Gli Usa escono dall’accordo di Parigi. Un disastro annunciato per il clima?

Promesso, fatto. All’alba del suo secondo mandato alla Casa Bianca, Donald Trump ha decretato l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi ed ha dichiarato, senza mezzi termini, di non voler perdere tempo a disfare la “burocrazia” ambientale della precedente amministrazione. Ciò include l’eliminazione delle protezioni ambientali, lo stop ai progetti di energia pulita, il ritiro della storica legge sul clima di Biden, ovvero l’Inflation Reduction Act, e la trivellazione di tutto il petrolio che gli Stati Uniti hanno da offrire fin dal primo giorno della sua presidenza. Non è la prima volta che Washington esce dal trattato. Trump, durante il suo primo mandato, aveva annunciato di voler far uscire il Paese già nel 2017, anche se la decisione era stata formalizzata soltanto il 4 novembre del 2020. Una decisione simbolica dal momento che Biden aveva appena vinto le presidenziali. E infatti, durante il suo primo giorno di mandato l’oramai ex presidente aveva annunciato l’intenzione di rientrare nell’Accordo. Ora però è tempo di una nuova era di Trump al potere. Il suo motto è “Drill, drill, drill”, ovvero trivellare a più non posso petrolio e gas: fonti fossili che da un lato danno agli Usa l’autosufficienza energetica e lo rendono pure paese esportatore, ma dall’altro aumentano l’effetto serra con tutte le conseguenze negative del caso. Cos’è l’accordo di Parigi e cosa prevede l’uscita degli Usa Il 12 dicembre 2015 è una data storica per il pianeta: i 197 Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) adottano quella che viene conosciuta come la prima intesa universale e giuridicamente vincolante sul climate change. Oggi di quel patto fanno ufficialmente parte 191 Stati (su 195 firmatari), tutti uniti da un obiettivo comune: contenere a lungo termine l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto della soglia di 2°C oltre i livelli pre-industriali, e di limitare tale incremento a 1.5°C. Dall’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto nel febbraio 2005 è diventato chiaro che era necessario lavorare per sviluppare un regime climatico globale che includesse tutti i Paesi negli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra. L’accordo di Parigi ha segnato una pietra miliare in questo obiettivo. In occasione delle conferenze globali che si tengono ogni anno, le COP, i leader di quasi 200 paesi in tutto il mondo si incontrano per stabilire impegni per ridurre le emissioni di gas serra. Si è conclusa da poco quella a Baku ed ora la prossima Cop si terrà in Brasile, una nuova opportunità per rafforzare gli impegni assunti e garantire che l’azione per il clima resti al centro delle politiche globali. Ogni cinque anni, e questo sarà il turno nel 2025, tutti i Paesi devono comunicare e mantenere i contributi determinati a livello nazionale (NDC), ovvero piani per combattere i cambiamenti climatici che devono includere obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Inoltre, tutti i paesi devono attuare politiche e misure nazionali per raggiungere questi obiettivi. In termini concreti, quindi, uscire dagli accordi significa che gli Stati Uniti non dovranno più presentare i loro NDC, non prenderanno parte ai negoziati sul clima e non saranno chiamati a fornire aiuti finanziari ai Paesi emergenti. Ma quanto inquina Washington? Gli Stati Uniti, dati alla mano, nel 2023 risultavano essere il secondo Paese con le emissioni di gas serra più alte del mondo (5,961 milioni di tonnellate di CO2 equivalente). Solo la Cina ha fatto e fa peggio. Le aziende petrolifere americane, secondo quanto riportato dall’osservatorio OpenSecrets, hanno devoluto oltre 180 milioni di dollari a sostegno della campagna elettorale del tycoon, che in risposta ha fatto della liberalizzazione a future trivellazioni (al motto di “Drill, Baby, Drill”, ovvero “Trivella, Baby, Trivella”) uno dei suoi cavalli di battaglia. E la decisione di Trump arriva dopo che il Paese ha vissuto i 12 mesi di clima estremo più costosi e impattanti degli ultimi 90 anni. Secondo le stime del Global Weather Center di AccuWeather, nell’ultimo anno gli Stati Uniti hanno subito danni totali e perdite economiche per eventi meteorologici estremi tra i 693 e i 799 miliardi di dollari (tra i 672 e i 774 miliardi di euro). Lo scetticismo climatico di Trump rischia quindi di avere ripercussioni nazionali, non solo al di fuori dei confini. Biden e i miliardi di sovvenzioni per l’energia pulita L’amministrazione Biden ha messo in cassaforte l’84% di circa 96,7 miliardi di dollari (93,7 miliardi di euro) di sovvenzioni per l’energia pulita. Queste sovvenzioni sono state create nell’ambito dell’Inflation Reduction Act. Per l’Agenzia per la protezione dell’ambiente sono stati stanziati circa 38 miliardi di dollari (36,6 miliardi di euro). Altri 11 miliardi di dollari (10,6 miliardi di euro) di fondi non sono ancora stati impegnati, ma transizione globale dai combustibili fossili è ormai ben avviata, anche più di quanto non lo fos

