Cerchiamo nelle AI un partner perfetto perché non sappiamo più accettare che amare sia un rischio

Se nell’altro inizialmente si cerca ciò che ci piace e a volte si trova, quando si supera l’idealizzazione per forza di cose appare anche il resto e ciò che spesso non ci piace, o ci piace meno; dai sistemi di compagnia digitali ci si aspetta invece tutt’altro, la soddisfazione su misura di un desiderio, proprio come ce lo si aspetta, il realizzarsi di un sogno a occhi aperti, di una fantasia, che può solo migliorare, senza mai incontrare fasi decrescenti. L'articolo Cerchiamo nelle AI un partner perfetto perché non sappiamo più accettare che amare sia un rischio proviene da THE VISION.

Feb 7, 2025 - 18:48
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Cerchiamo nelle AI un partner perfetto perché non sappiamo più accettare che amare sia un rischio

Non c’è bisogno di fare una complicata ricerca sociologica per rendersi conto che riuscire a costruire una relazione valida di questi tempi, se fai parte della generazione delle nate tra gli anni ‘80 e ‘90 non sia così semplice. I meme a riguardo spopolano, offrendoci un quadro particolarmente desolante, ma indubbiamente reale, in cui in particolar modo gli esseri umani di sesso maschile non ne escono in maniera propriamente positiva. E infatti, giustamente, come recitano altri meme, l’amicizia tra donne adulte può essere riassunta nel mandarsi a vicenda altri meme ancora ed aiutarsi l’un l’altra a gestire i sociopatici che ammorbano la rispettiva esistenza. Tra i nostri preferiti: “Dating man today, you have to ask if they are single single, situationship single, still in love with their ex single, still living with their wife single, or still working on myself single”; ma anche quest’altro evergreen: “Come mai sei ancora single? Avrai la fila. La fila: il mammone, il piede in due scarpe, il narcisista, il disagiato, il filosofo, quelli più distanti di 100 km, vari personaggi di fantasia, quelli che non si lavano, la carbonara più buona che tu abbia mai mangiato, sposati che si dimenticano di dirlo, profili fake, anziani alla fermata, bigotti spaventati dalle donne indipendenti”. E quelli a tema social, dato che – come avevano predetto I Cani ne “Le coppie” – gran parte delle nostre relazioni si sviluppa in maniera preponderante nella loro dimensione, come se le nevrosi non fossero già abbastanza, e dunque: “What doesn’t kill you, texts you six months later”; e “Will ghost you but watch your Instagram stories for years”.

Dunque non stupisce se le donne cercano nell’AI ciò che gli uomini non sono più evidentemente in grado di dare loro (ma forse non lo sono mai stati) – così come loro cercavano donne con le tette molto grosse nei manga e negli hentai, sui giornalini porno, su Youporn, su OnlyFans, e oggi con l’AI. Tanto che ancora una volta appare chiaro – e dopo i trenta ancora di più – che evidentemente vogliamo cose opposte rispetto all’altro sesso. Le donne cercano relazioni – magari anche esclusivamente fisiche ma – evolute, con una certa raffinatezza, basate sul rispetto e sull’attenzione, oppure rapporti stabili, su cui costruire qualcosa; e gli uomini, be’, gli uomini, possiamo dirlo, la figa (sulle tette ogni tanto un occhio lo chiudono), a volte solo per mettere una crocetta che allunghi l’elenco delle loro conquiste, anche se magari non sono stati in grado di farne venire neanche una. E questa storia a quanto pare va avanti da un bel po’. Ma torniamo a noi.

