Il sacro Nilo, tra terra nera e terra rossa
Gli egizi paragonavano la loro terra a un fiore di loto: lo stelo lungo e robusto è la valle del Nilo a sud, mentre la corolla è il delta a nord che si apre a ventaglio per gettarsi nel “Grande Verde”, il mar Mediterraneo. In effetti guardando una cartina dell'Egitto, o una sua foto satellitare, questo Paese sembra proprio un fiore di loto incastonato nel deserto.L'Egitto è una stretta striscia di terra fertile chiusa su entrambi i lati dal deserto più arido al mondo, il Sahara. La civiltà egizia poté nascere e svilupparsi solo grazie all’inondazione annuale del Nilo che depositava sulla terra il limo, fango fertilissimo, rendendo possibile la vita. Come scrisse Erodoto: «L’Egitto è il dono del Nilo».Terra nera e terra rossaLa terra coltivata è circondata dalle sabbie aride e inospitali del deserto, e la linea di separazione tra le due è così netta che si può stare con un piede sulla terra fertile e con l’altro nel deserto. Vita, morte, voci, silenzio, terra coltivata e deserto: polarità estreme vicinissime.Grazie al Nilo il deserto rimane ai margini, ma è sempre lì, che incombe sulle acque fangose del fiume, a ricordarci che il miracolo della vita è dovuto alla sua piena. Il Nilo è la linfa dell’Egitto.Strabone scrisse: «L’Egitto consiste solo di terra fluviale». Gli egizi infatti consideravano “Egitto” solo la parte di terra in cui arrivava l'inondazione e che veniva chiamata kemet, “terra nera”, nome ispirato al colore scuro della terra fertile. Il deserto invece veniva chiamato desheret, “terra rossa”, ed era considerato un Paese straniero, un luogo pericoloso, il regno della morte e dell’alterità.Ma se gli egizi chiamavano il loro paese Kemet, come mai noi lo chiamiamo “Egitto”? Il nome deriva da quello del tempio dedicato al dio Ptah della città di Menfi, prima capitale dell'Egitto unificato, Hut-Ka-Ptah, “Palazzo dello spirito di Ptah”, che in greco divenne Aigyptos.Hapy, il dio NiloIn un inno del Nuovo Regno (1539-1069 a.C.) è scritto: «Adorare Hapy. Salute a te, Hapy, che esci dalla terra e che vieni per far vivere l’Egitto, dalla natura occulta, oscuro di giorno, il suo seguito lo loda, lui che inonda i campi creati da Ra per far vivere tutto il bestiame, lui che disseta il deserto, lontano dall’acqua». Hapy è il nome del dio Nilo, e «oscuro di giorno» è un’allusione al colore delle sue acque, che sono scure, fangose e portatrici di vita. Non era propriamente il fiume ad essere considerato divino, ma la sua inondazione, portatrice di vita e di prosperità. Hapy vuol dire appunto “piena”, "inondazione". In un inno al Nilo è scritto: «Prospera, o nascosto! Prospera, o nascosto! / Hapy, prospera, o nascosto! / Che fai vivere gli uomini e il bestiame / Con i prodotti dei tuoi campi».Hapy, divinità ermafrodita, ha il corpo di un uomo dal ventre flaccido con seni da donna e la pelle verde o blu. Considerato padre e madre degli esseri umani, indossa una corona di fiori di loto e papiro e stringe tra le mani un vassoio carico di pesci e fiori, simboli di vita e di abbondanza. Il nome "Nilo", invece, è greco, e sembra derivare da una parola semitica che significa "fiume". Anche gli egizi lo chiamavano semplicemente «fiume», ỉterw, poiché non esisteva altro fiume come il loro. Il Nilo non era “un” fiume, ma “il” fiume per eccellenza. Come scrive l'egittologo Toby Wilkinson, «L’Egitto è il Nilo, il Nilo l'Egitto». Il miracolo della pienaInsomma, l’Egitto è un’oasi di vita grazie al “miracolo” che si compiva una volta all’anno: l’inondazione. La piena del Nilo ha origine molto a sud ed è causata dalle piogge che riempiono due grandi fiumi: il Nilo Bianco, alimentato dal lago Vittoria, e il Nilo Azzurro, originario dell'altopiano etiopico. Questi due fiumi, poco a sud di Khartoum, capitale del Sudan, uniscono le loro acque dando origine al Nilo, che scorre verso nord per poi gettarsi nel mar Mediterraneo.Ogni estate nel mese di luglio le acque del Nilo cominciavano a salire, l'ondata avanzante della piena faceva diventare le acque del Nilo dapprima verdastre, per via degli ammassi di detriti vegetali, poi rosse per il fango ferruginoso proveniente dalle lontane terre dell’Etiopia. Le acque del