“Non rovinare la magia”: Claudio Fabrianesi, il mestiere, l’onestà

Conosciuto e apprezzato per la sua incredibile versatilità, per la qualità delle sue selezioni musicali e per la sua invidiabile tecnica, Claudio Fabrianesi è uno dei DJ più rispettati della scena musicale romana. Enfant prodige (ha iniziato a suonare a soli 15 anni), dapprima ha militato nelle fila di rave illegal, poi è stato animatore… The post “Non rovinare la magia”: Claudio Fabrianesi, il mestiere, l’onestà appeared first on Soundwall.

Feb 7, 2025 - 13:11
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“Non rovinare la magia”: Claudio Fabrianesi, il mestiere, l’onestà

Conosciuto e apprezzato per la sua incredibile versatilità, per la qualità delle sue selezioni musicali e per la sua invidiabile tecnica, Claudio Fabrianesi è uno dei DJ più rispettati della scena musicale romana. Enfant prodige (ha iniziato a suonare a soli 15 anni), dapprima ha militato nelle fila di rave illegal, poi è stato animatore di party rimasti memorabili come l’Alchemy, quindi resident agli Ex Magazzini insieme al suo mentore Lory D e infine ospite di prestigiosi festival nazionali e internazionali.

Lo avevamo lasciato nell’estate del 2016 a Villa Arconati, coprotagonista insieme a Donato Dozzy di un importante incontro condotto da Damir Ivic fra il verde di Bollate in occasione del Terraforma Festival, dove ci aveva regalato un set all’alba rimasto negli annali (e fortunatamente anche su Soundcloud). Dopo otto anni torniamo a fare due chiacchiere con lui, per riprendere il filo di quel discorso legato alla sua personale visione del mondo e della musica e farci raccontare altri ricordi e nuovi progetti. A cominciare dalla sua residenza in un locale dall’aura esoterica a due passi da Campo dei Fiori che, giunto in sordina alla sua seconda stagione, sta velocemente facendo breccia nelle notti romane fra gli appassionati di clubbing, e non solo.

Claudio, finalmente possiamo sciogliere il riserbo su questa collaborazione iniziata ormai un anno e mezzo fa ma ammantata da un velo di mistero tale da farci pensare che Campo Magnetico dovesse necessariamente rimanere il best kept secret dell’intrattenimento capitolino. 

A propormi di far parte di questo progetto nell’estate del 2023 è stato Marco Rab, già attivo nell’organizzazione di eventi TrAmp e cofondatore di Campo Magnetico insieme al fratello Riccardo, resident DJ del club insieme a Serena Thunderbolt e al sottoscritto, nonché all’imprenditore Davide Dorici. Un invito quello di Marco che mi ha fatto molto felice, perché Campo Magnetico è arrivato in un momento di desolazione nel panorama romano, panorama in cui l’offerta è spesso standardizzata e mancano attività creative che legano intrattenimento e musica di qualità ma anche cultura e filosofia del clubbing. Non credo di esagerare dicendo che quello di Campo Magnetico sia, grazie al suo format, tra i migliori locali in Italia ed Europa, soprattutto perché si esprime in modo indipendente, con un grande lavoro di preparazione creativa e fuori dai binari della cultura di massa. 

Certamente stiamo parlando di un luogo fuori dal comune.

Assolutamente, perché oltre ad avere un’attività notturna legata alla musica dance e al clubbing al piano inferiore, Campo Magnetico ospita anche eventi e talk su temi complessi, spesso ispirati alla Scienza Spirituale. Penso all’incontro “Il Rogo Infame” (tenutosi lo scorso anno nella ricorrenza della morte di Giordano Bruno, proprio ai piedi della statua del filosofo di Nola, a pochi passi da Campo Magnetico, ndr), ai bagni di suono come tributo a Rudolf Steiner (fondatore dell’antroposofia e teorico appunto del campo magnetico, ndr), alle presentazioni di libri e tante altre interessantissime iniziative autoriali proprie del format creativo del locale. Al piano superiore poi si organizzano anche live jam session e rassegne di musica d’autore anni ’60,’70, a volte anche anni ’80, e il pubblico che vi assiste certamente non si aspetta lo switch che avviene in notturna, quando scendendo al piano inferiore si ritroverà in un contesto che mi sento di dire non ha veramente nulla da invidiare ai club internazionali più rinomati.

Il locale ha anche una sua tessera ad hoc. Non so, è solo una percezione mia o effettivamente c’è, o quantomeno c’è stata sino ad ora, la volontà di tenere tutto un po’ super privato? 

