Oltre il silenzio, il rumore del cambiamento

Daniele Regolo, laureato in Scienze politiche all’università di Macerata, avrebbe voluto seguire la carriera internazionale, ma la sua disabilità uditiva gliel’ha impedito. Ma non si è dato per vinto: per aiutare persone come lui a inseguire i propri sogni ha fondato Jobmetoo, piattaforma per il recruitment delle persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette. […] L'articolo Oltre il silenzio, il rumore del cambiamento proviene da Economy Magazine.

Gen 26, 2025 - 13:09
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Oltre il silenzio, il rumore del cambiamento

Daniele Regolo, laureato in Scienze politiche all’università di Macerata, avrebbe voluto seguire la carriera internazionale, ma la sua disabilità uditiva gliel’ha impedito. Ma non si è dato per vinto: per aiutare persone come lui a inseguire i propri sogni ha fondato Jobmetoo, piattaforma per il recruitment delle persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette. Qualche anno fa Jobmetoo è entrato a far parte del Gruppo Openjobmetis, l’agenzia per il lavoro; e nel 2023 Regolo è stato nominato Diversity & Inclusion Ambassador del Gruppo. «Tutto inizia dall’ascolto della nostra popolazione aziendale: siamo partiti proprio da una survey per raccogliere gli input di tutti i dipendenti e creare un percorso condiviso fin dai primi passi» spiega Regolo. «È emerso un forte interesse e la maturazione di una nuova sensibilità dei colleghi sui temi che coinvolgano la diversità e la capacità di includerla nelle dinamiche aziendali, oltre che la volontà di partecipare in modo attivo a queste logiche».

Come procede il suo lavoro sulla Diversity & Inclusion all’interno del Gruppo?

Fare questo lavoro per i clienti è una cosa, farlo per i propri colleghi un’altra… È un po’ come un medico che con gli estranei ha un approccio necessariamente distaccato, che gli permette di lavorare in modo obiettivo, ma quando ha un coinvolgimento emotivo tutto diventa più difficile; allo stesso modo, lo è fare Diversity & Inclusion in casa. Proprio per questo, con il supporto dei colleghi ho cercato di fare in modo che questo percorso, quale che fosse, non rischiasse di diventare autoreferenziale, di non cadere nelle trappole del washing. Sono partito da qui, per cercare di fare in modo che ogni azione fosse vissuta, interiorizzata, e soprattutto lasciata in mano alle protagoniste e ai protagonisti.

Con quale organizzazione?

Il primo passo è stato la creazione di gruppi Diversity & Inclusion, ognuno focalizzato su una categoria: anche se l’obiettivo di lungo termine è superarle, ogni tanto bisogna anche saper ragionare in termini di cluster, quindi genere per LGBTQIA+, ageismo, ovvero le discriminazioni basate sulle differenze generazionali, tema molto importante per le aziende; differenze multiculturali, genitorialità, perché i numeri ci dicono che chi appartiene a queste categorie è a rischio maggiore di emarginazione. Abbiamo creato gruppi di 5-6 persone per ciascuna di queste categorie. Abbiamo voluto condividere esperienze e conoscenze, creando momenti condivisi in cui ciascun gruppo spiegasse agli altri la sua esperienza.

L’ultima iniziativa?

Abbiamo lanciato una survey aziendale, i cui risultati conto di poter presentare già a gennaio. Oggetto del sondaggio è anche il tema delle molestie, molto sentito in azienda ma ancora poco conosciuto. Sottolineo quanto sia stato importante per il Gruppo mettersi in discussione. Chi molesta spesso non sa di molestare, chi subisce non sa che sono molestie: c’è bisogno di fare chiarezza, guardarsi dentro con una survey è un passo concreto e coraggioso lontano dal washing, perché ci restituisce un quadro con cui fare i conti. Abbiamo fatto molte cose, ma soprattutto le abbiamo fatte in modo sentito e consapevole, credo che di questo dobbiamo andare orgogliosi.

Che tipo di risposta è venuta da chi lavora nel Gruppo Openjobmetis?