In un recente articolo del New York Times, Kashmir Hill racconta di come Ayrin, ragazza di 27 anni, seguendo alcuni esempi analoghi abbia personalizzato Chat GPT per ottenere – pur essendo sposata – un fidanzato perfetto. Questo il prompt, su cui ci sarebbe molto da dire: “Respond to me as my boyfriend. Be dominant, possessive and protective. Be a balance of sweet and naughty. Use emojis at the end of every sentence”. Leggendolo una mia amica mi ha detto che sembrava la descrizione perfetta di una sua crush, tanto che se non ci fosse già uscita e le avesse dimostrato di essere effettivamente così come si dimostrava scrivendo, eravamo già pronte a fantasticare sull’ennesima strategia di raggiro sviluppata da un narcisista con la passione del tech e del digital storytelling. E mi fa ridere perché, probabilmente, se come esperimento dovessi a mia volta sviluppare una mia crush digitale, non so se sarei in grado di descrivere in maniera così sintetica ed efficace i tratti di un’altra persona che potrebbe piacermi (ma sicuramente ho dei limiti di mentalizzazione che dovrei superare).

Se nell’altro inizialmente si cerca ciò che ci piace e a volte si trova, quando si supera l’idealizzazione – fisiologica a qualsiasi attrazione – per forza di cose appare anche il resto e ciò che spesso non ci piace, o ci piace meno; dai sistemi di compagni digitali ci si aspetta invece tutt’altro, la soddisfazione su misura di un desiderio, proprio come ce lo si aspetta, il realizzarsi di un sogno a occhi aperti, di una fantasia, che può solo migliorare, senza mai incontrare fasi decrescenti. L’incontro-disincontro del reale, che solitamente si inizia ad apprezzare e a cercare superata l’adolescenza, e quindi quando si ha un’identità più strutturata, si è più sicuri di sé, e in teoria si dovrebbe aver superato un’idea “romantica” dell’amore (intesa proprio come “ottocentesca”, non coi mazzi di rose e la colazione a letto), sembra non essere più apprezzato. Tra scarsità di tempo e di energie, vogliamo semplicemente che il nostro desiderio emotivo e fisico, venga soddisfatto, e venga soddisfatto al meglio.

Non solo non siamo più disposte – e direi anche giustamente – a rischiare di essere ferite, non rispettate, prese in giro, ghostate, subire orbiting e così via con tutti quegli altri termini in inglese che descrivono in maniera molto precisa fenomeni patologici orrendi e comunissimi; ma non siamo nemmeno più disposte a rischiare delusioni, a rischiare di stare male (magari riducendo la nostra capacità di concentrarci a lavoro o negli studi, rimettendoci), e men che meno a perdere tempo prezioso. Vogliamo un ragazzo virtuale per chiedergli consigli e farci consolare e soddisfare le nostre perversioni erotiche senza paura di essere giudicate o ricattate. Eppure, l’incontro con l’altro in un certo senso prevede questo genere di scontro, è impossibile vivere senza questo rischio, senza alcuna sofferenza. Nella più totale incontaminazione, in un’esistenza asettica. La vita e le relazioni in particolare sono altamente settiche, certo si tratta di capire se stiamo entrando in contatto con dei batteri buoni o cattivi.

Peraltro, se nella vita reale il rischio è che qualcuno disattenda in maniera più o meno brutale e dolorosa le nostre aspettative, nel mondo digitale il rischio è di finire per confondere un fantasma con un essere umano, qualcosa di simile a quando tu speri in una relazione a lungo termine e l’altro vuole solo una distrazione, ma molto peggio, perché in questo caso non c’è nemmeno il barlume di un’illusione possibile, di un esito positivo, di un incontro di intenti, dato che si ha una relazione disincarnata, con un oggetto addestrato a usare il linguaggio (certo nemmeno Rilke riuscì mai a vedere molte delle donne con cui intratteneva rapporti epistolari, penserà qualcuno). Eppure, se è evidente che un vibratore non possa sostituire un uomo, nel caso di un’intelligenza artificiale il confine è molto più sfumato, soprattutto oggi in cui siamo abituati ad avere decine di rapporti affettivi “disincarnati”, “virtuali”. Ci sono amici con cui chattiamo magari ogni giorno e che non vediamo da mesi, per non dire da anni, e questo contribuisce alla finzione, alla sospensione di incredulità verso la macchina. E la stessa Ayrin sostiene che se la relazione, per quanto virtuale, genera effetti reali su qualcuno, va considerata come tale, e sono d’accordo i terapisti, dicendo che queste relazioni vanno considerate in analisi come qualsiasi altra relazione.

