Espellere i palestinesi e creare una “Costa Azzurra del Medio Oriente” sotto il controllo Usa: il piano di Trump per Gaza
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato un piano per il dopoguerra nella Striscia di Gaza che prevede l’espulsione della popolazione palestinese, in cambio di un altro “pezzo di terra buono, fresco e bello”, e il controllo del territorio costiero da parte degli Usa, che ne promuoveranno lo sviluppo immobiliare fino a farne […]
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato un piano per il dopoguerra nella Striscia di Gaza che prevede l’espulsione della popolazione palestinese, in cambio di un altro “pezzo di terra buono, fresco e bello”, e il controllo del territorio costiero da parte degli Usa, che ne promuoveranno lo sviluppo immobiliare fino a farne una nuova “Riviera”, definita la “Costa Azzurra del Medio Oriente”.
“Gli Stati Uniti prenderanno il controllo della Striscia di Gaza e anche noi faremo la nostra parte”, ha detto Trump durante una conferenza stampa congiunta tenuta nella notte italiana a Washington con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il primo leader straniero ricevuto alla Casa bianca dal ritorno al potere del magnate repubblicano.
Un’iniziativa in palese contrasto con il diritto internazionale e la stessa politica estera condotta finora dagli Stati Uniti in Medio Oriente ma che ha subito ricevuto il plauso del capo del governo dello Stato ebraico, che ha ringraziato Trump definendolo “il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa bianca”. Al di là di Netanyahu e dell’estrema destra israeliana però, il piano “Riviera” per Gaza non ha ricevuto alcun sostegno internazionale, in particolare dai Paesi della regione, Arabia Saudita in primis, che ha ribadito come non potrà esserci pace in Medio Oriente senza la fondazione di uno Stato palestinese. Ma cosa prevede l’iniziativa annunciata dal presidente degli Stati Uniti?
Il piano Trump per Gaza
“Ci occuperemo di quel pezzo (di terra, ndr) e lo svilupperemo”, ha spiegato Trump parlando di Gaza dove, secondo le Nazioni Unite, gli attacchi aerei israeliani hanno danneggiato o distrutto circa il 60% degli edifici, tra cui scuole e ospedali, e circa il 92% delle abitazioni, obbligando quasi 2 milioni di abitanti ad abbandonare più volte le proprie case e rifugi. “Abbiamo l’opportunità di fare qualcosa che potrebbe essere fenomenale”, ha aggiunto il magnate durante la conferenza stampa con Netanyahu. “E non voglio essere carino, non voglio fare il saputello, ma la Riviera del Medio Oriente, potrebbe essere così… magnifica”.
Per cominciare però bisognerà chiarire chi controllerà la Striscia. Per Trump, in barba al diritto internazionale, spetterà agli Stati Uniti. ”Ne saremo proprietari e saremo responsabili dello smantellamento di tutte le pericolose bombe inesplose e delle altre armi presenti sul sito, della sua demolizione e della rimozione degli edifici distrutti”, ha affermato il presidente americano, che non ha escluso nemmeno l’invio di truppe statunitensi a Gaza.
“Faremo ciò che è necessario”, ha detto Trump rispondendo a una domanda diretta. “Se è necessario, lo faremo. Prenderemo in carico quel pezzo (di terra, ndr) e lo svilupperemo”. “Vedo una posizione di proprietà a lungo termine, e vedo che porterà grande stabilità a quella parte del Medio Oriente, e forse all’intero Medio Oriente”, ha poi aggiunto il magnate, il cui progetto non coinvolge la popolazione palestinese, che dovrebbe semplicemente essere allontanata da Gaza.
Una volta risolto il problema del controllo, o meglio della “proprietà” del territorio costiero per usare le parole del presidente Usa, è infatti importante capire chi abiterà la Striscia in futuro. “Non credo che la popolazione (palestinese, ndr) dovrebbe tornare a Gaza”, ha sottolineato Trump. “Ho sentito che Gaza è stata davvero una sfortuna per loro. Vivono come se stessero all’inferno. Gaza non è un posto in cui la gente dovrebbe vivere, e l’unica ragione per cui vogliono tornare, e ci credo fermamente, è perché non hanno alternative”.
