Costituisce consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità quello per cui, ai sensi dell’art. 1832 c.c., la mancata contestazione dell’estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate (con conseguente decadenza delle parti dalla facoltà di proporre eccezioni relative ad esse), ma non impediscono la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti[1]. Tutto ciò significa che l’approvazione tacita del conto non impedisce di sollevare contestazioni che siano fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, dell’inclusione o dell’eliminazione di partite del conto corrente. Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che l’approvazione dell’estratto conto – per quel che riguarda i cosiddetti aspetti sostanziali, restando invece disciplinati dal secondo comma dell’art. 1832 c.c. quelli formali – abbia la funzione di rendere incontestabile in giudizio la verità storica dei dati riportati nel conto, ivi compresa l’esistenza degli ordini e delle disposizioni del correntista nel conto stesso menzionate come causale di determinate annotazioni di addebito, lasciando aperta la possibilità di porre in questione la portata ed il significato giuridico di quei fatti.
Ciò premesso, nella fattispecie dedotta in giudizio si dibatte, dunque, della legittimità, o meno, della quantificazione degli importi a titolo di “competenze” sui plurimi rapporti di C/C dedotti in monitorio e il cui pagamento è stato invocato dalla Banca opposta. È evidente, allora, che l’omessa contestazione specifica degli estratti conto prodotti dalla Banca, per documentare il periodo attenzionato, non ha avuto l’effetto di rendere incontestabile la spettanza delle “competenze” maturate in relazione a detti rapporti, giacché la controversia non ha investito la verità storica delle sottostanti evidenze contabili, bensì la pretesa mancata spettanza di quelle competenze in assenza di valida dimostrazione di una loro corretta quantificazione giustificata dalle corrispondenti clausole contrattuali.
Sarebbe stato onere della Banca opposta, dunque, produrre in giudizio la contrattualistica risalente, sì da legittimarla alla pretesa di tutte le competenze maturate nel periodo de quo, risultando di certo inidonea, allo scopo, la dichiarazione della correntista, contenuta in calce alla contrattualistica, che quest’ultima era stilata in prosecuzione dei pregressi rapporti.
Né, tantomeno, la mancanza dei contratti può essere supplita dalla produzione integrale dei relativi estratti conto. La mancata produzione tout court del contratto importa, ad avviso del Collegio, l’obbligo della Banca di restituire al correntista tutte le somme addebitate a titolo di interessi, essendo il contratto insanabilmente nullo. Dalla nullità assoluta del contratto deriva l’inapplicabilità al rapporto di qualsivoglia interesse passivo, nonché delle spese e delle commissioni. In tema di rapporto bancario di conto corrente, infatti, qualora la Banca, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, non fornisca prova del credito vantato con il contratto di apertura del conto corrente, come richiesto a pena di nullità ex art. 117 T.U.B., il decreto ingiuntivo va senz’altro revocato, in quanto l’indisponibilità del contratto impedisce di accertare la presenza delle clausole nulle e di ricostruire, precipuamente, l’andamento del rapporto, con l’eventuale depurazione di interessi, spese e commissioni non dovute, ovvero il corretto rapporto di dare ed avere tra le parti in causa.
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[1] Cfr. Cass. n. 30000/2018.