Banca Mediolanum, un consulente di alta scuola
La storia di un wealth manager di lungo corso, approdato a Banca Mediolanum da Ubs
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Articolo apparso sul numero di gennaio 2025 di BLUERATING
Un esperto della finanza ed ex bancario porta la sua grande esperienza nel mondo della consulenza. E’ la storia di Andrea Demelli, consulente finanziario di 51 anni, che da alcuni mesi si è unito alla squadra di professionisti di Banca Mediolanum.
Gavetta e crescita
Una liason, quella con il mondo degli investimenti, che inizia prestissimo: “Mi sono appassionato a questa realtà quando avevo 16 anni, quando per coincidenze della vita e per relazioni familiari ho conosciuto il mondo bancario, in cui fin da subito mi sono sentito a mio agio. Da lì in avanti anche i miei studi si sono poi indirizzati verso questo settore” racconta Demelli. “Terminato il percorso accademico, ho mosso i primi passi nella maniera più basic, prima con uno stage in una banca retail fuori Lombardia e poi seguendo li percorso della vecchia segmentazione a livello quantitativo e non qualitativo della clientela”.
Dopo la gavetta e l’inserimento a tutto tondo nel mondo bancario, la vera svolta per Demelli arriva nel 2007: “In quell’anno passo nella più grande banca del mondo in termini di wealth management e masse di amministrazione, cioè Ubs, dove resto per 16 anni. E’ stata una scuola importante, in cui ho vissuto anni di grande crescita professionale e con un punto di osservazione dei mercati di primo livello” confessa. “Ho avuto la possibilità di lavorare sia in Italia sia all’estero, di capire i meccanismi del wealth management internazionale e vedere le differenze di contatto delle banche verso la clientela, che cambia completamente in termini di approccio, servizio e percezione che il cliente ha dei servizi stessi. Per capirci: la stessa banca, in Italia e all’estero, presenta grosse differenze e anche il comportamento dell’investitore è totalmente diverso, partendo dal profilo di rischio”.
Un’esperienza, quella Svizzera, che gli consente anche di vivere la fusione tra due colossi elvetici: “Ho partecipato con grande entusiasmo all’integrazione Credit Suisse – Ubs, le due prime banche sistemiche esistenti, per creare il wealth management più grande del mondo, ma purtroppo è andata male. Oggi, quando si eseguono delle fusioni, si crea un distacco sui tre stakeholder principali: gli azionisti, il capitale umano e i clienti. Purtroppo in queste azioni esiste solo una priorità, cioè l’azionista. E’ una cosa che ho provato sulla mia pelle e che non mi è piaciuta. Mi sono accorto che le dinamiche erano a senso unico solo ed esclusivamente per sostenere l’azione e, anche se in pochi ne tengono conto, al giorno d’oggi la crescita aziendale, il team e il purpose è quello che crea la cultura all’interno di un’azienda. Quando ci sono queste situazioni tutto ciò viene messo da parte e l’insieme di queste cose mi ha convinto a dare le dimissioni, in quanto non c’era più il senso di purpose rispetto ad una operazione fatta a tavolino”.
Sopra il miliardo
Un colpo grosso per Banca Mediolanum, che inserisce nella propria squadra un professionista che è arrivato a gestire un patrimonio di oltre 1 miliardo: “Nel mondo Credit Suisse International ero a capo di una struttura che dirigeva oltre un miliardo e mezzo di masse gestite, che facevano capo a me come manager, ma che erano seguite da 3 banker. Nelle dinamiche internazionali, dove esistono i cosiddetti veri billionare, c’è una concentrazione quantitativa in termini di patrimonio. In questo Ubs è la numero uno, in quanto ha un processo di investimento che fa parte di un altro campionato, visto che da 150 anni è focalizzata solo sul processo di investimento, con una struttura che permette di seguire tutte le esigenze di clienti di alto stand. Al tipo di operazione che sono andato a seguire, però, non si era preparati, quindi tutto quello che era il valore aggiunto di quella che era la prima banca per wealth management è poi venuto meno”.
Da qui, il rientro in Italia e la scelta di Mediolanum: “Sono tornato in patria attraverso uno dei migliori manager che ho conosciuto nella mia carriera, Alberto Martini, responsabile del wealth management di Banca Mediolanum. Sono atterrato insieme a lui in questa nuova realtà e ho iniziato da qualche mese la mia attività core che è quella di consulente, quindi stare sul mercato, ascoltare i clienti e organizzare i portafoglio” spiega Demelli. “Ho scelto Mediolanum per 3 motivi: cercavo una banca sistemica, agile e snella, che avesse strategie innovative e con dinamiche di consulenza evoluta”.
Cambiamento nel tempo
Una vita lavorativa, quella di Andrea Demelli, che ha visto nel tempo tante novità e cambiamenti, tra cui quella relativa alla figura del consulente finanziario: “Inizialmente, il consulente era prettamente finalizzato alla performance con la gestione del patrimonio. All’epoca c’era un gap enorme tra il consulente e il cliente, in quanto l’educazione finanziaria era ai minimi; di conseguenza si verificava una sorta di delega continua dei clienti verso il professionista. Il servizio e la buona riuscita della relazione era quasi sempre dovuto dalla capacità tecnica del banker” commenta Demelli. “Successivamente, le aziende hanno sempre portato a premiare il sistema dietro il consulente, per lasciargli più spazio nella relazione con il cliente. Relazione che poi è diventata il core di questa tipologia di business, ovvero seguire la clientela, capirne i bisogni, trovare delle soluzioni e poi delegare il portafoglio per il raggiungimento degli obiettivi concordati. Questo è diventato ormai il modus operandi del mercato e ha portato un grande cambiamento anche dal punto di vista dell’approccio all’investimento, cioè quello di avere un profilo di rischio per ogni obiettivo e di conseguenza costruire un portafoglio adeguato. Questo modo permette di avere una relazione più proficua e costante, oltre ad avere la tranquillità del cliente in ogni scenario di mercato”.
Cosa manca ai giovani
Infine, una chiosa sulle nuove leve e il passaggio generazionale, questione tanto importante quanto spinosa per il settore della consulenza: “I giovani sono molto più preparati di noi, a livello di studio, competenze tecnologiche e velocità. A volte vedo stagisti o neo consulenti che dal punto di vista tecnico sono estremamente preparati. Naturalmente manca l’esperienza relazionale, ma non è completamente colpa loro, vista la grande disintermediazione della tecnologia che non ha permesso loro di avere quella experience one to one che invece è una cosa fondamentale in questa professione” afferma Demelli. “Io ho iniziato a 22 anni facendo il cassiere in una banca provinciale a Verona, ed è stata una delle esperienze formative più importanti, in quanto ogni 7 minuti mi trovavo ad avere a che fare con una persona completamente diversa rispetto a quella precedente. E’ stata una palestra eccezionale, e ai giovani questo manca: la grande difficoltà che incontrano per entrate in questo mercato, a mio avviso, è proprio la capacità relazionale, che non possono studiare ma devono coltivare sul campo”.