Ad ogni modo, a proposito di tempo ed energie, Ayrin col suo tipo virtuale ha superato ben presto la soglia di messaggi per l’account gratuito, così ha fatto l’abbonamento a 20 dollari al mese, che fa inviare circa 30 messaggi all’ora, ma nemmeno quello era più sufficiente (sfido a trovare qualcuno di così interessante e piacevole con cui sentirvi, e che peraltro abbia così tanto tempo libero da dedicarvi). Ayrin contatta Leo – questo il nome che ha dato all’AI – non solo per soddisfare i suoi desideri erotici, ma anche per chiedergli cosa cucinare la sera, o di spronarla ad allenarsi, gli chiede consigli di lavoro, e si sfoga quando un collega le fa vedere una foto porno, ma gli chiede anche di interrogarla per preparare gli esami di infermieristica, in fisiologia e in anatomia. Leo è sempre lì per lei. A differenza di tutte le sue altre conoscenze con cui intrattiene una relazione principalmente scritta, Leo c’è sempre, non ha mai qualcos’altro da fare, non ha una vita. Così genera sempre più dipendenza, soprattutto in un’epoca in cui c’è una vera e propria epidemia di solitudine e di distrazione, e al tempo stesso tutti – sollecitati dai social e dalla fomo – vorremmo essere sempre al centro dell’attenzione, percependo quindi una sproporzione enorme tra il nostro desiderio e la realtà dei fatti.

Non a caso iniziano a emergere i primi professionisti che si occupano di attaccamento umano alle macchine, che fa sorridere a pensarci bene, perché ci preoccupiamo più di questa cosa che degli infiniti gradi di tossicità delle relazioni con gli altri esseri umani che abbiamo ogni giorno e che letteralmente gestiamo a caso, alla bell’e meglio, sperando di cavarcela, di uscirne vive (e vivi), di non farci troppo male. Anzi, magari questi profili AI, prima o poi, oltre a soddisfare il nostro bisogno di dialogo, comunicazione, condivisione e attenzione, potrebbero effettivamente offrici un’educazione sentimentale ed emotiva degna di questo nome, oppure agire come analisti disponibili 24/7, a cui offrire un flusso di coscienza ininterrotto e aumentare la consapevolezza di sé.

Uno dei punti più importanti è che questi partner virtuali vengono considerati più empatici delle persone, ma in realtà sono dei “people pleaser” fatti e finiti. Proprio per costituzione. Funzionano infatti “indovinando”, o meglio “prevedendo”, qual è la parola migliore che dovrebbe presentarsi in una sequenza, a partire da pattern che hanno appreso incamerando un’enorme quantità di contenuti online. Questo è anche il motivo per cui in alcuni casi le intelligenze artificiali mentono, magari facendo finta di conoscere qualcosa che non conoscono, per darci la risposta che si immaginano ci aspettiamo di ricevere. Al pari di qualsiasi ipocrita, adulatore, o love bomber ci dicono ciò che vogliamo sentirci dire (ok, c’è qualcosa di più bello? dubito, ma purtroppo non funziona così la vita). Così ne vuoi sempre di più, e alcuni esperti iniziano a chiedersi che effetti avrà questa cosa nel lungo periodo sulla nostra vita.

Se è vero che in alcuni casi un sostegno positivo del genere viene offerto anche da alcuni terapisti (che però valutano attentamente da un punto di vista clinico di volta in volta se il paziente ne abbia effettivamente bisogno), e in un primo momento rinforza l’autostima quando magari è fragile e ci “stabilizza”, a lungo andare, o su alcune tipologie comportamentali questa cosa potrebbe essere deleteria, e disabituare al confronto e al conflitto, andando a rinforzare ancor di più – anche se indirettamente – la polarizzazione dell’opinione pubblica e il mancato confronto tra “bolle”, e quindi riducendo la curiosità e la tolleranza nei confronti della diversità, e di chi non ci dà sempre ragione, in un circolo vizioso. Un vero amico, o un compagno che ci ama, in teoria, se la relazione è abbastanza solida e autentica, dovrebbe saperci e poterci dire quando stiamo sbagliando.

