Come risolvere il rebus immigrazione
La questione dell’immigrazione va afferrata con mano sicura e pietosa, e regolata con un’unica strategia seguita dai 27 Stati dell’Unione europea. Il taccuino di Guiglia
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La questione dell’immigrazione va afferrata con mano sicura e pietosa, e regolata con un’unica strategia seguita dai 27 Stati dell’Unione europea. Il taccuino di Guiglia
L’ora della verità arriverà all’udienza del 25 febbraio, quando la Corte di giustizia europea sarà chiamata a pronunciarsi su diversi ricorsi presentati dai giudici italiani (e anche tedeschi). Ma nell’attesa dell’interpretazione definitiva sul concetto di “Paese sicuro” di origine dei migranti per poter attuare le “procedure accelerate di frontiera”, cioè per rimpatriarli, non siamo all’anno zero.
La Cassazione ha già stabilito un’altra e incontrovertibile verità, ossia che il giudice “non si sostituisce alla valutazione che spetta in generale soltanto al Ministro degli Affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto”. Il giudice, tuttavia, può stabilire se sussistano “gravi motivi” per ritenere non sicuro il Paese classificato come tale.
Con un colpo al cerchio e un altro alla botte già la suprema magistratura italiana ha indicato l’uovo di Colombo: la politica sull’immigrazione la fa il sovrano governo della Repubblica, non le toghe. Ma tocca al magistrato verificare che il fondamentale diritto alla libertà personale sia stato rispettato con ragionevolezza e non in modo arbitrario.
In un Paese abituato al confronto civile la pur ecumenica decisione della Cassazione passerebbe inosservata, tanto è corretta. È regola ciò che fa il governo. L’eccezione alla regola è ciò che dispone il magistrato. Non c’è sovrapposizione di compiti né conflitto. C’è la naturale e liberale distinzione dei poteri, che agiscono nel rispetto l’uno dell’altro.
Ma la teoria purtroppo non si applica in un Paese abituato allo scontro ideologico come il nostro, dove regole ed eccezioni si ribaltano e si confondono a seconda delle righe del testo della Cassazione su cui si punta o si distoglie lo sguardo. E così per la terza volta di fila, e nonostante il governo abbia rafforzato il suo punto di vista per via legislativa, ecco che la Corte d’Appello di Roma, stavolta, ha negato il trattenimento di 43 migranti in Albania, dov’erano stati appena portati dalla nostra Marina militare. Portati e non deportati: quella roba là, migranti ammanettati e umiliati, la fa e la rivendica l’amministrazione-Trump, non certo le Forze Armate italiane. Ma ormai persino sui verbi la contrapposta propaganda politica nasconde ogni parvenza di verità.
Sì, siamo alle solite: magistrati contro governo e governo contro magistrati. Un copione che s’appoggia sull’interpretazione del diritto, che sembra un elastico. Il governo che si fa forte della prima riga della sentenza di Cassazione e i magistrati che invece si concentrano sulla seconda. Ma si può andare avanti così?
L’andirivieni costoso e indecoroso fra Italia e Albania segnala che s’è rotto l’equilibrio fra i pur indipendenti poteri dello Stato.
Ma “politicizzare” la questione dell’immigrazione, tema di disperata umanità e di rigorosa sicurezza che sta dividendo l’Europa, e che è diventato centrale nelle elezioni in Germania, è il modo migliore per non risolverlo. Invece va afferrato con mano sicura e pietosa, e regolato con un’unica strategia seguita dai 27 Stati dell’Unione europea.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova