Cultura, subcultura e mezza cultura
La morte della cultura, la fine dell’umanesimo, il trionfo dell’intelligenza artificiale e della stupidità social. Con queste parole, Il Corriere della Sera, dalle colonne di una sua rubrica[1] ci avvisa: […]
La morte della cultura, la fine dell’umanesimo, il trionfo dell’intelligenza artificiale e della stupidità social. Con queste parole, Il Corriere della Sera, dalle colonne di una sua rubrica[1] ci avvisa: siamo alla deriva.
A suonare la campana a morto è Aldo Cazzullo[2], allarmato per quanto accaduto a Roccaraso, dove un’influencer napoletana[3] ha radunato una folla di turisti grazie a TikTok.
Il buon Aldo, tra le righe, non manca di autocelebrarsi, rivelandoci di essere stato a Genova per intervistare Renzo Piano e Gino Paoli[4], così da raccontare la “vera Genova”, quella che merita, la “Genova culturalmente alta” – mica come gli influencer sui social che descrivono il sottosuolo – e mostrandosi particolarmente preoccupato dal fatto che, secondo lui, fra 10 anni non esisterà più alcun giornalista capace di raccontare la città in questo modo.
Perché? Beh, ovviamente per colpa della rete e della tecnologia.
Per Cazzullo, la facilità con cui un contenuto virale può smuovere le masse è il segnale inequivocabile del declino culturale della nostra epoca: se oggi basta un balletto o uno slogan per orientare i flussi turistici, cosa ne sarà del “teatro, il cinema, la musica di qualità, i libri, le arti”?
Probabilmente Aldo non sa che la televisione è – ed era – già zeppa di contenuti simili e che la pubblicità utilizza spesso proprio balletti, corpi seminudi e slogan per catturare l’audience.
Il pezzo di Cazzullo rientra a pieno titolo nei classici “discorsi da bar”, nel solito lamento nostalgico e stantio su quanto “si stava meglio prima” – un classico che ritorna a intervalli regolari, come la cometa di Halley. Ma le sue parole hanno un pregio: rivelano un mondo della cultura chiuso, convinto di essere sempre nel giusto, incapace di comprendere le motivazioni e gli impulsi di una società in trasformazione e, soprattutto, riluttante a interrogarsi sulle proprie responsabilità.
Perché no, TikTok non ha “ucciso” la cultura e non può farlo. Nemmeno l’ha rimpiazzata.
Il vero problema della cultura contemporanea non è la mancanza di contenuti validi, ma il fatto che questi vengano costantemente soffocati da un mare di contenuti mediocri. Contenuti spesso promossi proprio da coloro che oggi si stracciano le vesti per il presunto declino dell’umanesimo.
Per decenni, il mercato editoriale e giornalistico ha sostenuto e promosso una cultura rassicurante, ripetitiva, priva di rischi, fatta di volumi-fotocopia che seguono il trend del momento, articoli copia-incolla da veline estere e idee già digerite. Un sistema chiuso, dove l’unico modo per emergere è essere già noti, e l’unico modo per essere noti è piacere a chi è già dentro al circolo.
Così i nemici diventano i social, le fake news, l’Intelligenza Artificiale. Altri meno “giusti” sostituiranno gli scrittori, i giornalisti, i pensatori. Magari lo farà un algoritmo.
Ma la verità è un’altra: un’IA non può produrre in autonomia vera cultura. Può rimescolare informazioni, imitare uno stile, produrre testi grammaticalmente corretti, ma non può creare qualcosa di veramente nuovo, profondo o rivoluzionario senza il supporto di un essere umano. Come una penna, da sola, non è in grado di fare letteratura.
Ed è qui che nasce il paradosso. Se l’IA non è in grado di generare vera cultura (e tantomeno lo sono i TikToker), perché spaventa tanto? Forse perché chi si lamenta sa benissimo che l’IA non potrà fare cultura, ma può già replicare il contenuto di tanti prodotti editoriali mediocri che, per decenni, hanno dominato il dibattito.
Forse la cultura non è morta. Forse è solo da un’altra parte. Non è scomparsa. È viva, si muove, cambia forma. Può trovarsi nei podcast indipendenti, nei canali YouTube di divulgazione, nei libri di piccoli editori coraggiosi, nei post di chi riesce a raccontare il mondo con una prospettiva nuova, fuori dalle solite logiche. Certo, è più difficile da trovare. Certo, bisogna saper cercare. Ma esiste.
Il vero rischio è continuare ad affidarsi a chi, di fronte ai cambiamenti, non sa fare altro che ripetere “si stava meglio prima”. E poi, magari, ci scrive pure un libro.
[1] Dalla rubrica “Lo chiedo al Corriere”, il pezzo in questione, pubblicato il 25 Gennaio, è al seguente link: https://www.corriere.it/lodicoalcorriere/25_gennaio_31/la-gita-a-roccaraso-e-la-fine-dell-umanesimo-rd-f5c279fe-d2ac-44f4-998b-04a1a6318xlk.shtml?refresh_ce
[2] Classe 1966, giornalista (firma del Corriere della Sera) e scrittore (i suoi saggi – fra gli ultimi “Il Dio dei nostri padri: il grande romanzo della Bibbia” – sono costantemente in testa alle classifiche)
[3] Rita de Crescenzo, influencer molto seguita su TikTok, in particolare da abitanti della regione Campania, nota ai più per la citata vicenda dei turisti a Roccaraso. Un pezzo a riguardo per contestualizzare lo trovate qui: https://www.ilmessaggero.it/abruzzo/roccaraso_tiktoker_rita_de_crescenzo_intervista_oggi-8622183.html
[4] Entrambi genovesi, uno celebre in tutto il mondo per le sue opere d’architettura, l’altro icona della musica leggera italiana