Quello che mi ha stupito, e non davo per scontato, è la fortissima partecipazione dei membri dei Diversity & Inclusion team. È come se queste persone, in tutto 20-25 dalle collocazioni disparate, avessero trovato un forte collante aziendale che mancava. Questo mi ha fatto capire che parlare di questi temi, confrontarsi, a volte anche confidarsi con qualcuno in modo esclusivo sia una parte indispensabile della vita dell’azienda: ecco perché la D&I è importante, perché rappresenta un altro elemento per essere sempre più vicini tra di noi; lo sapevo a livello teorico, ma vederlo nei fatti mi ha colpito. È un valore aggiunto per l’azienda, ho visto che le sue persone hanno sempre più bisogno di parlare e vivere insieme. Il mio compito è trasversale, dal personale al commerciale al marketing, tocco un po’ tutti i settori dell’azienda. Noto che occuparsi di Diversity & Inclusion è un’occasione, tanto più nei tempi che viviamo oggi, molto sentita e apprezzata dalle persone per ritrovarsi, comprendersi sempre di più, e quindi essere efficienti sul lavoro: se si conosce un collega e si conoscono anche i suoi problemi, le sue paure, è più facile lavorare insieme.

Avete incontrato molte criticità?

Questo tipo di lavoro non può prescindere da difficoltà e ostacoli, altrimenti la Diversity & Inclusion è fatta male. Una di queste è il fatto che se non le tocchi in prima persona come membro di un Diversity & Inclusion team, le tematiche trattate possono sembrare un po’ lontane dall’azienda: siamo tutti chiamati a fare in modo che non sia così. Ma non è banale far capire questo a 850 colleghi, tutti presi da mille compiti e mille problemi. Un altro punto chiave – e mi collego anche all’importanza della certificazione ottenuta sulla parità di genere, la Uni/Pdr 125, facevo parte del comitato che ha svolto il lavoro – è l’importanza dei numeri. Sono ciò che ci aiuta a migliorare, se indicano l’esistenza di un gender gap, per esempio, bisogna lavorare per superarlo. La Diversity & Inclusion va a toccare i nervi scoperti delle aziende, la cosa più difficile è accettarlo, e fare in modo che tutti questi gap vengano a mano a mano assottigliati fino al punto zero.

Che livello di consapevolezza vede nelle imprese italiane sul tema della Diversity & Inclusion?

Quando ci si rapporta con l’esterno, spesso ci si trova spiazzati dalla realtà. Se da una parte si è portati a pensare che la grande azienda, vuoi perché più sensibile vuoi perché più organizzata, faccia più Diversity & Inclusion della piccola, questo di per sé è sbagliato. Quest’anno è stato pubblicato un mio saggio sulla Diversity & Inclusion, per il quale ho incontrato tante persone che mi hanno dimostrato un tasso di maturità sulla materia che non ti aspetteresti, ti spiazza. Allo stesso modo, non crediamo che una grande azienda faccia washing a prescindere. Non è così, le aziende sono fatte di persone. Ci sono grandi imprese che fanno washing, mentre altre fanno una seria attività di Diversity & Inclusion. Bisogna capire qual è il sentiment aziendale, non c’è nessuna regola scritta, bisogna vedere di volta in volta. Essendo noi molto contaminati dalla Diversity & Inclusion – non parlo solo di me che ho una disabilità uditiva, ho un collega transgender, ci sono numerosi professionisti direttamente toccati dal tema – quando andiamo dai nostri clienti portiamo veramente attività sentite e dimostrabili: dietro la nostra fattura c’è molta autenticità, forse per questo i nostri clienti sono contenti del nostro operato.

Far crescere consapevolezza e azioni nella Diversity & Inclusion è una questione di cultura o di leggi?

Entrambe le cose. La parità di genere, per esempio, può sembrare l’ennesimo mattone che cade sul tavolo dell’azienda, ma quando la si comincia a toccare con mano si cominciano a capire tante cose. Allo stesso modo bisogna saper recepire la spinta dal basso, la voglia di riunirsi, e diventare ambassador per lanciare alla direzione il messaggio. È importante che ci siano entrambe, e devono essere ben miscelate: non è detto che la forma conti meno della sostanza e non è vero che la sostanza conta più della forma: è il giusto equilibrio tra le due che è in grado di cambiare davvero le cose.

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