La riforma della giustizia è una norma bandiera | L’analisi di Michele Ainis
Su Repubblica Michele Ainis critica la riforma della giustizia promossa dal ministro Nordio, che prevede la separazione delle carriere e che ieri alla Camera ha incassato il primo sì. Si tratta di una norma bandiera, osserva Ainis, dato che oggi soltanto l’1 per cento dei magistrati trasmigra da una funzione all’altra. Effetto di una legge […] L'articolo La riforma della giustizia è una norma bandiera | L’analisi di Michele Ainis proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.
Su Repubblica Michele Ainis critica la riforma della giustizia promossa dal ministro Nordio, che prevede la separazione delle carriere e che ieri alla Camera ha incassato il primo sì.
Si tratta di una norma bandiera, osserva Ainis, dato che oggi soltanto l’1 per cento dei magistrati trasmigra da una funzione all’altra.
Effetto di una legge del 2022, che consente questo passaggio una sola volta nel corso della carriera e con l’obbligo di cambiare sede.
Il rischio, tuttavia, è che la riforma favorisca il controllo dei pm da parte dell’esecutivo: le garanzie formali circa la loro indipendenza restano in piedi, quelle sostanziali sono tutte da verificare.
E c’è poi il Csm — l’organo di autogoverno della magistratura — che, dopo la riforma, si fa in due: uno per i pubblici ministeri, l’altro per i giudici.
Anzi in tre, dato che vi s’affianca un’Alta Corte competente per le sanzioni disciplinari.
E tutti i loro componenti vengono estratti a sorte, tirando in aria i dadi.
Una cura da cavallo contro la deriva correntizia, che ha minato l’autorità e il prestigio della magistratura.
Nonché un metodo – il sorteggio – già sperimentato nell’Atene del V secolo, quando la democrazia emise i suoi primi vagiti, e tutt’oggi applicato con profitto in varie circostanze.
Ma perché espropriare interamente i magistrati del diritto di voto?
Perché infliggere un’umiliazione al potere giudiziario?
Se lo scopo è di tagliare le unghie alle correnti, meglio una soluzione equilibrata: sui 20 membri togati del Csm, 10 eletti, 10 sorteggiati.
È qui infatti il male oscuro di questa riforma, al pari delle altre brevettate dal governo: la loro radicalità, le soluzioni estreme che prospettano.
Il presidenzialismo non è il diavolo, ma lo diventa se i superpoteri del presidente eletto non vengono bilanciati da una rete di contropoteri.
L’autonomia differenziata talvolta si giustifica, ma l’unità nazionale va in mille pezzi se ciascuna Regione può pretendere tutte le 23 materie in ballo.
E la riforma della giustizia può rivelarsi profondamente ingiusta, quando è sorretta da scopi punitivi sul terzo potere dello Stato.
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