Andando oltre gli utili si crea un vero valore
Dal successo di Banca Prossima all'avventura di Illimity Bank: la creazione di valore passa dalla responsabilità. Corrado Passera racconta a Economy la sua visione del "purpose” L'articolo Andando oltre gli utili si crea un vero valore proviene da Economy Magazine.
«Il bello di fare banca? Essenzialmente è la possibilità di trasformare depositi in progetti di sviluppo: le banche commerciali esistono soprattutto per questo anche se nel tempo poi hanno aggiunto tante altre attività interessanti»: Corrado Passera, una carriera senza eguali all’attivo – da direttore generale Cir ad amministratore delegato degli anni della grande espansione di Banca Intesa fino a diventare Intesa San Paolo, e poi in Poste Italiane e ancora ministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture del governo Monti – non ha dubbi sul “purpose” della sua attuale attività imprenditoriale, illimity Bank, una banca di nuova generazione, specializzata appunto nel credito alle imprese: credito alla crescita e agli investimenti, credito alle transizioni e alle ristrutturazioni. Ma sempre con un occhio al sociale: attraverso Fondazione illimity, ma non solo. Che toccò ai tempi di Banca Intesa un vero apice con la creazione di Banca Prossima, banca non profit dedicata all’impresa sociale.
Dottor Passera, partiamo proprio da Banca Prossima: cosa la indusse a crearla?
Banca Prossima nacque da una convinzione profonda, che tuttora condivido: le grandi aziende, soprattutto quelle ricche e solide come le banche, hanno il dovere di portare i loro servizi anche a quelle componenti della nostra comunità meritevoli, ma ancora escluse: il Terzo Settore è certamente una di queste. Avevamo già maturato esperienze significative in questo ambito – per esempio promuovendo la nascita di 500 asili nido- e avevamo constatato l’assenza di una banca dedicata all’impresa sociale. Da qui l’idea: destinare una cifra importante di capitale, circa 200 milioni, per creare una banca non-profit che operasse esclusivamente per il mondo non-profit. L’obiettivo non era la filantropia, un campo in cui il nostro Gruppo era comunque attivo, ma creare uno strumento sostenibile che supportasse impresa sociale. Il modello prevedeva che dovunque avesse fatto utili avrebbe dovuto destinarli a finanziarie iniziative di imprese sociali che almeno inizialmente non erano ancora in grado di accedere ai normali circuiti bancari. In questo modo, Banca Prossima si proponeva di colmare un vuoto, contribuendo concretamente allo sviluppo del Terzo Settore.
E come andò?
Molto bene, fu bravissimo Marco Morganti, animatore dell’istituto. Cominciò da un job posting interno di grande successo: le 400 persone che hanno dato vita alla nuova banca si sono, di fatto, auto-scelte, e sono andate a fare questo mestiere che non c’era, una banca nuova, in quel mondo, con quegli obiettivi, con parametri di performance rigorosi, ma in parte diversi dal resto del Gruppo. È stata un’esperienza bellissima che diede vita a una delle esperienze più rilevanti in Europa nel suo campo.
E dunque con Banca Prossima il Gruppo Intesa ritenne di aver assolto all’obbligo di andare oltre al puro obbligo di andare oltre la buona gestione economica?
Nel tempo Intesa, epoi IntesaSanPaolo, ha dato vita a tante altre iniziative e continua a farlo con grande convinzione. La filosofia che sta dietro iniziative come Banca Prossima sta proprio nel sentirsi responsabili di andare oltre i risultati economici e oltre il rispetto di tutte le normative per portare un contributo tangibile al miglior funzionamento della nostra collettività.
Quale?
Ogni impresa può trovare il modo più adatto alle proprie caratteristiche. Talvolta sta proprio nel mestiere stesso che si fa: fare credito alle imprese anche in situazioni complesse, per esempio, costituisce una attività utile alla collettività e allo sviluppo economico. Uno spazio di impegno disponibile a tutte le aziende di qualsiasi settore è l’investimento sulle proprie persone per facilitare l’espressione del loro potenziale e aumentare la loro “employability” nel tempo.
E la necessità di produrre utili?
È la prima responsabilità di chi gestisce le imprese. Senza sostenibilità economica è inutile parlare di altre sostenibilità. Come avrà capito, io credo molto nella responsabilità sociale dell’impresa , ma sono infastidito in quello che sta succedendo. Una libera scelta delle imprese, quella di distinguersi per responsabilità sociale cioè andando oltre le richieste del mercato e le tante normative già vincolanti, sta rischiando di trasformarsi solo in una pesante procedura burocratica. Credo naturalmente nei valori ESG, ma non credo che sia la strada giusta quella che è stata scelta di imbrigliarli in un complessissimo groviglio di procedure amministrative.
Resta il fatto che con la solidarietà non si fanno utili!
Forse con la sola solidarietà non si fanno utili – questo è infatti il ruolo tipico del Terzo Settore – ma con la responsabilità sociale – e naturalmente il rispetto delle normative ESG – si possono attirare e motivare persone di qualità che danno importanza a queste componenti, si può accedere più facilmente al credito e si può partecipare a filiere di fornitura altrimenti precluse. Non è poco e tutto questo, alla fine, significa anche migliori risultati di bilancio. Talvolta dietro il presunto disincanto dei giovani per il lavoro, ci sono semplicemente aziende che investono poco sulla loro motivazione o non ne riconoscono il valore.
Sicuro che non stiamo scivolando nella narrazione edulcorata?
Sicurissimo. Come sa, non mi sono mai tirato indietro di fronte a operazioni di risanamento e rilancio aziendale anche molto impegnative. Ma se riesci a gestire i cambiamenti mostrando obbiettivi motivanti non solo di bilancio, se suddividi equamente benefici e sacrifici e se riconosci merito e impegno, la risposta delle persone può essere straordinaria. Le potrei fare mille esempi: mi ricordo con emozione i tanti straordinari non segnati alle Poste per poter rispettare i tempi dei progetti di rilancio e la mancanza di soldi per pagarli. Tutti vogliono essere parte di un progetto di cui essere orgogliosi. Tutti desiderano poter raccontare con orgoglio, a casa o agli amici, quel che la loro azienda fa. Se una donna decide di avere un figlio e viene premiata anziché discriminata, percepisce benissimo la differenza.
Alt! A proposito di genere, lei apprezza il metodo delle quote?
Sono stato un convinto sostenitore delle quote rosa. Ci sono valori in cui uno crede e se non li vede realizzati, bisogna non solo impegnarsi personalmente per promuoverli, ma anche adoperarsi affinché diventino regole. Quello delle quote rosa è un bell’esempio: senza la norma i CDA non si sarebbero mai aperti a sufficienza o comunque non in tempi ragionevoli e ci saremmo persi delle opportunità perpetuando un’ingiustizia di fatto. Con le quote rosa abbiamo forzato un cambiamento positivo.
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