Giornata della Memoria, che cosa non si dice

La Giornata della Memoria ha consentito agli antisionisti di distinguersi dagli antisemiti. L'intervento di Giuliano Cazzola.

Gen 27, 2025 - 18:14
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Giornata della Memoria, che cosa non si dice

Riflessioni e consigli sulla Giornata della Memoria. L’intervento di Giuliano Cazzola

Oggi si celebra la Giornata della Memoria, nella 80° ricorrenza della liberazione, da parte dell’Armata rossa, del Campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau (in Polonia ma vicino ai confini con la Germania). In questa giornata – assunta dall’Onu nel 2005 come l’occasione per dire “mai più” alla tragedia della Shoah – in tutti i paesi civili si svolgono iniziative che ripercorrono e condannano una delle più gravi tragedie dell’umanità avvenuta nel cuore dell’Europa ad opera dei regimi nazifascisti della prima metà del Secolo scorso.

Nella celebrazione della Giornata della Memoria si celano anche alcune ipocrisie. Condannando senza attenuanti l’Olocausto – indubbiamente il macabro trionfo dell’antisemitismo – si circoscrive all’interno dell’evento più clamoroso e spietato un fenomeno di persecuzioni secolari, di ghettizzazione, di conversione forzata, di pogrom nei confronti del popolo della diaspora e se ne denuncia nel nazismo il solo responsabile della Shoah come se ciò che è accaduto nell’arco dei dodici anni in cui le armate tedesche hanno portato guerra, morte e distruzione in ogni angolo dell’Europa, non trovasse una base di tolleranza e persino di consenso in vasti settori dell’opinione pubblica. Lo sterminio di milioni di ebrei da parte del regime nazista, con l’asservimento e la complicità dei regimi fantoccio che seguivano le armate tedesche nei paesi occupati, ha rappresentato un salto di qualità di carattere industriale e organizzativo di quelle persecuzioni che per secoli si erano espresse con una sorta di crudeltà di carattere artigianale nei villaggi delle pianure dell’Europa orientale.

L’altro elemento di ambiguità sta nel compianto che viene riservato in questa giornata nei confronti degli ebrei eliminati nei campi di concentramento, anche da parte di quanti non avvertano sentimenti di solidarietà verso quelli vivi e intenzionati a difendere l’esistenza dello Stato in cui hanno ritrovato la patria promessa,  perduta  da secoli. In sostanza la Giornata della Memoria ha consentito agli antisionisti di distinguersi dagli antisemiti.

Sono bastati i fatti del 7 ottobre e la reazione israeliana per disarmare quest’ultima ipocrisia e svelare in tutto l’Occidente che i due “ismi” in realtà sono uno solo: essere ebreo, non essere israeliano, è tornata ad essere la colpa da espiare. Così le vittime di ieri sono diventate i persecutori di oggi, tanto che alla fine della giornata ci accorgeremo che sono prevalse le tendenze Pro Pal rispetto al ricordo della tragedia di un popolo, a cui vogliono sottrarre persino il “genocidio”.

Per ora nella Striscia di Gaza è in corso una tregua delle armi che dovrebbe portare alla liberazione degli ostaggi in cambio del rilascio di militanti palestinesi condannati in regolari processi. A Israele è capitato di nuovo quanto gli succede da cinquant’anni: gli alleati storici di questo paese democratico sono disposti a difenderne la sopravvivenza a scapito della sicurezza. Un’operazione che si concretizza nella impossibilità dello Stato ebraico di andare fino in fondo nella sconfitta dei suoi nemici. Perché non ci si mette di mezzo solo l’ONU, ma anche gli alleati trovano da ridire. Questa volta, grazie alla determinazione del governo Netanyahu, l’esercito israeliano ha potuto difendersi con energia dalle aggressioni subite su più fronti, imponendo grandi perdite ai nemici vicini e lontani. Ma per ora non è stato in grado di concludere il lavoro con l’eliminazione totale delle organizzazioni terroristiche.

Intanto si attendono le iniziative della nuova Amministrazione americana sull’altro fronte aperto nel cuore dell’Europa: l’Ucraina. Nelle ultime ore Putin si è dichiarato disposto a trattare con Trump ribadendo le sue condizioni irrinunciabili:  nuove presidenziali in Ucraina, per poter negoziare con un presidente legittimo e non con Zelensky che, ai suoi occhi, non lo è perché il suo mandato è scaduto il 21 maggio; no all’ingresso di Kiev nella Nato; lo smantellamento delle forze ucraine e assenza di truppe straniere sul suo territorio; il riconoscimento di quelle che chiama “nuove realtà territoriali”: oltre alla penisola di Crimea, le quattro regioni annesse nel 2022, Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson, compresa la parte che non controlla oltre l’attuale linea di contatto, la riva del Dnipro. L’unico margine di trattativa sarebbe uno scambio tra il territorio che occupa a Kharkiv con la parte di Kursk sotto controllo ucraino, benché conti di riconquistarla prima di eventuali trattative.

A questo punto mi viene da porre una domanda a quanti, in nome della pace, considerano realistiche e accettabili le condizioni pregiudiziali poste dallo zar del Cremlino. Esiste forse un diritto internazionale ad nationem? Alla Russia è riconosciuto un diritto di conquista a mano armata? Se è così perché tale diritto non dovrebbe spettare anche ad Israele? I c.d. territori occupati (che fanno di Israele , secondo i Pro  Pal –  uno Stato colonialista, sono stati “conquistati” attraverso ben due guerre in cui lo Stato ebraico – inizialmente aggredito – è uscito da vincitore. Anzi parte di quei territori (il Sinai fino al Canale di Suez, la Striscia di Gaza) sono stati restituiti. Poi se la Russia si sente minacciata la sua sicurezza dalla presenza di Stati aderenti alla Nato (un’organizzazione militare solo difensiva), per quale motivo (grazie alla logica ipocrita dei due popoli due Stati) Israele dovrebbe accettare di convivere con uno Stato che vuole la sua distruzione e che aprirebbe al nemico per eccellenza (l’Iran) l’accesso al Mediterraneo?

In attesa di risposte e chiarimenti mi permetto di dare un consiglio alla Comunità ebraica: cominci a celebrare la ricorrenza della resistenza del Ghetto di Varsavia, onorando così l’ebreo che combatte e che non si arrende ai suoi nemici senza reagire, come se fosse consapevole della inevitabilità della sua sorte.