Jan 22, 2025 - 15:31
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Gli Usa escono dall’accordo di Parigi. Un disastro annunciato per il clima?

Promesso, fatto. All’alba del suo secondo mandato alla Casa Bianca, Donald Trump ha decretato l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi ed ha dichiarato, senza mezzi termini, di non voler perdere tempo a disfare la “burocrazia” ambientale della precedente amministrazione. Ciò include l’eliminazione delle protezioni ambientali, lo stop ai progetti di energia pulita, il ritiro della storica legge sul clima di Biden, ovvero l’Inflation Reduction Act, e la trivellazione di tutto il petrolio che gli Stati Uniti hanno da offrire fin dal primo giorno della sua presidenza.

Non è la prima volta che Washington esce dal trattato. Trump, durante il suo primo mandato, aveva annunciato di voler far uscire il Paese già nel 2017, anche se la decisione era stata formalizzata soltanto il 4 novembre del 2020. Una decisione simbolica dal momento che Biden aveva appena vinto le presidenziali. E infatti, durante il suo primo giorno di mandato l’oramai ex presidente aveva annunciato l’intenzione di rientrare nell’Accordo.

Ora però è tempo di una nuova era di Trump al potere. Il suo motto è “Drill, drill, drill”, ovvero trivellare a più non posso petrolio e gas: fonti fossili che da un lato danno agli Usa l’autosufficienza energetica e lo rendono pure paese esportatore, ma dall’altro aumentano l’effetto serra con tutte le conseguenze negative del caso.

Cos’è l’accordo di Parigi e cosa prevede l’uscita degli Usa

Il 12 dicembre 2015 è una data storica per il pianeta: i 197 Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) adottano quella che viene conosciuta come la prima intesa universale e giuridicamente vincolante sul climate change. Oggi di quel patto fanno ufficialmente parte 191 Stati (su 195 firmatari), tutti uniti da un obiettivo comune: contenere a lungo termine l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto della soglia di 2°C oltre i livelli pre-industriali, e di limitare tale incremento a 1.5°C.

Dall’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto nel febbraio 2005 è diventato chiaro che era necessario lavorare per sviluppare un regime climatico globale che includesse tutti i Paesi negli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra. L’accordo di Parigi ha segnato una pietra miliare in questo obiettivo. In occasione delle conferenze globali che si tengono ogni anno, le COP, i leader di quasi 200 paesi in tutto il mondo si incontrano per stabilire impegni per ridurre le emissioni di gas serra. Si è conclusa da poco quella a Baku ed ora la prossima Cop si terrà in Brasile, una nuova opportunità per rafforzare gli impegni assunti e garantire che l’azione per il clima resti al centro delle politiche globali. Ogni cinque anni, e questo sarà il turno nel 2025, tutti i Paesi devono comunicare e mantenere i contributi determinati a livello nazionale (NDC), ovvero piani per combattere i cambiamenti climatici che devono includere obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Inoltre, tutti i paesi devono attuare politiche e misure nazionali per raggiungere questi obiettivi.

