Ecologia sonora (e produttiva). L’intervista agli Stato Brado

Cosa succede quando tre giovani sound designers e compositori per il cinema si incontrano? C’è chi, condividendo lo stesso disincanto per la musica che ci circonda, risponde che l’antidoto alla superficialità risiede nella sperimentazione. Quando questi sono i presupposti, la cosa giusta da fare è mettersi assieme dando vita ad una formazione capace di inseguire un sound più autentico e simile a ciò che si vorrebbe ascoltare altrove: quella di Alessio Vanni, Lorenzo Marra e Lorenzo Valdesalici si chiama Stato Brado. Finora il gruppo di stanza a Bologna ha pubblicato solamente un EP di sei brani intitolato Canzoni contro la ragione, ma questo è bastato per attirare l’attenzione di due pesi massimi dell’alternative italiano come Gianni Maroccolo e Massimo Zamboni, che ha supportato direttamente il gruppo nella stampa delle copie fisiche. Un soleggiato giovedì mattina, ci siamo ritrovati con la formazione vicino al Locomotiv per indagare a fondo l’ideologia che li guida, le loro influenze e i progetti futuri. L’immaginario agreste (la formazione definisce la propria musica, non senza un pizzico di ironia, “musica elettroacustica post-agricola”) è arrivato con naturalezza, frutto soprattutto della consapevolezza di far parte di una generazione che vive sulle macerie di un mondo che non c’è più. Qualcuno, però, da quei detriti deve pur ripartire, e chi meglio di tre ragazzi che affrontano le sfide dell’esistenza di provincia? Per quanto riguarda le influenze dietro a questa musica così personale, si percepisce facilmente la fascinazione per Iosonouncane, soprattutto quello più sintetico, oscuro e inaccessibile di IRA. Lo si percepisce soprattutto nell’uso non convenzionale della strumentazione elettronica e nell’utilizzo della voce come texture da aggiungere all’affresco sonoro, piuttosto che come elemento cardine attorno al quale ruota tutto il resto. Questa fascinazione, tuttavia, è mediata dalle tantissime altre suggestioni che alimentano i loro ascolti, da Ben Frost al sound design per il cinema. È proprio da quest’ultimo, forse, che la formazione ha mutuato l’attitudine a evocare immagini, evitando il didascalismo e scardinando la forma canzone tradizionalmente intesa. Cinquanta anni fa il padre dei sound studies Raymond Murray Schafer coniò il termine “ecologia sonora”, intendendo, con esso, lo studio del rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente acustico che li circonda. Questo filone di ricerca, infatti, esamina come i suoni influenzano e vengono influenzati dall’ambiente naturale e sociale, esplorando l’interazione tra suoni, spazi e comunità. L’ecologia sonora considera il soundscape come una parte essenziale dell’esperienza umana, studiando elementi come i rumori urbani, i suoni naturali e i suoni tecnologici, e si occupa di come questi fattori contribuiscono a creare un senso di luogo, identità e memoria collettiva. Questi concetti sembrano risuonare più che mai nelle scelte estetiche e compositive degli Stato Brado. A differenza dell’approccio cinematico il trio ha scelto ecologicamente di utilizzare strumenti che potessero essere portati in una dimensione dal vivo, piuttosto che perdersi in archivi infiniti di sample e sintetizzatori digitali. L’arsenale sonoro dei tre è composto principalmente da hardware, tra cui una chitarra baritona utilizzata in modo non convenzionale, un Prophet V, un piccolo sistema modulare, un campionatore Roland e un Microkorg. Gli interventi di Ableton sono ridotti al minimo indispensabile, tanto che la formazione non ha neppure un click in cuffia per sincronizzarsi, preferendo lasciarsi andare a un approccio in presa diretta. Una scelta comprensibile, dato che, ancora prima di dar vita all’EP, la band mirava a tornare a suonare dal vivo dopo la pandemia. Per quanto riguarda la scrittura dei testi, che non manca di riferimenti al contemporaneo (in Capre viene addirittura citato Reddit), il trio rivela che il processo è stato frutto di un lavoro collettivo (ed ecologico), in cui spunti e stimoli sono stati discussi più volte prima di arrivare alla forma finale cantata da Alessio Vanni con fare salmodiante. La dimensione comunitaria non traspare solo nelle pratiche musicali, ma anche in quelle manageriali e distributive. Infatti, contro ogni tendenza, i tre hanno fondato Ramaglie, un’etichetta di cui fanno parte anche altri artisti che condividono la loro visione. Facendo tutto in proprio, dalla distribuzione allo shooting dei video, rifiutano di bussare alle porte altrui in cerca di approvazioni, coltivando dal basso una visione autonoma della produzione. Mi raccontano che l’entusiasmo dei collaboratori è palpabile e sono certi che questa energia venga restituita anche al pubblico. Nonostante l’EP sia uscito da pochi mesi, ci sono già novità all’orizzonte. Il diciassette ottobre uscirà un doppio singolo registrato nello stesso arco temporale di Canzoni contro la ragione. La formazione non vede l’ora, dopo un’altra serie di date dal vivo (sono tra i finalisti del contest

Gen 26, 2025 - 15:18
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Ecologia sonora (e produttiva). L’intervista agli Stato Brado

Cosa succede quando tre giovani sound designers e compositori per il cinema si incontrano? C’è chi, condividendo lo stesso disincanto per la musica che ci circonda, risponde che l’antidoto alla superficialità risiede nella sperimentazione. Quando questi sono i presupposti, la cosa giusta da fare è mettersi assieme dando vita ad una formazione capace di inseguire un sound più autentico e simile a ciò che si vorrebbe ascoltare altrove: quella di Alessio Vanni, Lorenzo Marra e Lorenzo Valdesalici si chiama Stato Brado.

