È finita la “pax americana” | L’analisi di Marta Dassù
Anche per Marta Dassù è finita la “pax americana”. Le tariffe (dazi doganali) decise da Trump II contro Messico e Canada, con un’aggiunta alla Cina per il commercio di Fentanyl, innescano potenzialmente quella che il Wall Street Journal definisce la guerra commerciale “più stupida” della storia. In effetti, le motivazioni economiche sono nulle – o […] L'articolo È finita la “pax americana” | L’analisi di Marta Dassù proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.
Anche per Marta Dassù è finita la “pax americana”. Le tariffe (dazi doganali) decise da Trump II contro Messico e Canada, con un’aggiunta alla Cina per il commercio di Fentanyl, innescano potenzialmente quella che il Wall Street Journal definisce la guerra commerciale “più stupida” della storia.
In effetti, le motivazioni economiche sono nulle – o quasi. E comunque lesive per settori dell’America stessa. Mentre il fine dichiarato è politico: sigillare i confini degli Stati Uniti all’immigrazione illegale, tagliare a zero i cartelli della droga, controllare la penetrazione cinese nel cortile di casa di Washington.
O Messico e Canada collaboreranno (come la Colombia, ma sono la stessa cosa) o subiranno i costi dei dazi americani.
Viene confermato, così, un tratto rilevante della politica estera di Trump II: la Casa Bianca rivendica, nell’Emisfero Occidentale, una propria sfera di influenza.
Trump, che si richiama storicamente alle scelte di fine Ottocento (le presidenze di McKinley e di Theodore Roosevelt), applica nei fatti una sorta di dottrina Monroe aggiornata. Secondo cui l’America, nel proprio vicinato, non ha bisogno di alleati ma ha bisogno di paesi allineati.
Se per Monroe e i suoi seguaci dell’Ottocento ciò significava eliminare le presenze coloniali europee, per Trump significa rafforzare la presa territoriale degli Stati Uniti, così da rafforzare la lotta all’immigrazione illegale, limitare l’influenza cinese (Canale di Panama) e acquisire nuove risorse strategiche.
Che i dazi doganali siano lo strumento adatto per facilitare il compito è discutibile; ma l’idea sembra questa.
Verso il resto del mondo, la logica è diversa. Trump II, come Trump I, vede nelle tariffe – che gran parte degli economisti considera soprattutto una tassa sui consumatori americani, con potenziali effetti inflattivi – la leva per riequilibrare i rapporti commerciali internazionali, con un abbattimento del deficit degli Stati Uniti.
Sul piano interno, ciò serve in teoria a rendere sostenibili i tagli fiscali. E a proteggere parte di una manifattura “made in Usa”.
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