La decisione in commento affronta la corretta indicazione del TAEG nei contratti di credito al consumo, l’opacità nella trasparenza bancaria e le conseguenze derivanti dalla mancata chiarezza nella documentazione contrattuale, con specifico riferimento ai servizi assicurativi (Polizze CPI) e al loro impatto sul costo totale del credito.
Il caso trae origine da un ricorso presentato presso l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) di Napoli, con il quale il consumatore ha contestato l’indicazione errata del TAEG non rappresentativo del costo totale del credito espresso in forma percentuale dell’importo totale del credito.
Invero, al fine del calcolo del TAEG, regolato dall’art. 19 Dir. CCD, sono necessari esclusivamente due indici:
- l’importo totale del credito (ITC): la cui corretta pubblicizzazione è obbligatoria ai sensi della Direttiva 2008/48/CE, art. 4, comma 2, lett. b), riscontrabile all’interno del SECCI;
- il costo totale del credito (CTC): non pubblicato, pertanto è onere del Consumatore ricavarne il valore.
Richiamando l’osservando n. 20 della Direttiva CCD, il quale stabilisce che “Occorre stabilire in modo oggettivo in quale misura il creditore è a conoscenza dei costi, tenendo conto degli obblighi di diligenza professionale,” il Consumatore ha evidenziato che le informazioni standard presenti nel SECCI prevedono l’obbligo di pubblicizzare un terzo indice, ovvero l’importo totale dovuto dal consumatore (ITD), definito come:
La somma tra l’importo totale del credito e il costo totale del credito (Art. 3, lett. h).
Risulta pertanto evidente come il corretto valore del costo totale del credito (qualora non fosse indicato nel contratto) debba essere sempre oggettivamente identificabile dalla differenza tra l’importo totale dovuto e l’importo totale del credito (entrambi indicati nel contratto).
Sulla base di queste premesse, il ricorrente ha calcolato il CTC, evidenziando come questo fosse già comprensivo sia degli interessi corrispettivi sia del premio della polizza CPI, da ritenersi quindi obbligatori per tabulas, in quanto giuridicamente appartenenti al CTC.
Il Collegio di Napoli è stato, quindi, chiamato a giudicare nuovamente in merito all’inserimento o meno di una polizza assicurativa CPI all’interno del TAEG, in una fattispecie nella quale:
- l’intermediario sottolineava la natura facoltativa della polizza (non contestata dal Consumatore), deducibile in virtù degli elementi di prova dettati dalla decisione del Collegio di Coordinamento n. 16291 del 26/07/2018, e ne escludeva il premio dal computo del TAEG;
- il Consumatore affermava di non essere tenuto ad analizzare la polizza in quanto l’informazione in merito alla sua natura (facoltativa od obbligatoria) era utile esclusivamente ai fini del computo del CTC, ma non del TAEG il quale rappresenta il Costo Totale del Credito espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito (Direttiva 2008/48/CE).
Sulla base di quanto sopra invoca l’applicazione dell’Art. 125-bis co.7 in virtù della nullità delle clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell’articolo 121, comma 1, lettera e), ovvero seppur facenti giuridicamente parte del costo totale del credito, non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato.
Il Collegio di Napoli esaminata la documentazione ha ravvisato “un evidente difetto di chiarezza e comprensibilità a danno del consumatore” testimoniata dal fatto che “il documento contrattuale non rappresenti in modo corretto, trasparente e comprensibile le condizioni economiche del prestito”.
Tale situazione ha comportato “una confusione in ordine al carattere facoltativo del servizio accessorio, suggerendo l’idea che si tratti di un servizio obbligatorio da includere, in quanto tale, nel TAEG.”
Tuttavia, spiega il Collegio, “non si è verificata la sussistenza di una fattispecie di nullità quali quelle previste dall’art. 125-bis, commi 6 e 7 e dell’art. 117, comma 7, TUB. […] Infatti, la clausola sul TAEG prospetta non un’incongruenza ma un’opacità non tale da determinarne la nullità, sulla base delle disposizioni poc’anzi menzionate, ma sufficiente per impedire al consumatore di comprendere pienamente il costo totale del credito e le sue effettive componenti. Va dunque riconosciuto che l’intermediario è certamente incorso in una condotta non trasparente e lesiva del principio di buona fede e degli obblighi di trasparenza e chiarezza che gravano sull’intermediario, specialmente per gli aspetti di redazione delle clausole contrattuali dedicate all’individuazione dei costi del credito”.
Infine, il Collegio ha chiarito che, in assenza di una specifica domanda di risarcimento danni da parte del ricorrente, l’unico rimedio esperibile nei confronti dell’intermediario era di tipo risarcitorio e non comportava la restituzione delle somme versate in eccedenza o la riformulazione del piano di ammortamento.