Ma che fine farà allora la popolazione palestinese della Striscia? Secondo il magnate, gli attuali abitanti riceveranno un “pezzo di terra buono, fresco e bello” in cui vivere. Anche se non si sa ancora dove. Come già proposto negli scorsi giorni infatti, secondo Trump, i quasi due milioni di palestinesi Gazawi dovrebbero essere accolti dai Paesi vicini, come Egitto e Giordania, che hanno già rifiutato, rinunciando a vivere nel territorio costiero. “Perché vorrebbero tornare? Quel posto è stato un inferno”, ha aggiunto Trump, ignorando un reporter che gridava: “Perché è casa loro”.
Questo non esclude comunque che qualcuno degli attuali abitanti possa tornare nella Striscia, ma secondo Trump questa non dovrà più essere considerata un territorio palestinese. Alla domanda su chi vivrà in questa “Costa Azzurra del Medio Oriente”, il presidente Usa ha risposto: “Le persone del mondo. Anche i palestinesi. I palestinesi vivranno lì. Molte persone vivranno lì”.
“Questa non è stata una decisione presa alla leggera”, ha poi spiegato Trump, affermando di aver studiato questo piano “per molti mesi”. “Tutti quelli con cui ho parlato amano l’idea che gli Stati Uniti possiedano quel pezzo di terra, sviluppando e creando migliaia di posti di lavoro con qualcosa che sarà magnifico”. Ma dalle prime reazioni, al di fuori dell’estrema destra in Israele, non sembra affatto così.
La reazione dei palestinesi e dei Paesi arabi
La prima a rifiutare la proposta di Trump è stata proprio quell’Arabia Saudita con cui il premier israeliano Netanyahu ha assicurato che Israele farà la pace. “Credo che la pace tra Israele e Arabia Saudita non sia solo fattibile, credo che accadrà”, aveva spiegato il capo del governo dello Stato ebraico durante la conferenza stampa con Trump. “L’Arabia Saudita continuerà senza sosta i suoi sforzi per la creazione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale e in caso contrario non stabilirà relazioni diplomatiche con Israele”, ha affermato il ministero degli Esteri saudita in una nota diramata oggi sui social.
“Raggiungere una pace duratura e giusta è impossibile senza che il popolo palestinese ottenga i propri legittimi diritti in conformità con le risoluzioni internazionali, come è stato precedentemente chiarito sia alla precedente che all’attuale amministrazione statunitense”, ha concluso il ministero di Riad. Dichiarazioni a cui hanno fatto eco anche Giordania ed Egitto, che hanno ribadito il loro appoggio alla soluzione dei due Stati e il “continuo e pieno sostegno alla fermezza del popolo palestinese a vivere nella propria terra”.
“I palestinesi non dovrebbero lasciare Gaza mentre è in fase di ricostruzione”, ha ribadito oggi il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty incontrando il premier dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mohammad Mostafa. “Per quanto riguarda la situazione umanitaria a Gaza, l’incontro ha sottolineato l’importanza di andare avanti con progetti e programmi di recupero tempestivi, rimuovendo le macerie e fornendo aiuti umanitari a un ritmo accelerato, senza che i palestinesi lascino la Striscia di Gaza, soprattutto dato il loro attaccamento alla loro terra e il loro rifiuto di abbandonarla”, si legge nella nota diramata a seguito del vertice dal ministero degli Esteri egiziano.
Tutto questo senza contare Hamas, che ha definito “razzista” la proposta Trump, che rischia di far saltare i negoziati cominciati ieri per la seconda fase della tregua nella Striscia. A caldo, l’esponente del Politburo del gruppo terroristico palestinese Izzat Al-Rishq ha affermato che l’iniziativa del presidente Usa riflette la “profonda ignoranza” di Trump sulle questioni mediorientali e conferma la parzialità di Washington a favore di Israele. “La posizione razzista americana è in linea con quella dell’estrema destra israeliana che vuole sfollare il nostro popolo ed eliminare la nostra causa”, ha poi affermato in una nota il portavoce di Hamas, Abdel Latif al-Qanou. Per l’esponente un altro di Hamas, Sami Abu Zuhri, le dichiarazioni di Trump rappresentano una “ricetta per creare il caos” in Medio Oriente.