In termini concreti, quindi, uscire dagli accordi significa che gli Stati Uniti non dovranno più presentare i loro NDC, non prenderanno parte ai negoziati sul clima e non saranno chiamati a fornire aiuti finanziari ai Paesi emergenti.

Ma quanto inquina Washington?

Gli Stati Uniti, dati alla mano, nel 2023 risultavano essere il secondo Paese con le emissioni di gas serra più alte del mondo (5,961 milioni di tonnellate di CO2 equivalente). Solo la Cina ha fatto e fa peggio. Le aziende petrolifere americane, secondo quanto riportato dall’osservatorio OpenSecrets, hanno devoluto oltre 180 milioni di dollari a sostegno della campagna elettorale del tycoon, che in risposta ha fatto della liberalizzazione a future trivellazioni (al motto di “Drill, Baby, Drill”, ovvero “Trivella, Baby, Trivella”) uno dei suoi cavalli di battaglia. E la decisione di Trump arriva dopo che il Paese ha vissuto i 12 mesi di clima estremo più costosi e impattanti degli ultimi 90 anni. Secondo le stime del Global Weather Center di AccuWeather, nell’ultimo anno gli Stati Uniti hanno subito danni totali e perdite economiche per eventi meteorologici estremi tra i 693 e i 799 miliardi di dollari (tra i 672 e i 774 miliardi di euro). Lo scetticismo climatico di Trump rischia quindi di avere ripercussioni nazionali, non solo al di fuori dei confini.

Biden e i miliardi di sovvenzioni per l’energia pulita

L’amministrazione Biden ha messo in cassaforte l’84% di circa 96,7 miliardi di dollari (93,7 miliardi di euro) di sovvenzioni per l’energia pulita. Queste sovvenzioni sono state create nell’ambito dell’Inflation Reduction Act.

Per l’Agenzia per la protezione dell’ambiente sono stati stanziati circa 38 miliardi di dollari (36,6 miliardi di euro). Altri 11 miliardi di dollari (10,6 miliardi di euro) di fondi non sono ancora stati impegnati, ma transizione globale dai combustibili fossili è ormai ben avviata, anche più di quanto non lo fosse durante la prima presidenza Trump. Quindi forse il nuovo presidente avrà qualche problema a “tornare indietro”.

L’uscita di Trump non spaventa

Il Segretario esecutivo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, Simon Stiell, ha sottolineato che stiamo assistendo a un vero e proprio boom di energia pulita. «Ignorarlo non fa altro che inviare tutta questa vasta ricchezza alle economie concorrenti, mentre i disastri climatici come la siccità, gli incendi e le supertempeste continuano a peggiorare, distruggendo proprietà e aziende, colpendo la produzione alimentare a livello nazionale e provocando un’inflazione dei prezzi a livello economico», ha spiegato.

Oggi la transizione energetica è una realtà condivisa e in sviluppo in gran parte del mondo, diversamente da quanto accadeva sette anni fa. Forse dopo un 2024 che si è rivelato l’anno più caldo di sempre non basterà un solo negazionista per fermare la lotta alla crisi climatica che chiaramente diventa sempre più urgente.

La Cina sta già costruendo più energia solare ed eolica di tutto il resto del mondo. Anche l’Ue sta facendo la sua parte. L’anno scorso, per la prima volta, il blocco ha generato più della metà della sua elettricità da fonti rinnovabili. Le emissioni nette di gas serra sono ora inferiori del 37% rispetto ai livelli del 1990, mentre il prodotto interno lordo dell’Ue è cresciuto del 68% nello stesso periodo.

Il ritiro dall’accordo di Parigi non è qualcosa che comunque verrà attuato automaticamente, poiché tecnicamente ci vuole un anno dal momento in cui gli Stati Uniti notificano ufficialmente alle Nazioni Unite la loro decisione. Le Nazioni Unite, tramite un loro funzionario, hanno ribadito che la porta rimane aperta. Ma è impensabile che l’amministrazione Trump voglia impegnarsi, concretamente, nella difesa del clima. Ha altri obiettivi in testa. Il mondo dovrà fare a meno del suo aiuto. E non è detto che non ce la faccia.

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