Il giornalista Stefano Liberti: “Il Mar Mediterraneo è una pentola a pressione, è indispensabile regolamentare la pesca”
"Le specie aliene sono il sintomo più evidente della crisi. Arrivano per due ragioni, primo perché il mare è più caldo e simile dai luoghi da cui provengono; secondo perché passano dal Canale di Suez, un canale che esiste dal 1869 ma che è stato allargato e approfondito tra il 2010 e il 2014" L'articolo Il giornalista Stefano Liberti: “Il Mar Mediterraneo è una pentola a pressione, è indispensabile regolamentare la pesca” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Aumento della temperatura (tanto che ormai ci si immerge d’estate in acque calde), rischio di anossia, plastica: sono tutti aspetti che causano l’innalzamento del livello del Mar Mediterraneo così come i pericolosi “medicane”. Insomma, da elemento che mitigava il clima, consentendo a chi viveva nell’area un clima felice che ha consentito la nascita di tante civiltà, il Mar Mediterraneo oggi è diventato “una sorta di pentola a pressione”. Un mutamento raccontato in un libro inchiesta – Tropico Mediterraneo. Viaggio in un mare che cambia (Laterza) – del giornalista, scrittore e videomaker Stefano Liberti. Che spiega: “Quest’area, per gli stessi motivi che l’hanno resa fortunata nei secoli scorsi, oggi è particolarmente vulnerabile ai mutamenti del clima, perché essendo un bacino semichiuso si riscalda di più rispetto agli oceani”.
Quali sono le conseguenze di un mare più caldo?
Fenomeni estremi a cui non siamo abituati, con questa frequenza e intensità. Pensiamo alle alluvioni che hanno colpito la Spagna in modo devastante, ma anche l’Emilia Romagna, con danni, morti, sfollati. Siamo ormai in una situazione subtropicale, con la differenza però che noi non siamo abituati. Manca la prevenzione e poi c’è una tema di inadeguatezza delle infrastrutture, costruite negli anni del boom economico quando il clima era diverso. Basti pensare alla cementificazione delle coste. Il problema è che ancora oggi non c’è nell’opinione pubblica la percezione dell’importanza del mare rispetto al clima, del fatto che libera energia, intensificando piogge e precipitazioni.
Eppure basterebbe riflettere sul fatto che ormai d’estate si fa il bagno nell’acqua caldissima.
È una cosa impressionante e ci fa riflettere sul fatto che, pur essendo la nostra vita individuale brevissima rispetto alla storia del Pianeta, abbiamo potuto osservare un cambiamento così rapido del nostro ecosistema, come appunto la temperatura dell’acqua.
Nel suo libro lei parla molto del tema delle specie aliene, come il granchio blu ma non solo.
Le specie aliene sono il sintomo più evidente della crisi. Arrivano per due ragioni, primo perché il mare è più caldo e simile dai luoghi da cui provengono (Mar Rosso, Oceano Indiano ad esempio); sia perché passano dal Canale di Suez, un canale che esiste dal 1869 ma che è stato allargato e approfondito tra il 2010 e il 2014, per permettere un maggior passaggio di merci – oggi nel Mediterraneo passa il 27 per cento del commercio mondiale, con navi sempre più grandi che incamerano tonnellate di acqua, che viene poi scaricata – ma che però ha fatto saltare alcuni equilibri e barriere naturali. Così sono arrivati il pesce scorpione, il pesce coniglio, così come il famoso granchio blu, arrivato dall’Oceano Atlantico trasportato dalle navi. Il problema è che quando si vedono le specie aliene vuol dire sono già stabilizzate.
Cosa si potrebbe fare?
Tardivamente, dopo vari anni di negoziati, è stata finalmente approvata una convenzione internazionale sulle cosiddette acque di zavorra (quelle che servono per stabilizzare le navi, ndr), in vigore dalla fine del 2024. La convenzione impone che le acque siano trattate e scaricate non più nei porti di arrivo, ma a 200 miglia dalla costa, anche se ancora non è chiaro chi deve monitorare sull’effettiva realizzazione di queste misure. Se si fosse ratificata prima, forse si sarebbe evitato il danno.
Nel libro si parla molto di pesca e di pratiche di iper-sfruttamento, che causano ulteriori problemi come la distruzione della posidonia. Come trovare un equilibrio tra l’esigenza di mangiare pesce e la crisi della pesca?
Il Mar Mediterraneo, pur avendo una grande varietà di paesaggi ed ecosistemi, è un mare piccolo in cui la risorsa è scarsa rispetto alla richiesta. Inoltre, intorno ad esso vivono 500 milioni di persone, che aumentano nel periodo estivo. Ecco perché si pesca in maniera intensiva, con pratiche sempre più impattanti. Io credo che un certo tipo di pesca industriale vada regolamentata e che si debbano aumentare sempre di più le aree protette; inoltre bisogna ridurre la pesca a strascico. Ma serve un accordo di tutti i Paesi che si affacciano sullo stesso mare.
La pesca di allevamento può aiutarci?
Credo che il futuro stia nella riduzione della pesca e nel consumo di pesca acquistato da piccoli pescatori oppure allevato, ma in modo sostenibile, perché anche il pesce di allevamento può essere impattante, in particolare per i mangimi che vengono dati, la farina di soia, e che producono scarti. Bisogna cominciare a pensare che il pesce non è sempre sano come lo si racconta, perché la sua qualità dipende da come è cresciuto e come è stato allevato. Pensi che gli antichi greci non lo mangiavano per timore che potesse contenere scarti di esseri umani.
Il suo viaggio non porta con sé però solo notizie negative.
Questo libro è stato un viaggio di scoperta, mi sono messo in ascolto di una comunità incredibile di pescatori, sub, studiosi, che mi hanno portato in luoghi sconosciuti. C’è una comunità fantastica fatta di persone che hanno a cuore il benessere del Mediterraneo e sta mettendo in campo soluzioni di adattamento e di sostenibilità, con una serie di interventi importanti che devono essere messi a sistema.
Un esempio?
La salvezza del Mar Menor, una laguna spagnola che ha subito un collasso ecologico. Si è creato un movimento dal basso per salvarlo e lo si è fatto assegnandogli uno stato giuridico. È una cosa molto interessante, che potrebbe essere applicata al Mar Mediterraneo, che non sarebbe più un soggetto passivo, ma attivo, con dei diritti. Eppure la maggior parte di chi vive intorno al Mar Mediterraneo lo ignora: ancora non capiamo a sufficienza che dal benessere del nostro mare dipende il nostro.
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