Almasri, le due versioni parallele di Nordio e Piantedosi: “Mandato dell’Aja nullo”, “Pericolosità evidente”. Quel che ancora non torna
Il governo se la prende con l'Aja per aver combinato un pasticcio, che diventa irrimediabile vista l'esigenza di Piantedosi di tutelare la sicurezza dello Stato. Ma è confrontando i due interventi di Nordio e Piantedosi che emergono le incongruenze. L'articolo Almasri, le due versioni parallele di Nordio e Piantedosi: “Mandato dell’Aja nullo”, “Pericolosità evidente”. Quel che ancora non torna proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dopo due settimane di silenzio il governo dà la sua versione sulla vicenda di Almasri. Anzi, due. Quella del ministro della Giustizia Carlo Nordio, intervenuto alla Camera alle 12.15, e di seguito quella del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Due interventi che non citano mai Palazzo Chigi, che non si parlano, che addirittura insinuano un dubbio: nei tre giorni dell’arresto-rilascio-rimpatrio di Almasri, Nordio e Piantedosi si sono mai parlati? A sentirli in Aula, pare di no e i due interventi finiscono per apparire incompatibili. L’uno, quello del Guardasigilli, attento a ricostruire quella che definisce l’incongruenza del mandato della Corte penale internazionale del 18 gennaio, tanto da sostenere che la Corte d’appello non avrebbe mai consentito la convalida dell’arresto richiesto. E l’altro, quello di Piantedosi, a sostenere che, visto il chiaro profilo di pericolosità, l’espulsione era “la misura più appropriata per tutelare sicurezza dello Stato e ordine pubblico”. Ma nonostante i due abbiano attentamente evitato di sovrapporre i rispettivi ruoli, tenendo così fuori quello di Palazzo Chigi, il combinato disposto tra le parole di Nordio e quelle di Piantedosi evidenziano ciò che ancora non torna.
Nordio: “Atto dell’Aja radicalmente nullo” – L’argomento appartiene al centrodestra da ormai due settimane, ma il ministro lo rilancia in Parlamento accusando la Corte penale di aver messo insieme un mandato contraddittorio, tanto da essere “radicalmente nullo”. Il problema, dice Nordio, sta nella datazione dei crimini attribuiti ad Almasri, che nel mandato spiccato il 18 gennaio si considerano commessi a partire dal febbraio 2015 ma in alcuni passaggi, in particolare nel dispositivo finale, datano 2011. Del febbraio 2011, si legge nel documento, è la risoluzione con cui il Consiglio di sicurezza dell’Onu attribuisce giurisdizione alla Corte penale per la situazione in Libia dopo la caduta di Gheddafi, e nella quale si pretende la massima collaborazione con la Corte da parte di tutte le autorità libiche. Il carcere di Mitiga dove Almasri avrebbe commesso i crimini di cui è accusato, precisa il mandato, inizia ad essere costruito solo l’anno successivo, nel 2012. E infatti le accuse ad Almasri, si legge, riguardano il suo operato a Mitiga da febbraio 2015 al 2024. Nelle conclusioni dove la Corte penale ordina l’arresto, però, si fa confusione e il febbraio 2015 diventa febbraio 2011. Evidentemente una svista, dato che il carcere di Mitiga non esisteva. Svista che la stessa Corte penale correggerà in una seconda versione del documento rilasciata il 24 gennaio. Ma già nella comunicazione ufficiale del 22 gennaio, dove la Corte penale chiederà conto all’Italia del rilascio di Almasri, la datazione dei crimini è quella corretta: febbraio 2015.