Nilo uscivano poi dal loro letto e andavano a inondare le terre circostanti. I villaggi e le città erano costruiti su piccole alture in modo che l’acqua dell’inondazione non allagasse periodicamente le case, come mostra il bel mosaico di Palestrina (II-I secolo a.C.) che rappresenta l’Egitto proprio nel periodo della piena del Nilo. In questo mosaico i villaggi che costellavano le rive del fiume sembrano tante piccole isole in mezzo al mare. Come scrisse Erodoto: «Quando il Nilo inonda il Paese, solo le città appaiono emergenti, assai simili a isole del mar Egeo. Tutto il resto dell’Egitto diventa un mare». Dopo quattro mesi le acque si ritiravano lasciando sul terreno il limo, un fango nero fertilissimo. «La magica combinazione di acqua e sostanze nutritive, sotto il calore del sole egiziano, offriva alla valle del Nilo
Gli egizi paragonavano la loro terra a un fiore di loto: lo stelo lungo e robusto è la valle del Nilo a sud, mentre la corolla è il delta a nord che si apre a ventaglio per gettarsi nel “Grande Verde”, il mar Mediterraneo. In effetti guardando una cartina dell'Egitto, o una sua foto satellitare, questo Paese sembra proprio un fiore di loto incastonato nel deserto.
L'Egitto è una stretta striscia di terra fertile chiusa su entrambi i lati dal deserto più arido al mondo, il Sahara. La civiltà egizia poté nascere e svilupparsi solo grazie all’inondazione annuale del Nilo che depositava sulla terra il limo, fango fertilissimo, rendendo possibile la vita. Come scrisse Erodoto: «L’Egitto è il dono del Nilo».
Terra nera e terra rossa
La terra coltivata è circondata dalle sabbie aride e inospitali del deserto, e la linea di separazione tra le due è così netta che si può stare con un piede sulla terra fertile e con l’altro nel deserto. Vita, morte, voci, silenzio, terra coltivata e deserto: polarità estreme vicinissime.Grazie al Nilo il deserto rimane ai margini, ma è sempre lì, che incombe sulle acque fangose del fiume, a ricordarci che il miracolo della vita è dovuto alla sua piena. Il Nilo è la linfa dell’Egitto.
Strabone scrisse: «L’Egitto consiste solo di terra fluviale». Gli egizi infatti consideravano “Egitto” solo la parte di terra in cui arrivava l'inondazione e che veniva chiamata kemet, “terra nera”, nome ispirato al colore scuro della terra fertile. Il deserto invece veniva chiamato desheret, “terra rossa”, ed era considerato un Paese straniero, un luogo pericoloso, il regno della morte e dell’alterità.
Ma se gli egizi chiamavano il loro paese Kemet, come mai noi lo chiamiamo “Egitto”? Il nome deriva da quello del tempio dedicato al dio Ptah della città di Menfi, prima capitale dell'Egitto unificato, Hut-Ka-Ptah, “Palazzo dello spirito di Ptah”, che in greco divenne Aigyptos.
Hapy, il dio Nilo
In un inno del Nuovo Regno (1539-1069 a.C.) è scritto: «Adorare Hapy. Salute a te, Hapy, che esci dalla terra e che vieni per far vivere l’Egitto, dalla natura occulta, oscuro di giorno, il suo seguito lo loda, lui che inonda i campi creati da Ra per far vivere tutto il bestiame, lui che disseta il deserto, lontano dall’acqua». Hapy è il nome del dio Nilo, e «oscuro di giorno» è un’allusione al colore delle sue acque, che sono scure, fangose e portatrici di vita.
Non era propriamente il fiume ad essere considerato divino, ma la sua inondazione, portatrice di vita e di prosperità. Hapy vuol dire appunto “piena”, "inondazione". In un inno al Nilo è scritto: «Prospera, o nascosto! Prospera, o nascosto! / Hapy, prospera, o nascosto! / Che fai vivere gli uomini e il bestiame / Con i prodotti dei tuoi campi».
Hapy, divinità ermafrodita, ha il corpo di un uomo dal ventre flaccido con seni da donna e la pelle verde o blu. Considerato padre e madre degli esseri umani, indossa una corona di fiori di loto e papiro e stringe tra le mani un vassoio carico di pesci e fiori, simboli di vita e di abbondanza.
Il nome "Nilo", invece, è greco, e sembra derivare da una parola semitica che significa "fiume". Anche gli egizi lo chiamavano semplicemente «fiume», ỉterw, poiché non esisteva altro fiume come il loro. Il Nilo non era “un” fiume, ma “il” fiume per eccellenza. Come scrive l'egittologo Toby Wilkinson, «L’Egitto è il Nilo, il Nilo l'Egitto».
