Reati societari e confisca obbligatoria di beni: la pronuncia della Corte Costituzionale.

Nota a Corte Cost., 4 febbraio 2025, n. 7. Massima redazionale Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nonché degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 49, paragrafo 3, CDFUE, l’art. 2641, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria […]

Feb 5, 2025 - 21:00
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Reati societari e confisca obbligatoria di beni: la pronuncia della Corte Costituzionale.

Nota a Corte Cost., 4 febbraio 2025, n. 7.

Massima redazionale

Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nonché degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 49, paragrafo 3, CDFUE, l’art. 2641, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria di una somma di denaro o beni di valore equivalente a quelli utilizzati per commettere il reato e, in via consequenziale, l’art. 2641, primo comma, cod. civ., limitatamente alle parole «e dei beni utilizzati per commetterlo».

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Vale la pena di riportare il testo dell’art. 2641 del codice civile: “In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati previsti dal presente titolo è ordinata la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo.

Quando non è possibile l’individuazione o l’apprensione die beni indicati nel comma primo, la confisca ha ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente.

Per quanto non stabilito nei commi precedenti si applicano le disposizioni dell’articolo 240 del codice penale.”

La Corte di cassazione ha sollevato la presente questione di legittimità costituzionale, che trae origine dal processo relativo alla crisi della Banca popolare di Vicenza.

In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva disposto, a carico dell’ex presidente  e altri tre imputati, la confisca dell’importo di 963 milioni di euro, ritenuto corrispondente alle somme di denaro utilizzate per la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea. Il Tribunale aveva calcolato l’importo da confiscare sommando tutti i finanziamenti concessi a terzi dalla Banca popolare affinché acquistassero azioni della stessa banca – le cosiddette “operazioni baciate“ – senza poi dichiarare quei finanziamenti come previsto dalla legge[1]. Ma la Corte d’appello di Venezia aveva revocato la confisca, giudicandola in contrasto con il principio di proporzionalità delle pene sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il Procuratore generale aveva quindi proposto ricorso alla Corte di cassazione, contestando la disapplicazione l’articolo 2641 del codice civile, che impone al giudice di confiscare i beni utilizzati per commettere i reati in argomento, o comunque beni o somme di valore equivalente.

Nella sentenza in esame la Corte osserva come l’articolo 2641 del codice civile, imponga in ogni caso di confiscare agli autori del reato l’intero importo corrispondente ai beni utilizzati per commettere un reato, anche quando i beni appartenevano a una società. La norma è quindi suscettibile di produrre risultati sanzionatori sproporzionati, perché non consente al giudice di adeguare l’importo alle reali capacità economiche e patrimoniali delle singole persone fisiche colpite dalla confisca. Quest’ultima, infatti,  ha natura di vera e propria pena di carattere patrimoniale[2], che deve quindi rispettare il principio di proporzionalità  nella sua dimensione interna e sovranazionale), il quale vieta che le pene patrimoniali risultino sproporzionate rispetto alle condizioni economiche dell’interessato, e in ogni caso alla sua capacità di far fronte al pagamento richiesto.

In sostanza il  vizio della confisca tanto dei beni strumentali, quanto dei beni o somme di denaro di valore ad essi equivalente, risiede nella sua obbligatorietà: la quale vincola il giudice ad applicare la misura anche quando, nel caso concreto, essa risulti sproporzionata. Il primo e il secondo comma dell’art 2641 del codice civile obbligano il giudice a imporre al soggetto un sacrificio patrimoniale, la cui entità dipende esclusivamente dal valore dei beni che, in concreto, sono stati utilizzati per commettere il reato. “Ciò senza alcuna relazione con l’effettivo vantaggio patrimoniale conseguito mediante la commissione del reato; e senza alcun correttivo che consenta al giudice di valutare, in ciascun caso concreto, se il soggetto disponga effettivamente delle risorse per far fronte all’ablazione patrimoniale impostagli, né quale impatto tale ablazione possa avere sulla sua esistenza futura. Queste incongruità si amplificano ove si consideri che il diritto vivente …. considera applicabile la confisca per equivalente anche a carico di persone diverse da quelle che erano proprietarie del bene utilizzato per la commissione del reato, purché si tratti di persone penalmente responsabili (o corresponsabili) della sua commissione. Il che accade, in particolare, allorché la confisca per equivalente venga disposta a carico della persona fisica che ha agito per conto di una persona giuridica, utilizzando però beni o somme di cui quest’ultima era proprietaria, che sarebbero stati assoggettabili a confisca diretta in quanto strumenti del reato, ma che per qualsiasi ragione non sia più possibile apprendere da parte dello Stato. Ciò che rende – di fatto – la persona fisica garante dell’eventuale incapienza del patrimonio della persona giuridica rispetto alla pretesa ablativa dello Stato.”

Dato poi che il vulnus riscontrato investe allo stesso modo, ed esattamente per le medesime ragioni, la previsione della confisca diretta dei beni utilizzati per commettere il reato, disciplinata dal primo comma, la dichiarazione di illegittimità costituzionale viene essere estesa, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, alla previsione di cui all’art. 2641, primo comma, cod. civ., limitatamente alle parole «e dei beni utilizzati per commetterlo».

E’ interessante notare come la sentenza argomenti circa la soluzione da adottare, una volta rilevato che la declaratoria in esame non crea alcun vuoto (in quanto “resta ferma, …la confisca obbligatoria del profitto, diretta o per equivalente, a carico di qualunque persona – fisica o giuridica – che risulti avere effettivamente conseguito le utilità derivanti dal reato”) : la “Corte ritiene doveroso cedere il passo alla valutazione del legislatore. Quest’ultimo è, infatti, nella migliore posizione per stabilire se conferire al giudice una discrezionalità nella scelta sull’an, o addirittura anche sul quantum del valore confiscabile, in modo da assicurare il pieno rispetto del principio di proporzionalità nell’applicazione concreta di questa confisca.”

 

 

 

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[1] Analogamente cfr: Cass. pen. n. 42778/2017: In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, costituiscono “beni utilizzati per commettere il reato” di cui all’art. 2638 cod. civ., confiscabili ai sensi dell’art. 2641 cod. civ., anche mediante l’apprensione di beni per valore equivalente, i finanziamenti concessi da un istituto di credito a terzi per l’acquisto di azioni ed obbligazioni dello stesso istituto, finalizzati a rappresentare una realtà economica del patrimonio di vigilanza dell’ente creditizio diversa da quella effettiva, con ostacolo delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza.

[2] Come non ricordare il famoso caso di “Punta Perotti”?

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