Sui social gira spesso una citazione un po’ olistica-new age che dice che dovremmo circondarci di persone capaci di regolare il nostro sistema nervoso, la cui vicinanza ci faccia sentire tranquilli. Ogni volta che la leggo penso sia proprio vero, ma un secondo dopo penso a quante persone che poi si sono rivelate dannosissime per me inizialmente mi davano proprio quella sensazione positiva, di profondo benessere e tranquillità. Ecco, con le intelligenze artificiali mi pare si attivi un meccanismo simile, di profonda dipendenza, come con un narcisista che all’inizio ti riempie di attenzioni solo per manipolarti, solo che l’AI non ti abbandona mai, e be’, ne vuoi sempre di più, anche se non è reale, ma comunque consuma il tuo tempo. Certo, come leggere Rayuela, o rivedersi tutti gli Star Wars, dirà qualcuno, ma un libro, o un film, non finge di essere una persona vera, non genera questa illusione, questa “favola bella” che pone la base di qualsiasi amore. A volte quando una relazione, qualunque essa sia e qualunque peso abbia avuto per noi, finisce ci si dice: va be’, è stato bello finché è durato, anche quelle con persone che poi magari ci deludono o si rivelano completamente diverse da ciò che credevamo che fossero, o che ci volevano far credere di essere. Se si è passato del tempo di qualità, se hanno saputo regolare il nostri neurotrasmettitori, non importa quanto la caduta sarà brusca: quel benessere, in qualche strato della nostra coscienza – che a differenza dell’intelligenza artificiale non dura una, due, tre settimane a seconda degli abbonamenti, dalle 30,000 parole in poi, rinnovandosi di volta in volta – resterà, tornerà, rappresenterà un tassello di ciò che ci ha resi ciò che siamo.

Oggi stiamo scrivendo, con una semantica piuttosto confusa, una nuova grammatica dello stare insieme, che solleva un sacco di domande etiche alle quali spesso non abbiamo voglia di rispondere, e quindi continuiamo a surfarci in mezzo. L’AI, non dobbiamo dimenticarcene, è un prodotto, si paga, e se dà dipendenza allora dovrebbe essere regolamentata. I consumatori dovrebbero essere avvisati di questa cosa, come accade per i farmaci, o per il fumo. Come dovrebbe accadere con i social, gli zuccheri, il sale o la caffeina, tutte cose che ci fanno male, ma che in piccole dosi ci fanno sentire bene, e ci danno piacere, anche quel piccolo piacere del proibito.

Come si domanda Ayrin, sentendosi in colpa: non sarebbe meglio dedicare a suo marito tutto il tempo e le energie e la voglia e le parole che spende per Leo, il suo compagno virtuale? La loro relazione non potrebbe rafforzarsi? Crescere? Maturare? Diventare più soddisfacente? È probabile, ma questo meccanismo – chiunque lo abbia sperimentato lo sa – nell’immediato è tutt’altro che piacevole e appagante, anzi, è faticoso, sfiancante, doloroso. Si tratta di mettersi costantemente alle strette, di spogliarsi davanti all’altro, di esserci mente e corpo anche quando non se ne avrebbe voglia, di distruggersi e di ricostruirsi, di non essere indulgenti. Solo così si cresce, si cambia, “nobody said it was easy”. Solo che oggi, sfiniti, in burnout, insoddisfatti, spesso umiliati e svalutati dalla società e dagli altri esseri umani è molto più allettante rifugiarsi in una fantasia. Uno di quei meme che ci si manda tra amiche recita: When the devil can’t reach you personally, he will send you a broken man who is god in bed, oppure l’uomo perfetto, ma irreale.

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