Il Non manifesto delle guide sotto-sopra. Proposta per una professione che cambia (forse troppo)

Chi è, o chi dovrebbe essere, la Guida alpina nel 2025? Il mondo è cambiato e con lui anche il rapporto di tante persone con la montagna, professionisti compresi. Ecco la proposta di Michele Comi, guida alpina della Valtellina, per un ritorno alle origini attento alla contemporaneità L'articolo Il Non manifesto delle guide sotto-sopra. Proposta per una professione che cambia (forse troppo) proviene da Montagna.TV.

Feb 3, 2025 - 22:37
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Il Non manifesto delle guide sotto-sopra. Proposta per una professione che cambia (forse troppo)

È difficile attribuire una data di nascita delle prime guide di montagna. Per secoli eserciti, pellegrini, mercanti e viandanti hanno scavalcato le Alpi, sfidando l’impervietà dei valichi e i rigori del clima.

Le prime guide furono probabilmente semplici cacciatori, cercatori di cristalli e pastori, conoscitori dei luoghi, che offrivano i loro servizi ai viaggiatori costretti per necessità ad attraversare la barriera orografica. Nel 1336 Francesco Petrarca salì il Mont Ventoux in Provenza e ne fa menzione in una lettera all’amico Dionigi de’ Roberti. Tra le particolarità nel racconto, la descrizione dell’ascesa che ha per obiettivo, non una conquista militare o qualche altro scopo pratico o scientifico, ma una motivazione semplice: giungere in cima. L’obiettivo inseguito da qualche anno dal poeta, che fino a quel momento non trovò il coraggio di gettarsi nell’impresa, fu raggiunto grazie a due accompagnatori che si possono indicare come guide-portatori ante-litteram.

Solo con l’avvento del turismo alpino la figura della guida comparve ufficialmente, nel 1821 nacque la società delle Guide di Chamonix, mentre nel 1850 si fondò quella di Courmayeur e la professione si propagò in tutte le valli alpine.
Nei decenni successivi le campagne esplorative alpine videro le guide protagoniste di un irripetuto e fecondo patto di collaborazione e scambio di valori tra montagna e città.
I facoltosi viaggiatori (per lo più anglosassoni), spesso studiosi di prim’ordine, espressione della cultura cittadina, poterono dedicarsi all’esplorazione delle vette condividendo alla pari con i rudi montanari le reciproche competenze: erudizione e ricerca scientifica, con la conoscenza dei luoghi e relazione profonda con l’ambiente naturale.

Da allora abbiamo assistito a grandi trasformazioni e il mestiere si è tramutato in professione a tutto tondo.

Nel 1989 viene riconosciuta la figura professionale della guida alpina; a stabilirlo è la legge quadro numero 6 che inserisce quella della Guida Alpina tra le professioni a carattere intellettuale. Un professionista della montagna dunque, con una qualifica certificata, frutto di un selettivo percorso formativo, contraddistinto da elevati livelli tecnici, orientati principalmente alla gestione del rischio nella pratica entro terreni insicuri.

Oggi la figura della guida alpina, al pari di altre realtà professionali, è soggetta al mutare dei tempi, dei costumi, dei desideri dei frequentatori della montagna.
Ma negli ultimi decenni la categoria si è progressivamente rintanata nel “bunker” della sapienza tecnica, lasciandosi aggirare o, peggio, relegare in ruoli di subordine, lontani da qualsiasi processo decisionale che riguarda le terre alte, accerchiati per di più dalla nascita di nuovi profili professionali e insolite figure associative.

Da qui l’imbocco inesorabile della facile, ma anche insidiosa china, che ci ha portato ad inseguire, mode, tendenze e il mercato, al posto di “guidare”.  Eppure la guida alpina è (dovrebbe essere?) anzitutto un mediatore culturale (non esclusivo) e l’interprete di un mondo naturale incerto e variabile come quello delle montagne. Da qui nasce il principio che vede le guide inserite tra le professioni ordinistiche, di carattere intellettuale, con il compito precipuo di tutela dei cittadini.
Ricordo che, ancor prima che un esperto di tecniche e materiali funzionali alla scalata, la guida è un conoscitore dei luoghi, può essere un atleta ammirevole, ma è soprattutto un educatore, intenditore di cose elementari per la vita e del rapporto con la Terra.