Una posizione condivisa da tutto lo spettro politico palestinese. “Gaza non è una terra comune che nessuna parte può decidere di controllare, ma piuttosto è parte della nostra terra palestinese occupata, e qualsiasi soluzione deve basarsi sulla fine dell’occupazione e sul raggiungimento dei diritti del popolo palestinese, e non sulla mentalità di un promotore immobiliare e sulla volontà di potere e di dominio”, ha commentato Mustafa Barghouti, segretario generale del partito Palestinian National Initiative, secondo cui “le osservazioni e i suggerimenti di Trump violano completamente il diritto internazionale e rappresentano un appello alla pulizia etnica, che costituisce un crimine di guerra”. L’ambasciatore palestinese all’Onu poi, Riad Mansour, ha invitato i leader mondiali a “rispettare la volontà del popolo palestinese” di vivere a Gaza, mentre in una nota l’Olp ha respinto “tutti i piani per allontanare i palestinesi dalla loro patria”.
Da parte sua infine, il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è limitato a ringraziare l’Arabia Saudita e ad appoggiare le “dichiarazioni fraterne” di Riad e “il rifiuto del Regno di sostenere gli insediamenti israeliani, le richieste di sfollamento e annessione e qualsiasi progetto che metta a repentaglio i giusti e legittimi diritti nazionali del popolo palestinese, tra cui spicca il diritto all’autodeterminazione e alla fondazione dello Stato palestinese sul suo territorio con Gerusalemme Est come capitale, in conformità con le risoluzioni internazionali”. Trump però potrebbe non fermarsi a Gaza.
La prossima questione: l’annessione della Cisgiordania
Il presidente statunitense ha infatti anticipato alla stampa un’imminente proposta per la Cisgiordania occupata, risponendo alla domanda di un giornalista che gli chiedeva conto del possibile sostegno di Washington alla sovranità israeliana su “Giudea e Samaria”, l’espressione biblica che molti israeliani usano per indicare il territorio palestinese.
“Ne stiamo discutendo”, ha risposto Trump, dopo aver ricordato il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico e l’annessione delle Alture occupate del Golan durante il suo primo mandato alla Casa bianca. “Alla gente piace l’idea, ma non abbiamo ancora preso una posizione in merito. Probabilmente faremo un annuncio su questo specifico argomento nelle prossime quattro settimane”, ha aggiunto il magnate repubblicano, che durante la sua prima amministrazione abbandonò la tradizionale posizione statunitense che, come previsto dal diritto internazionale, considerava illegali gli insediamenti nei Territori occupati.
Non a caso, tra i primi provvedimenti adottati una volta tornato al potere, Trump ha revocato le sanzioni imposte dal suo predecessore Joe Biden ai coloni violenti in Cisgiordania. Ma durante il secondo mandato potrebbe fare molto di più.
Elise Stefanik, in predicato di diventare la nuova ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, si è infatti recentemente detta d’accordo con l’opinione che Israele vanti “un diritto biblico” ad annettere la Cisgiordania. Qualche anno fa invece il suo futuro collega Mike Huckabee, nominato da Trump nuovo ambasciatore Usa nello Stato ebraico, affermò che “non c’è alcuna occupazione dei Territori palestinesi”, anzi che “non esiste una cosa come un palestinese”.
Intanto c’è chi si porta avanti. La deputata Claudia Tenney e il senatore Tom Cotton, entrambi repubblicani, hanno presentato al Congresso una proposta di legge che prevede di sostituire il termine “Cisgiordania” con l’espressione “Giudea e Samaria” in tutti i documenti ufficiali delle amministrazioni degli Stati Uniti. “Il popolo israeliano ha un innegabile e indiscutibile diritto storico e legale sulla Giudea e la Samaria”, ha affermato Tenney.
Chissà che la Casa bianca, prima o poi, non lo riconosca permettendo a Israele di annettere l’intera Palestina. Anche in questo caso, come per Gaza, in palese violazione del diritto internazionale. Se la Carta delle Nazioni Unite vieta questo genere di violazioni di sovranità, la Convenzione di Ginevra proibisce infatti lo spostamento forzato di civili. Ma l’amministrazione statunitense non pare preoccuparsene.