Lucija Stupica, l’altrove come isola (Traduzione di Michele Obit)

Le due poesie di Lucija Stupica scelte per questo spazio fanno parte di una raccolta poetica dal titolo Točke izginjanja (Punti di fuga) uscita nel 2019. In quel lavoro la poetessa slovena passa dall’esperienza intima – come può esserlo il ritrovamento di una vecchia foto, che risveglia immagini nella memoria – a considerazioni sulla società […] L'articolo Lucija Stupica, l’altrove come isola (Traduzione di Michele Obit) proviene da Il Fatto Quotidiano.

Feb 7, 2025 - 10:14
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Lucija Stupica, l’altrove come isola (Traduzione di Michele Obit)

Le due poesie di Lucija Stupica scelte per questo spazio fanno parte di una raccolta poetica dal titolo Točke izginjanja (Punti di fuga) uscita nel 2019. In quel lavoro la poetessa slovena passa dall’esperienza intima – come può esserlo il ritrovamento di una vecchia foto, che risveglia immagini nella memoria – a considerazioni sulla società di questo tempo e sulla propria condizione di persona che, con coraggio, ha scelto non solo di vivere in un altrove, ma anche che quell’altrove sia un’isola, un territorio delimitato da confini particolari, dove vivere è come avere sempre “una cicatrice che porti sino alla fine del mondo”. Incertezza e vulnerabilità, due fattori con cui tutti, lo si voglia o meno, abbiamo a che fare, risultano ancora più evidenti quando si tratta di uno straniero che vive in un ambiente nordico. Instabilità, interruzione e mobilità però non solo offrono possibilità di fuga e di evasione, ma riempiono anche le poesie di dettagli. In tutto questo, poi, l’identità del poeta si configura anche come una funzione sociale, connessa alla famiglia, agli antenati e alle aspettative degli altri.

M. O.

Ultima foto di gruppo

Hanno qualcosa di intimo tra loro
la bimba di quattro anni a sinistra sulla panca,
col cappotto rosso, il fazzoletto in testa,
e il bimbo di tre anni con il nonno alla sua destra.

Hanno lasciato da tempo il cortile.
Anche la panca con le piccole assi in legno
sulle curve gambe di metallo,
posta davanti alla facciata sbiadita.

Il nonno nella foto somiglia a Jean Gabin,
ha la cravatta, una giacca marrone e calzoni
in gabardine. I capelli grigio argento
sono pettinati con cura dalla fronte.

I bambini non sanno ancora dispiegare i cappotti
e con essi ricoprire il nonno. Il loro
piccolo palmo della mano scherma il sole e copre
lo spazio allo sguardo di un altro dove.

***

Islomania

Ci sono persone, disse Gideon,
che sono semplicemente attratte dalle isole.
Lawrence Durrell

È complicato. Rispondere alla domanda
cosa rappresenta un’isola. E pensare a un’isola del nord.
Cambia all’improvviso il sapore in bocca,
le parole diventano pesi, nessuno più
pensa alle vele, al vento, al sole ai pini.
È complicato rispondere alla domanda.
Spiegare come un’isola sia legata alla terraferma da una corda
d’acciaio e come il traghetto si muova con essa.
Come una piccola barca lo sostituisca
quando si guasta o quando le lastre di ghiaccio
si scontrano e si incagliano una sull’altra
sulla superficie di questo mare mai davvero salato.
Suoni frantumati del paesaggio invernale, lamenti.
Tra la miriade, diecimila isole,
indicare quella con la presa d’acqua salata
e la cava di pietra abbandonata, una cicatrice
profonda al proprio centro, con le orchidee Adamo ed Eva,
che fioriscono in due colori in due mesi.
Mostrare su una vecchia mappa un piccolo porto
dai tempi in cui ancora caricavano la calce spenta
E scoprire la storia occultata della visita di Göring.
Spiegare il sole basso che infastidisce le ore della sera,
come le navi da carico da Singapore alla Norvegia.
Quando passano vicino, lentamente sulla superficie
formano dei cerchi e il Baltico diventa silenzio,
allora può iniziare il gioco su chi per primo vede una foca.
Complicato, se non miracoloso, sarebbe richiamare alla memoria
l’immagine di un’isola, l’isola del sud dei tuoi sogni,
spostare tutti gli ulivi e gli alberi di limone dalle tue poesie qui,
dove da una nave abbandonata a volte un pescatore
getta l’amo in acqua, perché s’intorbidisca l’infinita quiete
di poche, scelte parole.
D’estate la popolazione infantile si moltiplica,
l’acqua è meno calma e gli animali s’immergono nei boschi.
L’impavido sole di notte a malapena riposa.
Lo supplichi che si spenga almeno un po’,
troppo lunghe le notti quando son deste,
e i giorni si volgono a sé senza respiro.
Ma tu, abitante dell’isola, hai bisogno di quel respiro,
di quella calma,
quella pausa,
della solitudine data dai pini, la solitudine.
Ci sono persone semplicemente attratte dalle isole.
Si sono ammalate di una rara malattia psichica
che si rivela come un infinito stordimento.
Come una cicatrice che porti sino alla fine del mondo.

Lucija Stupica (1971) è una poetessa slovena che vive in Svezia. È stata tra le fondatrici del Pranger Festival, un incontro annuale di poeti, critici letterari e traduttori di poesia. Il suo debutto poetico risale al 2000 con la raccolta Čelo na soncu (Violoncello al sole), che le è valso il premio miglior libro d’esordio dell’anno in Slovenia. Sono seguiti altre raccolte, ultima delle quali, Magnolija, njena zgodba (Magnolia, la sua storia) è stata pubblicata lo scorso anno. I suoi testi sono stati tradotti in spagnolo, svedese, croato, serbo e macedone e inclusi in numerose antologie internazionali.
Stupica ha ricevuto il premio tedesco Hubert Burda del 2010 per la giovane poesia e il premio svedese Klas de Vylder del 2014 per autori immigrati.

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