No, no, la sensazione che hai avuto è giusta. La volontà di tenerlo riservato riflette l’esigenza di confrontarsi con il pubblico in modo diverso: infatti è nato come un club con tessera associativa annuale, ed è un luogo che vuole riunire creativi e persone che praticano gentilezza nel vivere l’esperienza artistica e i luoghi del Campo Magnetico condivisi con gli altri soci. È proprio per non rovinare la magia che il progetto non è promosso sui social tramite inserzioni, ed anzi, è persino difficile da trovare nella ricerca se non hai amicizie in comune con la pagina Instagram.

Un luogo fuori dal comune, perché oltre ad avere un’attività notturna legata alla musica dance e al clubbing al piano inferiore Campo Magnetico ospita anche eventi e talk su temi complessi, spesso ispirati alla Scienza Spirituale

Confermo. Quando ti ho contattato per chiederti questa intervista tempo fa mi hai detto che ti ricorda un po’ il defunto Vicious, il club in zona Esquilino dove per diverso tempo sei stato resident e direttore artistico.

Già, lo ricorda, perché il secondo anno al Vicious fu un anno brillante proprio come si sta rivelando questa seconda stagione a Campo Magnetico. Certo, il periodo storico dell’intrattenimento notturno in cui si colloca il Vicious è quello pre-Covid, là i primi due anni abbiamo aperto solamente il sabato in occasione del party Alchemy; Campo Magnetico invece ha una programmazione che parte dal martedì e finisce il sabato. Inoltre come già detto offre attività extra clubbing che non c’erano al Vicious ed anche il pubblico è diverso.

Il fatto che proveniate da esperienze diverse e che prima della mezzanotte Campo Magnetico sia prevalentemente un luogo dove assistere a incontri o a rassegne di cantautorato fa sì che la clientela sia veramente variegata. In generale, oltre immagino a un tuo zoccolo duro, che pubblico hai visto formarsi in quest’ultimo anno?

Un pubblico eccellente, anche perché gli associati al club, che sono ormai qualche migliaio, si autoselezionano grazie ai contenuti e all’approccio e alla filosofia del club. Il target è adulto, e proprio per questo ho avuto modo di incontrarvi persone che non vedevo da anni che ogni volta rimangono felicemente sorprese di trovarmi lì. C’è peraltro anche un mix con le nuove generazioni: perché ognuno di noi viene appunto da realtà diverse legate all’intrattenimento e quindi a Campo Magnetico sono confluite, a loro volta, tutte persone che vengono da quei rispettivi mondi, integrandosi in maniera armoniosa, bella. In due anni non ho mai visto un episodio sgradevole o qualcosa di sbagliato, e questo anche grazie alle policy dell’associazione sulla gentilezza, sull’abuso di alcol e droghe, che includono inoltre una serie di benefit di conforto quali l’acqua e la frutta, sempre gratuite, insieme a guardaroba ed etilometro.

(Claudio Fabrianesi in azione al Campo Magnetico; continua sotto)

In effetti, nome omen, è un luogo dove si respira un’energia veramente particolare di armonia e condivisione…

Già, è veramente un luogo diverso dagli altri, specialmente nel desolante panorama romano e italiano che hanno abbandonato gli investimenti di risorse e energie politiche in questo senso, e ci tengo a ribadire questa cosa: perché non significa essere polemici o critici, significa dire le cose come stanno. Campo Magnetico è un club che per quanto mi riguarda a Roma è il numero uno, e in Italia sarebbe tra i numeri uno, perché fondamentalmente i fattori per poterlo affermare ci sono. Poi però vai a leggere le classifiche di siti vari, e vedi locali di cui non hai mai sentito parlare, classifiche inventate “tanto per” o magari sponsorizzate. Noi comunque siamo sempre al centro di Roma, cioè Campo dei Fiori, a 50 metri dalla statua di Giordano Bruno, non è una cosa da poco, eh… Fondamentalmente siamo fiduciosi anche nel futuro, perché abbiamo appena iniziato. E speriamo ovviamente se ne parlerà sempre di più, anche se a differenza di altri gestori di locali non siamo certo alla ricerca di primati.

Immagino, anche perché comunque il locale è stipato di gente quindi non avete certamente bisogno di farvi pubblicità…

Assolutamente. Come dicevo non c’è alcun advertising, e nonostante questo all’ingresso si creano file di centinaia di persone, che diventano difficili da gestire nel rispetto della quiete del vicinato, un valore assoluto per Campo Magnetico, dal momento che il centro di Roma è sempre complicato.

Pensi comunque che col tempo potrebbe diventare un posto dove ospitare guest internazionali come quelli che si esibivano al Vicious? 

