DeepSeek, l’invasione del chatbot cinese dilaga in occidente
Hi tech. La start up realizzata con bassi investimenti sgretola la certezza di una superiorità tecnologica Usa nel settore dell’intelligenza artificiale Si chiama DeepSeek e potrebbe rappresentare il momento Sputnik dell’intelligenza artificiale. Perché questa start up cinese, nata come spin off del fondo di investimento High-Flyer, ha rilasciato un chatbot che non solo ha fatto […] L'articolo DeepSeek, l’invasione del chatbot cinese dilaga in occidente proviene da Iusletter.
Hi tech. La start up realizzata con bassi investimenti sgretola la certezza di una superiorità tecnologica Usa nel settore dell’intelligenza artificiale
Si chiama DeepSeek e potrebbe rappresentare il momento Sputnik dell’intelligenza artificiale. Perché questa start up cinese, nata come spin off del fondo di investimento High-Flyer, ha rilasciato un chatbot che non solo ha fatto crollare il Nasdaq, ma ha anche messo in discussione la leadership occidentale (o meglio, americana) nel settore dell’AI, sgretolando certezze su una presunta superiorità tecnologica che ora potrebbe essere più difficile da dimostrare.
Perché DeepSeek, col suo modello R1-Zero da 671 miliardi di parametri, promette di avere capacità di “ragionamento” al pari dei modelli o1 e o3 di OpenAI. Con la differenza che lo sviluppo del modello cinese costerebbe circa un ventesimo di quanto costano i competitor americani. Secondo le notizie diffuse dalla casa madre, infatti, il costo di allenamento di un modello DeepSeek è di 5,6 milioni di dollari, molto inferiore ai 100 milioni o più stimati da Anthropic per modelli equivalenti. Una disparità che ha acceso i fari sugli investimenti, insinuando lo spettro della speculazione sui titoli legati all’intelligenza artificiale.
I chip di Nvidia
Nelle ultime 48 ore l’app di DeepSeek ha immediatamente conquistato le classifiche degli store iOS e Android anche negli Stati Uniti. Un risultato che sa un po’ di beffa, se si pensa alle mosse americane degli ultimi anni. Washington, infatti, ha introdotto a più riprese divieti di esportazione di semiconduttori verso la Cina. E lo ha fatto soprattutto per i chip più performanti, come l’ormai famoso H100 di Nvidia, cuore pulsante dei chatbot intelligenti americani.
Così Nvidia si è ritrovata a dover vendere in Cina dei processori meno performanti (gli H800), che rispetto agli H100 offrono velocità di trasferimento dimezzate. Processori, insomma, che nelle intenzioni americane avrebbero limitato lo sviluppo cinese dell’AI. E che invece – a giudicare da DeepSeek – pare abbiano portato a progetti altamente competitivi e a costi molto inferiori.
Una specie di beffa tecnologica, insomma. Oppure, un incentivo alla creatività. È pensiero piuttosto comune fra gli analisti, infatti, che i vincoli imposti dalle restrizioni americane abbiano stimolato l’ingegno di DeepSeek e del suo fondatore, Liang Wenfeng.
Intelligenza e censura
Il successo di DeepSeek dimostra che la Cina sta facendo progressi significativi nell’intelligenza artificiale, anche in un contesto di restrizioni geopolitiche. Con la sua combinazione di creatività, costi ridotti e un approccio open source, l’azienda rappresenta una sfida crescente per i colossi tecnologici americani.
Ma c’è anche un altro capitolo tutto da descrivere. Ed è quello relativo alla censura. Perché DeepSeek, che si presenta al mondo come l’alternativa a basso costo ai chatbot occidentali, deve però fare i conti con la propaganda cinese.
Quando abbiamo provato a chiedere a DeepSeek cosa ne pensasse del massacro di Tienanmen, il chatbot si è immediatamente autocensurato, rispondendo che la domanda va «al di là dei suoi ambiti» e che «preferisce parlare di altro».
Anche su altre questioni – come la democrazia in Cina – le risposte del chatbot si sono mostrate palesemente parziali. Segno di un’intelligenza artificiale allenata con le regole cinesi, insomma.
Dubbi sui costi
C’è da dire che, anche alla luce di una trasparenza (quella cinese) che in molte occasioni ha lasciato qualche dubbio, i reali costi di DeepSeek lasciano spazio a qualche perplessità. Il divario 1 a 20 rispetto ai competitor americani ha aperto il dibattito. E gli analisti di Bernstein Research hanno definito «categoricamente falso» che DeepSeek abbia duplicato le capacità di OpenAI con soli 5 milioni di dollari. Inoltre, sempre negli Stati Uniti, si sospetta che l’azienda cinese abbia sfruttato conoscenze avanzate dai modelli americani, rendendo più incerta la possibilità di un reale vantaggio competitivo. Ma questo fa parte di rimbalzi geopolitici che sono prassi, in queste occasioni.
Al di là delle cifre esatte, DeepSeek rimane la dimostrazione che allenare un modello di AI potrebbe essere molto più economico di quanto immaginavamo. E la sua scalata nelle classifiche di download è un segnale di quanto anche gli utenti siano attenti a certe dinamiche. Anche se ieri l’azienda cinese ha reso noto di aver imposto un limite alle iscrizioni per i nuovi utenti, annunciando anche che il suo sistema è stato preso di mira in «attacchi malevoli su larga scala». Effetti collaterali di un boom improvviso.
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