Ma tanto basta a Nordio, oggi e non mentre Almasri è agli arresti, per sostenere che il mandato è “radicalmente nullo”. Tanto da rendere impossibile girare la richiesta d’arresto alla Corte d’appello di Roma, competente per la convalida. “Se avessimo mandato quella richiesta alla Corte d’appello ce lo avrebbe mandato indietro dicendoci che quel mandato era sbagliato”, ha detto Nordio, che a inoltrare le carte alla Procura generale della Corte d’appello, però, non ci ha mai nemmeno provato. Eppure, secondo la stessa legge citata da Nordio, non compete al ministro della Giustizia ma alla Corte d’appello valutare la richiesta d’arresto. Non contento, il ministro tira in ballo il parere di minoranza espresso da uno dei tre giudici della Corte penale che hanno emesso il mandato, Maria del Socorro Flores Liera, che non concorda sulla giurisdizione della Corte in merito ai crimini per i quali si richiede l’arresto. Il mandato cita il parere contrario, e Nordio lamenta di non averlo ricevuto. Ma il mandato spiega perché la questione sollevata è da considerarsi superata e il mandato, che viene emesso a maggioranza, ammissibile. Una questione risolta internamente alla Corte penale e non sindacabile, tantomeno dal ministero della Giustizia, secondo la legge di ratifica dello Statuto della Corte penale internazionale (articoli 58 e 59) e alla legge 237/2012 (articoli 3 e 11) attuativa dello stesso Statuto di Roma, che Nordio invece cita limitatamente agli articoli 2 e 4.
Eppure Nordio non ci sta e negando di poter essere un semplice “passacarte”, rivendica di essersi preso il tempo necessario a valutare il “pasticcio frettoloso” mandatogli dall’Aja alle 12.40 di lunedì 20 gennaio. Tempo che poi si rivelerà fatale per il rilascio di Almasri. Dell’arresto era già stato informato il giorno prima, domenica 19, ma con una “comunicazione assolutamente informale di poche righe priva del provvedimento in oggetto e delle ragioni sottese”. In conclusione, Nordio spiega che “alla luce di queste considerazioni, squisitamente giuridiche, credo che ogni altra mia iniziativa sarebbe stata impropria e frettolosa e che, anzi, avrebbe dimostrato una carenza di attenzione da parte mia nel non aver rilevato queste patenti, grossolane e gravi contraddizioni contenute nel mandato di arresto”. E annuncia l’intenzione di “attivare i poteri che la legge mi riconosce e chiedere alla CPI giustificazione circa le incongruenze di cui è stato mio dovere riferirvi”.
Piantedosi e l’espulsione urgente di Almasri – Il ministro dell’Interno ha visto un altro film. Secondo lui, infatti, il profilo di Almasri che emergeva dalle carte dell’Aja era tale da imporre di “agire rapidamente“. Lo stesso arrivo del jet dei servizi, atterrato a Torino già nella mattina del 21 gennaio, giorno del rilascio, è “una precauzione” a tutela della stessa “sicurezza dello Stato e ordine pubblico” che hanno motivato il suo decreto di espulsione. Quanto all’ordine degli eventi, dopo aver ricostruito quanto accaduto e predisposto dalla procura della Corte penale e dalla Corte stessa nei mesi e giorni precedenti, quando l’allerta sulla presenza di Almasri in Europa non era un mandato d’arresto, Piantedosi precisa che l’Italia non viene informata di nulla prima della notte tra il 18 gennaio e il 19, quando, domenica mattina alle 9.30, la Digos di Torino preleverà Almasri nel suo albergo. In seguito, “i soggetti di rito” venivano informati dell’arresto, ha ricostruito il ministro. Come scriverà la Corte d’appello, che riceve dalla polizia giudiziaria la richiesta di convalida, la comunicazione dell’arresto arriva domenica anche al ministero della Giustizia. Piantedosi non dice nulla della “comunicazione assolutamente informale”, priva del mandato dell’Aja, come sostenuto poco prima da Nordio. Al contrario, sembra farsi subito un’idea precisa: se Almasri verrà rilasciato c’è la “possibilità che rimanga a piede libero in Italia nonostante il profilo di pericolosità” che, aveva già spiegato nel question time del 23 gennaio in Senato, “emerge chiaramente dal mandato”. Così predispone subito il decreto per l’espulsione, che produrrà effetti subito dopo il rilascio. Ignaro di tutto fino a poche ore dall’arresto, a differenza di Nordio il Viminale mette immediatamente a fuoco tutto e in Almasri vede solo un uomo che non si può lasciare a piede libero, anche vista la presenza italiana in Libia e gli interessi nazionali.