Un cambio di paradigma

Oggi chi si si rivolge ad una guida spesso lo fa soprattutto per essere accompagnato e per apprendere le tecniche relative a tutte le attività che si possono fare in montagna.
Fra costoro forse non tutti sanno che accanto alla possibilità di imparare a muoversi con disinvoltura sulle rupi, conoscere ed adottare le migliori metodologie ed ingegnosità pratiche, vi può essere anche l’opportunità di scoprire un mondo al quale gran parte delle persone ha voltato le spalle.
Per questi motivi, da qualche anno ho messo a punto, divulgato e condiviso con un manipolo di colleghi, il NON MANIFESTO delle Guide alpine sotto sopra, utile a rimarcare che i rapporti umani e con l’ambiente, la ricerca dell’equilibro del corpo e della mente, costituiscano ancora le fondamenta di una professione con oltre due secoli di storia alle spalle.
Il Non manifesto è un non documento, modificabile, in divenire, aperto a tutti, per prendersi cura, di noi stessi, della nostra professione e del contesto in cui viviamo!

Il NON MANIFESTO

PER DOVERE DI INFORMAZIONE VERSO I COMPAGNI DI CORDATA VECCHI E NUOVI

Disorientati da cliché resistenti, superomismo, feticismo tecnico e progressivo distacco dalla natura, facili prede dei supermarket digitali, trasformati in mero prodotto d’esperienza “adrenalinica”, accerchiati dall’insana necessità di ostentare ad ogni costo, frastornati dall’ossessione per la sicurezza, sempre più affidata a strumenti, regole e procedure… e per questo inattuabile nei contesti indefiniti e variabili come gli ambienti selvaggi…

LE GUIDE SOTTO (SOPRA)…

RIBADISCONO che l’alta montagna è uno degli ultimi luoghi di libertà rimasti, nel quale si pregiano di facilitare l’esperienza di esplorare, conoscere, crescere e rigenerarsi attraverso il contatto diretto e sensibile con l’ambiente naturale, con un reale apprezzamento dei luoghi attraversati, dove le energie si sprigionano liberamente, favorendo la percezione e la consapevolezza di quel che accade.

FAVORISCONO la frequentazione consapevole della montagna come un toccasana contro gli aspetti disorientanti di un mondo che corre, spesso senza limiti.

PROPUGNANO la comprensione estesa di quel che accade, per comprendere i luoghi, la loro identità, arrivando a cogliere non solo pochi istanti, come un bel panorama o la foto di vetta da “postare”, ma estendendo la comprensione di quel che ci circonda, andando oltre la ricerca d’avventura e del fitness svolti entro scenari gradevoli.

SOSTENGONO l’auto-responsabilità e l’auto-protezione come miglior strumento per muoversi entro luoghi selvaggi.

PROMUOVONO l’utilizzo di mezzi i più semplici possibili, per render l’esperienza ancor più ricca e avventurosa anche su terreni non difficili.

AMMETTONO il valore del senso del limite e della rinuncia prediligendo la QUALITA’ dell’esperienza DOVE l’avventura si svolge nell’avvenire, nella sua incertezza, grande e piccola, non è gioco e non è serietà, sta nell’istante imprevedibile che viene, si trova su grandi pareti ma anche in un semplice bosco o sentiero dimenticato.

RIFUGGONO vacue linee guida e procedure che tentano di inquadrare ciò che non può esserlo (la Natura), la riproduzione in serie e il banale consumo d’esperienze.

TENGONO A MARCARE la propria modalità di vivere la professione per ritrovare se stessi, per respirare liberamente (no paesaggi mozzafiato!!!), per evitare condizionamenti e sensazioni superficiali.

COME RICONOSCERE LE GUIDE SOTTO(SOPRA)? dal distintivo appuntato alla rovescia…

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