La Corte Costituzionale ha stabilito un principio importante per chi subisce violenza domestica
“L’interesse alla conservazione dell’unità del nucleo familiare non può prevalere rispetto alla necessità di tutelare i diritti fondamentali delle singole persone che ne fanno parte”. Si tratta di una decisione importante per tutte le donne che subiscono violenza nelle relazioni di intimità e che subiscono azioni violente e ritorsive anche dopo la separazione. La Corte […] L'articolo La Corte Costituzionale ha stabilito un principio importante per chi subisce violenza domestica proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“L’interesse alla conservazione dell’unità del nucleo familiare non può prevalere rispetto alla necessità di tutelare i diritti fondamentali delle singole persone che ne fanno parte”. Si tratta di una decisione importante per tutte le donne che subiscono violenza nelle relazioni di intimità e che subiscono azioni violente e ritorsive anche dopo la separazione. La Corte Costituzionale il 6 febbraio scorso ha stabilito che non fosse fondata la questione di illegittimità costituzionale del sesto comma dell’articolo 605 del codice penale (sequestro di persona), sollevata da un Gup – giudice per le udienze preliminari di Grosseto.
Il Gup doveva decidere sulla responsabilità penale di un uomo che era stato rinviato a giudizio per sequestro di persona, lesioni e minaccia aggravata nei confronti della ex moglie e del suo nuovo compagno.
I fatti risalgono al 2023. L’imputato aveva atteso l’ex moglie e il suo nuovo compagno in strada poi li aveva costretti a rientrare in casa e li aveva minacciati di morte con una pistola, poi li aveva percossi ripetutamente alla testa con un casco. Le violenze erano durate circa una quindicina di minuti prima che li lasciasse andare. Dopo la denuncia, sia l’ex moglie che il suo compagno, avevano ritirato la querela contro l’imputato che, nel frattempo, si era offerto di risarcire i danni. “Tuttavia, la remissione della querela non aveva prodotto effetto – scrive la Consulta in un comunicato stampa – tra l’altro, rispetto al reato di sequestro di persona commesso in danno della moglie dell’imputato”.
La Riforma Cartabia ha reso in via generale il sequestro di persona procedibile a querela di parte ma ha mantenuto la procedibilità d’ufficio nel caso che il reato sia commesso nei confronti del coniuge, di ascendenti o discendenti o di un minore. Il Gup di Grosseto aveva chiesto che questa disciplina fosse dichiarata incostituzionale. Secondo il giudice di Grosseto, le ragioni che hanno indotto il legislatore del 2022, a subordinare la punibilità del sequestro di persona alla querela della persona offesa con l’intento di favorire una conciliazione bonaria tra le parti, varrebbero a maggior ragione nell’ipotesi in cui autore e vittima siano uniti in matrimonio. Questo sarebbe a garanzia del valore dell’unità familiare, riconosciuto come tale dall’articolo 29 della Costituzione.
L’associazione D.iRe, donne in rete contro la violenza, ha depositato una opinione, intervenendo in qualità di amicus curiae, rilevando che il caso su cui è sorta la questione di legittimità costituzionale, riguardava un contesto di violenza domestica e quindi nelle considerazioni del giudice prima, e della Corte poi, doveva essere presa in considerazione la Convenzione di Istanbul.
L’articolo 55, infatti, prevede che le indagini e i procedimenti penali per i reati di violenza fisica “non dipendano interamente dalla segnalazione o da una denuncia da parte della vittima quando il reato è stato commesso in parte o in totalità sul loro territorio, o che il procedimento possa continuare anche se la vittima dovesse ritrattare l’accusa o ritirare la denuncia”. Infatti le vittime di violenza nelle relazioni di intimità possono essere ostacolate nella richiesta di giustizia da minacce, ricatti (economici o per esempio quello di non vedere più i figli) e sono in una situazione di maggiore vulnerabilità rispetto ad altre vittime perché hanno avuto legami con gli autori di violenza.
La Consulta, citando più volte l’amicus curiae, ha sottolineato che “il legislatore ha mantenuto il regime di procedibilità d’ufficio di alcune ipotesi aggravate di sequestro di persona in cui vi siano particolari esigenze di tutela della vittima nel contesto di relazioni familiari. Nell’ambito di queste relazioni esiste un concreto rischio che i soggetti più vulnerabili siano esposti a pressioni indebite, affinché non presentino querela o la rimettano. Proprio per tale ragione, la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia nel 2013, vieta agli Stati che ne sono parte di subordinare alla querela della parte i procedimenti penali per i reati di violenza fisica contro questa tipologia di persone offese, e stabilisce che il processo penale debba continuare anche quando la vittima ritiri la propria denuncia”.
“L’intervento della rete nazionale dei Centri antiviolenza – ha commentato Elena Biaggioni, avvocata e vicepresidente D.i.Re – è nato dalla constatazione che nell’ordinanza di rimessione del Tribunale di Grosseto in un macroscopico caso di violenza domestica non ci fosse alcuna menzione della Convenzione di Istanbul o di qualsiasi rilevanza del contrasto alla violenza maschile alle donne. Siamo soddisfatte del risultato e soprattutto che la Corte abbia ribadito l’importanza e la necessità di adeguarsi alla Convenzione di Istanbul. Una decisione che sarà utile anche per il futuro e avrà delle ricadute positive nei percorsi giudiziari delle donne che denunciamo violenza. Ringraziamo i professor Marco Dani e la professoressa Sara De Vido per la preziosa collaborazione”.
@nadiesdaa
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