Il miracolo della piena
Insomma, l’Egitto è un’oasi di vita grazie al “miracolo” che si compiva una volta all’anno: l’inondazione. La piena del Nilo ha origine molto a sud ed è causata dalle piogge che riempiono due grandi fiumi: il Nilo Bianco, alimentato dal lago Vittoria, e il Nilo Azzurro, originario dell'altopiano etiopico. Questi due fiumi, poco a sud di Khartoum, capitale del Sudan, uniscono le loro acque dando origine al Nilo, che scorre verso nord per poi gettarsi nel mar Mediterraneo.
Ogni estate nel mese di luglio le acque del Nilo cominciavano a salire, l'ondata avanzante della piena faceva diventare le acque del Nilo dapprima verdastre, per via degli ammassi di detriti vegetali, poi rosse per il fango ferruginoso proveniente dalle lontane terre dell’Etiopia. Le acque del Nilo uscivano poi dal loro letto e andavano a inondare le terre circostanti. I villaggi e le città erano costruiti su piccole alture in modo che l’acqua dell’inondazione non allagasse periodicamente le case, come mostra il bel mosaico di Palestrina (II-I secolo a.C.) che rappresenta l’Egitto proprio nel periodo della piena del Nilo. In questo mosaico i villaggi che costellavano le rive del fiume sembrano tante piccole isole in mezzo al mare. Come scrisse Erodoto: «Quando il Nilo inonda il Paese, solo le città appaiono emergenti, assai simili a isole del mar Egeo. Tutto il resto dell’Egitto diventa un mare». Dopo quattro mesi le acque si ritiravano lasciando sul terreno il limo, un fango nero fertilissimo.
«La magica combinazione di acqua e sostanze nutritive, sotto il calore del sole egiziano, offriva alla valle del Nilo una produttività agricola che faceva invidia agli altri territori. Fu grazie alla piena annuale che l’Egitto poté sviluppare una civiltà sofisticata» scrive l’egittologo Toby Wilkinson.
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L’inondazione era così importante che l’inizio del nuovo anno coincideva con il suo arrivo. L'avvio della stagione delle piogge sugli altipiani dell’Etiopia portava grandi quantità di acqua che si riversavano nel Nilo dando così inizio alla stagione dell’inondazione (akhet), che raggiungeva l'Egitto meridionale tra giugno e luglio arrivando a nord diverse settimane dopo. Seguiva la stagione di peret, quella del ritiro delle acque, e infine la stagione di shemu, quella della semina e della successiva raccolta delle messi. Il calendario egizio era legato indissolubilmente ai movimenti del suo sacro fiume.
Quando la piena del Nilo era più bassa del normale i raccolti erano scarsi e si correva il pericolo di una carestia. Lo testimoniano alcuni blocchi di pietra provenienti dalla rampa processionale della piramide di Saqqara del re Unis, ultimo sovrano della V dinastia (2450-2325 a.C.), che raffigurano persone così denutrite da far vedere le ossa sotto la pelle.
Un visir di nome Mentuhotep, vissuto durante la XI dinastia (2080-1938 a.C.), ha scritto con orgoglio sulle pareti della sua tomba: «Quando avvenne una bassa inondazione durante i miei venticinque anni non lasciai morire di fame il mio distretto. Detti grano e orzo. Non lasciai che avvenisse miseria, finché l'alta inondazione venne di nuovo». Al contrario, una piena troppo alta portava rovina, distruzione e morte.
Per capire in anticipo che portata avrebbe avuto l'inondazione, gli egizi costruirono dei “nilometri”, termine con il quale vengono chiamate delle strutture, scale o pozzi che servivano appunto a misurare l'altezza della piena. I nilometri si trovavano di solito vicino ai templi, e alcuni si sono conservati molto bene, come quelli di File, Edfu, Dendera, Kom Ombo e quello dell'isola di Elefantina, ricostruito in epoca romana. Determinando in anticipo la portata della piena, servivano anche a calcolare l’entità delle tasse da imporre sul raccolto agricolo dei contadini.
Negli anni settanta del novecento fu costruita, nell'estremo sud del Paese, la diga di Assuan e da allora l’inondazione è cessata. La diga ha bloccato l'apporto del limo sui campi, costringendo gli egiziani all'uso di fertilizzanti artificiali. Inoltre, la naturale piena del Nilo eliminava molti sali dal terreno che ora invece mettono in serio pericolo la conservazione dei monumenti antichi.
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