La direttiva Case Green sotto la lente dei commercialisti italiani
Dal 29 maggio 2024 sono scattati i due anni di tempo che i Paesi membri dell’Ue hanno a disposizione per recepire la direttiva EPBD (“Energy Performance of Buildings Directive”), meglio nota come direttiva “Case Green”. Obiettivo della direttiva europea è ridurre il consumo energetico degli edifici e le loro emissioni e arrivare alla neutralità climatica […] The post La direttiva Case Green sotto la lente dei commercialisti italiani first appeared on QualEnergia.it.
Dal 29 maggio 2024 sono scattati i due anni di tempo che i Paesi membri dell’Ue hanno a disposizione per recepire la direttiva EPBD (“Energy Performance of Buildings Directive”), meglio nota come direttiva “Case Green”.
Obiettivo della direttiva europea è ridurre il consumo energetico degli edifici e le loro emissioni e arrivare alla neutralità climatica entro metà secolo.
La Fondazione nazionale dei commercialisti ha pubblicato il documento “Primo esame della Direttiva Prestazione energetica nell’edilizia, meglio conosciuta come Direttiva case green” (link in basso), realizzato dalla commissione Fiscalità immobiliare e della transizione ecologica, per fornire una prima analisi della Direttiva che consenta anche ai non addetti ai lavori di avere un quadro generale delle disposizioni contenute al suo interno.
Cosa dispone la direttiva EPBD
Per gli edifici residenziali gli Stati membri dovranno ridurre il consumo medio di energia del 16% nel 2030 e del 20-22% nel 2035 e almeno il 55% del risparmio energetico dovrà venire dalla ristrutturazione del 43% degli edifici con le peggiori prestazioni.
Per gli edifici non residenziali, la direttiva introduce standard minimi di prestazione energetica e dispone che gli Stati membri ristrutturino il 16% degli edifici con le peggiori prestazioni entro il 2030 e il 26% entro il 2033.
Gli Stati potranno scegliere di esentare dagli obblighi immobili specifici, come edifici storici, luoghi di culto o edifici di proprietà delle forze armate. La direttiva prevede poi che i governi adottino misure di assistenza tecnica e di sostegno finanziario, con particolare attenzione alle famiglie vulnerabili.
I piani nazionali di ristrutturazione dovranno inoltre includere una tabella di marcia per eliminare gradualmente le caldaie a combustibili fossili entro il 2040.
Altri punti importanti riguardano gli obblighi progressivi di installazione di impianti fotovoltaici, partendo da tutti i nuovi immobili non residenziali con superficie utile superiore a 250 mq, dal 2027.
L’analisi dei commercialisti italiani
Secondo l’analisi dei commercialisti occorrerà sostenere la ristrutturazione degli edifici a un tasso annuo di almeno il 3%. Le norme minime di prestazione energetica dovrebbero inoltre essere accompagnate da politiche volte a rafforzare le competenze dei lavoratori nel settore delle costruzioni e delle ristrutturazioni.
Gli Stati membri dovrebbero prevedere anche politiche industriali nazionali per la produzione su vasta scala di elementi edilizi prefabbricati per la ristrutturazione degli edifici adattabili a livello locale.
Sul piano finanziario occorrerà promuovere la concessione di prestiti ipotecari con garanzie sociali e favorire gli investimenti pubblici con partenariati pubblico-privato o contratti di rendimento energetico.
In sintesi gli strumenti da mettere in atto saranno:
- prestiti e mutui ipotecari
- contratti di rendimento energetico
- aliquote fiscali ridotte su lavori e materiali di ristrutturazione
- fondi di garanzia.
Occorre poi creare strumenti di consulenza e di assistenza accessibili, come sportelli unici indipendenti che offrano gratuitamente servizi integrati di ristrutturazione energetica e coinvolgano tutti i soggetti, compresi i proprietari delle abitazioni, gli operatori amministrativi, finanziari ed economici.
Altro punto sul quale gli Stati dovranno impegnarsi è la rimozione degli ostacoli di natura non economica alla ristrutturazione degli edifici, come l’eliminazione dei requisiti di unanimità dei condomini per la deliberazione di interventi nelle strutture di comproprietà.
Sul piano organizzativo i piani nazionali di ristrutturazione devono prevedere:
- una rassegna del parco immobiliare nazionale per tipi e quote di edifici, epoche di costruzione e zone climatiche differenti;
- una tabella di marcia con obiettivi stabiliti a livello nazionale e indicatori di progresso misurabili, tra cui anche la riduzione del numero di persone in condizione di povertà energetica.
Per l’Italia una fotografia del parco edilizio nazionale l’ha fornita Enea con un recente report di cui abbiamo già parlato nell’articolo Direttiva EPBD, tutti i dati da conoscere sugli edifici italiani.
Dal censimento è emerso che il 74,1% degli immobili ricade nelle classi energetiche meno efficienti (E, F e G), mentre solo l’8,1% rientra in una classe superiore alla B (A1-A4).
Secondo l’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano la spesa prevista per l’adeguamento del nostro Paese alla direttiva EPBD è di circa 180 miliardi di euro, comparabile con quanto è stato speso negli ultimi tre anni tra Superbonus, Ecobonus e Bonus casa.
Un’iniziativa dei cittadini europei per la riqualificazione degli edifici
Intanto la Commissione europea ha registrato un’iniziativa dei cittadini europei, intitolata “HouseEurope! Power to Renovation” (pdf), che ha come obiettivo la creazione di incentivi per la ristrutturazione e la trasformazione degli edifici esistenti.
Gli organizzatori invitano l’esecutivo comunitario a proporre una legislazione che incentivi il riutilizzo degli edifici esistenti basata su:
- riduzioni fiscali per lavori di ristrutturazione e materiali riutilizzati;
- regole eque per valutare sia i potenziali che i rischi degli edifici esistenti;
- nuovi valori per la CO2 incorporata nelle strutture esistenti.
Il fine ultimo è la riappropriazione e riqualificazione degli spazi già esistenti, da mettere al primo posto invece della demolizione o sostituzione con edifici nuovi.
Sul proprio sito i proponenti definiscono la demolizione degli edifici “obsoleta” come “lo spreco alimentare, la sperimentazione sugli animali e la plastica monouso”.
Dopo la registrazione, avvenuta il 21 gennaio, gli organizzatori hanno adesso sei mesi di tempo per aprire la raccolta firme.
Se l’iniziativa riceverà il supporto di almeno un milione di cittadini europei entro un anno, con numeri minimi raggiunti in almeno 7 diversi Stati membri, la Commissione sarà tenuta a decidere se intraprendere o meno azioni in risposta alle richieste degli organizzatori e dovrà spiegare le sue motivazioni.
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