Privatamente e in sordina è già successo, ma l’idea è proprio quella di non unirci al calderone di eventi che vengono organizzati pensando che chiamando un artista da fuori si faccia la serata, una vecchia cattiva abitudine di Roma e dell’Italia in generale. Al momento si propende per artisti locali di qualità. Inoltre, facciamo di necessità virtù perché la capienza è limitata e il focus del locale non è solo musicale. La nostra volontà è quella di essere presenti a lungo. 

Quando ci siamo brevemente parlati qualche mese fa mi hai appunto spiegato che hai scelto la via della residency e che non avevi nessuna ansia di fare un disco per andare in tour, come accade per la maggior parte dei DJ oggi. 

Al momento preferisco concentrarmi su Campo Magnetico. Infatti mi è capitato ultimamente di dover rifiutare delle proposte perché onestamente, anche se l’ho fatto tanto e per tanto tempo, ora non è un momento in cui mi sento di voler stare lontano da casa due o tre giorni per suonare ad un evento. Non ho molta voglia di viaggiare insomma. Mi sento soddisfatto così, al momento non mi manca nulla. Quando sono a Campo Magnetico mi posso esprimere musicalmente e torno a casa sempre molto soddisfatto.

Bè, non è certo una cosa da poco.

Guarda, la verità è che non accetterei mai una residenza o un lavoro in un club se non mi sentissi a casa, perché l’aspetto umano è fondamentale. Per lavorare bene devi sentire che c’è fiducia nei tuoi confronti, e poi devi anche vedere risultati concreti nel momento in cui suoni. Se il dancefloor risponde bene vuol dire che non c’è un bluff in atto, va tutto come deve andare. È anche per questo che Marco e i ragazzi mi hanno chiamato, perché credono nel mio modo di suonare, e ne sono onorato. Lo stesso devo dire mi è successo al Pacifico, dove ho messo musica dal 2021 al 2023. Sono stati tre anni molto belli, anche se tecnicamente non si trattava di un club ma di un locale dove si cenava e dunque mettevo musica totalmente diversa da quella che seleziono ora, ma ero comunque più che felice di andare a suonare jazz, elettronica, hip hop strumentale, ambient, di tutto e di più, perché anche lì mi sentivo a casa.

L’idea è proprio quella di non unirci al calderone di eventi che vengono organizzati pensando che chiamando un artista da fuori si faccia la serata, una vecchia cattiva abitudine di Roma e dell’Italia in generale

Non hai mai smesso di suonare, ma la tua ultima pubblicazione è un disco con Filippo Brancadoro sotto lo pseudonimo Sea EF uscito con la label berlinese Faintest Inn nel 2020 e la tua ultima produzione in solitaria, “The Age”, si ferma ad una decina di anni fa. Al momento hai in programma altre uscite, in collaborazione o solo? E magari anche qualche serata extra Campo Magnetico?

Anche se non nell’immediato sì, ci saranno delle delle novità discografiche. Sto lavorando in studio con un mio amico e collega, Alessandro Tonti in arte Lestat, ad un disco di techno e ad un disco di ambient. Inoltre, parallelamente a questa collaborazione, ho in progetto di realizzare una serie di white labels editando brani più o meno famosi che mi hanno particolarmente colpito sin da quando ero adolescente, spaziando anche fra rock e pop. Sono progetti che vedranno la luce sicuramente entro fine 2026.  Sul fronte dei set invece il 6 marzo suonerò a Milano, nell’ambito di un party chiamato Decompression.

(Il lato A di “The Age”; continua sotto)

Grazie per l’anticipazione, tornando ai tuoi esordi, sappiamo che hai iniziato a suonare a 15 anni, giovanissimo, e anche che Lory D. ti ha dato fiducia ed è così che hai iniziato a fare seriamente diventando resident agli ex Magazzini , ma la mia domanda vuole ora indagare su un momento precedente: come sei arrivato a prendere la decisione di diventare DJ e ad acquistare un paio di piatti? 