I due interventi: cosa non torna – Salta subito all’occhio che Giorgia Meloni e Palazzo Chigi non vengono mai nominati, negando che possa esserci stata una regia unica. Né viene invocata la ragion di Stato. In estrema sintesi, il governo se la prende con l’Aja per aver combinato un pasticcio, che diventa irrimediabile vista l’esigenza di Piantedosi di tutelare la sicurezza dello Stato. Ma non tutto è chiaro, anzi. E’ agli atti che, lunedì 20 gennaio, la Procura generale della Corte d’appello di Roma sollecita il ministero della Giustizia a formulare le sue richieste in merito all’arresto di Torino, noto a tutti dal giorno prima. Nordio non risponderà mai a quel sollecito, tanto che l’indomani, martedì 21, il procuratore informerà la Corte d’appello della “mancata interlocuzione”. Nemmeno in Parlamento, come gli è stato poi fatto notare dalle opposizioni, Nordio chiarisce il perché di quel silenzio. Allo stesso modo, pur consapevole delle 48 ore entro le quali un arresto deve essere convalidato, il ministro non contatterà mai la Corte dell’Aja per avere chiarimenti. E ciò nonostante – lo ha ricordato lui stesso in Aula – la normativa lo indichi come interlocutore esclusivo dell’Aja nella collaborazione che lo Stato italiano deve per legge ai fini dell’esecuzione dei mandati d’arresto. Tra le 12.40 di lunedì 20, quando dice di aver ricevuto il carteggio, alle 16.00 di martedì 21, quando una nota del suo ministero rompe il silenzio solo per dire che il ministro “sta valutando” di trasmettere le carte alla Procura generale della Corte d’appello, non è dato sapere quali siano state le riflessioni di Nordio in merito alla possibilità che il ricercato venisse scarcerato, che il suo collega Piantedosi già avesse predisposto l’espulsione.
Ministri dello stesso governo, ma non in quei due giorni. Come se toccasse a lui sindacare nel merito la richiesta di arresto della Corte penale, Nordio si concentra invece sulle valutazioni giuridiche che ha maturato successivamente, prendendosi tutto il tempo necessario. Ma non la briga di chiamare l’Aja per superare un errore, se di questo si è trattato, di forma. Di tempo, invece, ne ha avuto abbastanza Piantedosi, che alla incongruenze del mandato non si interessa, allora come oggi. E se per Nordio anche l’inglese si è rivelato un contrattempo, nulla ha potuto ostacolare Piantedosi dalla missione di difendere la sicurezza dello Stato dal pericoloso libico. L’informativa dei due ministri, inoltre, non dice nulla in merito al comunicato ufficiale rilasciato dall’Aja già il 22 gennaio, l’indomani del rimpatrio di Almasri. “Su richiesta delle autorità italiane, la Corte si è deliberatamente astenuta dal commentare pubblicamente l’arresto dell’indagato”, ha scritto la Corte penale. Chi ha chiesto all’Aja di mantenere il riserbo mentre Almasri veniva arrestato? Piantedosi, Nordio, Palazzo Chigi? Alla luce di quali informazioni? Quelle che Nordio, 48 ore dopo, stava ancora “valutando”? Silenzio. Nonostante gli sguardi complici in Aula, fino ad ora Piantedosi e Nordio non sembrano essersi parlati, né confrontati in quei giorni sulla possibilità che il ricercato finisse per sottrarsi alla giustizia internazionale. Avrebbe potuto, forse, chiarirlo Giorgia Meloni, spiegando in Aula quanto i due ministeri hanno riferito a Palazzo Chigi in quelle ore. Ma in Parlamento ha deciso di non presentarsi, ed è forse questa la ragione.
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