalle fattorie nazionali per produrre uova, latte e formaggi. Ora però, con le milioni di persone in visita ogni anno, si deve adeguare e inserire nei menu dei ristoranti delle proposte alternative L'articolo Per il Pianeta, ma ancor più per il turismo: così il Giappone sta andando (lentamente) verso una dieta vegetariana proviene da Il Fatto Quotidiano.

Feb 7, 2025 - 15:42
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Per il Pianeta, ma ancor più per il turismo: così il Giappone sta andando (lentamente) verso una dieta vegetariana

Mentre il primo ministro Ishiba Shigeru si trova a Washington a colloquio con il presidente Donald Trump – il secondo leader del mondo ad essere ricevuto dal tycoon statunitense (taicun= dal giapponese, titolo onorifico assegnato a governanti privi di discendenza imperiale) – nelle isole di casa qualcosa sta cambiando a pranzo e cena.

Qui, dove si consumano quotidianamente prodotti a base di pesce, e si pagano cifre altissime per addentare tenere fettine di carne provenienti dalle mucche di Kobe, cresciute a musica classica e massaggi, sta fiorendo una crescente domanda per pranzi e cene vegetariane o vegane. Il Giappone sta davvero vivendo un’accelerata rinascita alimentare e, diversamente dalla fine del secolo scorso, sono cresciuti i ristoranti che optano per un lento abbandono di prodotti animali. Perché ciò accade, e come si possono soddisfare clienti in cerca di pasti senza animali e derivati nelle ciotole? Una delle ragioni della tendenza si deve al turismo, che porta milioni di stranieri tra i quali è forte la percentuale di vegani/e o vegetariani/e.

Così il Paese del Sol levante si sta adeguando sia a loro, sia a quella che fino a poco tempo fa era una nicchia di autoctoni, diventata più numerosa. Esistono più luoghi come “Brown Rice” nel lussuoso quartiere di Omotesando a Tōkyō, in cui gustare una tipica cucina organica, con proposte che variano dalla radice di loto gratinata, a zuppe con brodo di verdure e tofu, riso e cereali integrali, e perfino sushi, purché al posto del pesce ci siano vegetali e alghe. Sul quotidiano Japan Times si riporta che lo scorso anno sono entrati in Giappone 37 milioni di turisti la maggior parte dei quali provenienti da Paesi dell’Asia, tra cui Taiwan, Cina, Corea del Sud e Singapore, con una popolazione vegetariana e vegana crescente grazie alla pratica del Buddhismo e agli stili di vita dei Millenials e Gen Z, sensibili alle problematiche di salute e ambientaliste. Dunque di recente, il governo metropolitano di Tōkyō ha iniziato a investire per rendere più visibili le opzioni di pasti “animal-free”, oltre che per adeguarsi agli obiettivi delle Nazioni Unite tese allo sviluppo sostenibile.

In questa prospettiva ha dato vita a campagne sul cambiamento climatico, la conservazione e la sostenibilità, promuovendo scelte per la diversificazione nella dieta e sostegno, seppure senza insistere troppo, all’abbandono dei prodotti di derivazione animale. Il tutto considerando che il Giappone importa dal 40% al 60% della carne dall’estero, mentre dipende dalle fattorie nazionali per produrre la maggior parte di uova, latte e formaggi. “Prima del 2019, le proposte non erano molto appetitose, né numerose” racconta la presidente della “Società Vegana Giapponese”, Muroya Mayumi, la cui associazione dal dicembre del 2023 è stata la prima a ottenere dal governo il permesso di certificazione sui prodotti veg, dalle confezioni di panetti di curry, fino ai cosmetici.

Da Tōkyō a Kyoto, l’offerta si sta ampliando e l’antica capitale – meta di milioni di turisti, sede di università e famosa per mantenere le raffinate tradizioni del Giappone preindustriale – è ora finanziata dall’agenzia del turismo, così come dal governo della città che in accordo con il progetto “Do You Kyoto 2050” intende eliminare le emissioni di anidride carbonica, cosa che secondo l’organizzazione ambientalista Kyoto Vegan “non potrebbe essere raggiunta senza adottare uno stile di vita veg”.

Sul sito di “Grist”, il media indipendente statunitense sui cambiamenti climatici, si legge che annualmente più del 20% dei gas emessi e causa dell’effetto serra derivano dall’allevamento di mucche, maiali, agnelli, e polli. Inoltre, secondo uno studio dell’Università di Oxford su un totale di 55.000 persone vegane osservate, l’inquinamento climatico da loro prodotto è risultato del 75% inferiore rispetto a chi si nutre di prodotti animali. Non dovrebbe essere poi così complicato per i nipponici tornare alla dieta che di fatto hanno seguito per due millenni, fino alla fine del 1800, quel “shōjin ryōri” che i credi Shinto e Buddhista raccomandavano, privo di consumi animali e derivati con qualche eccezione relativa ai pesci. Una dieta che giunta nel sesto secolo in Giappone viene ancora oggi seguita da monaci e non, proibisce di uccidere animali, promuove verdure stagionali, sviluppandosi intorno a un gruppo di cinque colori, sapori e metodi di cottura. Con l’apertura del paese all’Occidente, l’imperatore Meiji tolse il veto fino alla situazione attuale che vede il Giappone all’11mo posto nel consumo globale di carne.

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