Finora il gruppo di stanza a Bologna ha pubblicato solamente un EP di sei brani intitolato Canzoni contro la ragione, ma questo è bastato per attirare l’attenzione di due pesi massimi dell’alternative italiano come Gianni Maroccolo e Massimo Zamboni, che ha supportato direttamente il gruppo nella stampa delle copie fisiche. Un soleggiato giovedì mattina, ci siamo ritrovati con la formazione vicino al Locomotiv per indagare a fondo l’ideologia che li guida, le loro influenze e i progetti futuri.

L’immaginario agreste (la formazione definisce la propria musica, non senza un pizzico di ironia, “musica elettroacustica post-agricola”) è arrivato con naturalezza, frutto soprattutto della consapevolezza di far parte di una generazione che vive sulle macerie di un mondo che non c’è più. Qualcuno, però, da quei detriti deve pur ripartire, e chi meglio di tre ragazzi che affrontano le sfide dell’esistenza di provincia?

Per quanto riguarda le influenze dietro a questa musica così personale, si percepisce facilmente la fascinazione per Iosonouncane, soprattutto quello più sintetico, oscuro e inaccessibile di IRA. Lo si percepisce soprattutto nell’uso non convenzionale della strumentazione elettronica e nell’utilizzo della voce come texture da aggiungere all’affresco sonoro, piuttosto che come elemento cardine attorno al quale ruota tutto il resto. Questa fascinazione, tuttavia, è mediata dalle tantissime altre suggestioni che alimentano i loro ascolti, da Ben Frost al sound design per il cinema. È proprio da quest’ultimo, forse, che la formazione ha mutuato l’attitudine a evocare immagini, evitando il didascalismo e scardinando la forma canzone tradizionalmente intesa.

Cinquanta anni fa il padre dei sound studies Raymond Murray Schafer coniò il termine “ecologia sonora”, intendendo, con esso, lo studio del rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente acustico che li circonda. Questo filone di ricerca, infatti, esamina come i suoni influenzano e vengono influenzati dall’ambiente naturale e sociale, esplorando l’interazione tra suoni, spazi e comunità. L’ecologia sonora considera il soundscape come una parte essenziale dell’esperienza umana, studiando elementi come i rumori urbani, i suoni naturali e i suoni tecnologici, e si occupa di come questi fattori contribuiscono a creare un senso di luogo, identità e memoria collettiva. Questi concetti sembrano risuonare più che mai nelle scelte estetiche e compositive degli Stato Brado.

A differenza dell’approccio cinematico il trio ha scelto ecologicamente di utilizzare strumenti che potessero essere portati in una dimensione dal vivo, piuttosto che perdersi in archivi infiniti di sample e sintetizzatori digitali. L’arsenale sonoro dei tre è composto principalmente da hardware, tra cui una chitarra baritona utilizzata in modo non convenzionale, un Prophet V, un piccolo sistema modulare, un campionatore Roland e un Microkorg. Gli interventi di Ableton sono ridotti al minimo indispensabile, tanto che la formazione non ha neppure un click in cuffia per sincronizzarsi, preferendo lasciarsi andare a un approccio in presa diretta. Una scelta comprensibile, dato che, ancora prima di dar vita all’EP, la band mirava a tornare a suonare dal vivo dopo la pandemia.

Per quanto riguarda la scrittura dei testi, che non manca di riferimenti al contemporaneo (in Capre viene addirittura citato Reddit), il trio rivela che il processo è stato frutto di un lavoro collettivo (ed ecologico), in cui spunti e stimoli sono stati discussi più volte prima di arrivare alla forma finale cantata da Alessio Vanni con fare salmodiante.

La dimensione comunitaria non traspare solo nelle pratiche musicali, ma anche in quelle manageriali e distributive. Infatti, contro ogni tendenza, i tre hanno fondato Ramaglie, un’etichetta di cui fanno parte anche altri artisti che condividono la loro visione. Facendo tutto in proprio, dalla distribuzione allo shooting dei video, rifiutano di bussare alle porte altrui in cerca di approvazioni, coltivando dal basso una visione autonoma della produzione. Mi raccontano che l’entusiasmo dei collaboratori è palpabile e sono certi che questa energia venga restituita anche al pubblico.

Nonostante l’EP sia uscito da pochi mesi, ci sono già novità all’orizzonte. Il diciassette ottobre uscirà un doppio singolo registrato nello stesso arco temporale di Canzoni contro la ragione. La formazione non vede l’ora, dopo un’altra serie di date dal vivo (sono tra i finalisti del contest Musica da Bere), di tornare nuovamente in studio a sperimentare. Nessuna porta è chiusa in termini di immaginari da esplorare: quello agreste sembra non aver esaurito le sue potenzialità, ma la band si dice “fedele all’istinto e aperta alla contraddizione”.

Costruire laddove le scorie lasciate dal passato sono ancora ingombranti oppure edificare dove l’asfissiante vacuità non presagisce alcun cambiamento. Al “There is no alternative” thatcheriano, il gruppo risponde che, per ricostruire orizzonti possibili, bisogna partire dal basso, unendosi tra simili e stimolare la (ri)nascita di una comunità. Sarà allora che sorgeranno spontanei nuovi luoghi di aggregazione e, perché no, anche scene musicali inedite che avranno finalmente qualcosa di nuovo da dire. Per il momento, non resta che rimboccarsi le maniche in attesa del tanto atteso domani, mentre dal fienile riecheggia la musica post-agricola degli Stato Brado.