Come maggioranza e opposizioni bisticciano su Almasri e Corte penale internazionale (condannata da Nordio)
Che cosa è successo in Parlamento con le informative dei ministri Nordio e Piantedosi sul caso Almasri. La nota di Sacchi.
Che cosa è successo in Parlamento con le informative dei ministri Nordio e Piantedosi sul caso Almasri. La nota di Sacchi
“Viltà istituzionale”, attacca il presidente pentastellato, Giuseppe Conte. “Meloni vile, non è una lady di ferro ma un omino di burro”, va giù ancora più duro Matteo Renzi, in una nuova veste che appare sempre più “grillizzata”. “Presidente del coniglio”, afferma sarcastica la segretaria del Pd, Elly Schlein. Scene da un’opposizione certamente compatta ma che appare sull’orlo di una crisi di nervi di fronte alla precisa scelta del premier, Giorgia Meloni, di non andare lei stessa in parlamento a riferire sul caso Almasri come la sinistra e i Cinque Stelle chiedono da vari giorni.
Ma la decisione del premier, al cui posto invece ci sono i ministri della Giustizia e dell’Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi (entrambi, con la stessa Meloni raggiunti da un’informazione di garanzia dalla Procura di Roma, peraltro poco prima dell’altra informativa che era già stata fissata alla Camera) appare ben chiara e determinata a tenere la questione Almasri sul piano delle informazioni tecniche. Con l’obiettivo di non dare la valenza politica che la sua presenza avrebbe comportato alla guerra, sul rimpatrio del generale libico, accusato dalla Corte penale internazionale di crimini contro l’umanità, scatenata da un’opposizione che addirittura ha minacciato l’Aventino di fronte a quella che, come spiega Piantedosi, è una grave questione di sicurezza nazionale, ragione per la quale Almasri è stato subito rimpatriato. Così come afferma in una intervista al Corriere della sera dei giorni scorsi anche un uomo della stessa sinistra, l’ex pci, Marco Minniti, ex ministro dell’Interno distintosi per aver ridotto il numero degli sbarchi, cosa in cui poi lo superò nettamente Matteo Salvini.
Minniti dice una cosa molto chiara: quando si parla di Libia si parla della “sicurezza italiana”, “spesso la nostra sicurezza è all’estero”. Un concetto – quello della nostra sicurezza dovuta a tutte le delicatissime implicazioni che la Libia pone, dal contenimento dell’immigrazione, alla presenza dell’Eni e di numerosi nostri connazionali – che sembra non esistere per le opposizioni, compresa quella ex moderata di Renzi, scavalcato stavolta a destra più verso il centro da Carlo Calenda che, pur attaccando il governo, pone la questione Almasri in una dimensione meno urlata da opposizione come a prescindere.
Ma è lo stesso Piantedosi a premettere che il generale libico non era un interlocutore del governo e che non era in ballo la politica migratoria. Comunque sia, il capo dell’organizzazione e deputato di FdI, Giovanni Donzelli, pone l’accento sul fatto che la Cpi “ha impiegato più di 100 giorni per emettere il mandato di arresto”, arrivato, sottolinea, solo quando “il cittadino libico era in Italia e il ministro della Giustizia invece avrebbe dovuto in pochissimo tempo convalidare l’arresto”, dopo che la Corte d’Appello aveva liberato Almasri.
È lo stesso Nordio ad accusare duramente la Cpi, di cui “non sono il passacarte”, di aver fatto “un pasticcio frettoloso”, a cominciare dalla “discrasia” sulle stesse date in cui Almasri avrebbe compiuto i crimini di cui è accusato. Quella di Nordio è soprattutto una sfida aperta a “una certa parte della magistratura, che si e’ permessa di sindacare l’operato del ministero senza aver letto le carte”. Cosa che – prosegue il Guardasigilli – puo’ essere perdonata ai politici ma non a chi per mestiere le carte le dovrebbe leggere”. Poi, un duro affondo: “Con questa parte della magistratura, se questo è il loro modo di intervenire, un modo imprudente, sciatto, questo rende il dialogo molto molto molto difficile”. Conclusione: Nordio avverte che il governo andrà avanti fino alla “riforma finale”: “È certa magistratura che ha compattato la maggioranza. Se questo è un sistema per farci credere che le nostre riforme devono essere rallentate, noi andremo avanti sino alla riforma finale”.
Le opposizioni cavalcano come un vecchio riflesso ormai trentennale l’offensiva delle “toghe” contro il nucleo centrale del governo e gridano contro “il torturatore libico” rimpatriato, esibendo anche foto delle presunte vittime. Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera, intervenendo dai banchi azzurri a nome di Forza Italia, difendendo l’operato del governo, avverte che le aule del parlamento “non sono tribunali”. E Alessandro Battilocchio, anche lui deputato azzurro, scuote la testa e osserva con Startmag: “Anche i loro stessi elettori non li seguono più. Sono arrivati a minacciare l’Aventino addirittura di fronte a una questione di sicurezza nazionale…”.