Prima di rispondere ci tengo a precisare che ho iniziato nel 1993: e dobbiamo tener presente che nel 1993 non era come oggi, che ti scarichi la musica su una pennetta USB e pretendi di essere un DJ. Nel 1993 dovevi imparare a mixare i dischi. Prima di poterti esibire in un evento anche privato di amici, dovevi avere la capacità di passare da un disco a un altro senza che  il passaggio si percepisse. Quello è il lavoro del DJ. Ecco, messo in chiaro questo, posso dire che per me è stata una passione da subito grandissima. Ho comprato due giradischi Technics, un mixer a due canali e mi sono chiuso in camera. Quando tornavo da scuola o dall’università ogni occasione era buona per allenarmi e comprare dischi nuovi. Quando Lory D mi propose di lavorare con lui come resident agli ex Magazzini nel 1997 avevo solo 19 anni ma già un mio stile impostato, un mio breve ma intenso percorso da DJ che sicuramente mi ha permesso di guadagnare la fiducia di un asso come lui. Già facevo i mercoledì all’It club con la mia serata di musica sperimentale Frequency, oltre ai rave…

Ecco, pensavo proprio al periodo dei rave…

Sì, io nasco lì, ancora prima che nei club. Ho fatto il primo rave dopo circa un anno che suonavo. E prima di quell’anno, in cui mi sono allenato sui piatti di un amico prima e sui miei poi, non ho avuto la pretesa di selezionare musica, perché dovevo imparare. Che è per l’appunto il messaggio che mi preme far arrivare: imparate prima a mettere la musica, poi magari potrete esibirvi. Cosa che oggi invece non succede, perché con il digitale ormai sono tutti DJ. Confesso che a volte se devo dire che faccio il DJ mi sento quasi in difficoltà, perché è diventata una parola tra tante, se fai il DJ oggi sei uno tra tanti, no?

È un termine decisamente inflazionato…

E vorrei spiegare alla gente che c’è una bella differenza tra fare il DJ come lo faccio io rispetto a come lo fanno tanti ora. Ma non perché voglio essere presuntuoso, no: perché è un dato di fatto. Insomma, un conto è mettere i dischi, un conto è usare i giradischi come pentagrammi. È un’altra cosa. È proprio un’altra cosa costruire la musica.

Certo, senza contare il fatto che oltre a saperla mixare devi anche avere intuito nell’acquistarla e selezionarla tenendo conto del mood del dancefloor…

Sì, parte tutto da lì. Parte tutto da lì, proprio. Cioè, ti puoi comprare un disco con quattro tracce però devi mettere quella giusta al momento giusto.

Parlando appunto delle tue selezioni così curate…

Maniacali (ride, ndr)…

Decisamente, talmente ricercate che verrebbe voglia di stare lì a shazammare dall’inizio alla fine….

Ah, guarda, ci scherzi ma ormai è la normalità! Pensa che una volta c’era un ragazzo che si era incantato col telefono, ha messo il telefono sul giradischi, dopo dieci minuti gli ho detto “Scusa, ma che vuoi fare un film per tutta la serata?“. 

Posso comprendere la sua curiosità, in mezzo a classici come “Energy Flash” di Joey Beltram piazzi chicche come “A Source” di Redeye o ancora remix non conosciutissimi, penso in particolare a un rework di “The Man with the Red Face” che ti ho sentito suonare proprio a Campo Magnetico…

La versione di “The Man with the Red Face” alla quale credo tu ti riferisca è quella di Svek, la prima traccia dell’EP di remix di quel brano, che comprai ad Amsterdam nel febbraio del 2000 nell’ormai defunto Dance Tracks. Ricordo che tornai a Roma e rimasi subito affascinato da quella versione: per me molto più bella dell’originale perché, lo confesso, non amo particolarmente Garnier. Poi, beh, “A Source” di Redeye, bellissima, quello è veramente un classico per me. “Energy Flash” invece è il classico dei classici: quello è proprio il disco che mi ha fatto iniziare a fare il DJ. Lo sentii per la prima volta nel ’90, proveniva dallo stereo della macchina di alcuni ragazzi più grandi di me che stavano ascoltando una radio locale. Ero in un luogo di villeggiatura con la mia famiglia, e ricordo che rimasi letteralmente incantato, non avevo mai sentito nulla del genere in vita mia… È una traccia che tuttora suono almeno una volta al mese. E quando la suono mi rendo conto del perché “Energy Flash” è LA traccia. Perché sta sullo stesso piano di “Selected Ambient Works 85-92” di Aphex Twin. Parliamo di un livello che non si può più raggiungere ormai. Una volta che è uscita “Energy Flash” e dopo due anni “Selected Ambient Works”, sia Beltram che Aphex hanno messo due punti su cose che non sono mai state raggiunte. Poi ok, possiamo parlare di cose nuove quanto vuoi, ma a quei livelli non c’è più arrivato nessuno.

Non a caso quel brano ha dato il titolo al tomo più significativo che esista sulla rave culture, “Energy Flash” di Simon Reynolds. Ma tornando alle tue selezioni così eclettiche, volevo chiederti se vi si potrebbe individuare un fil rouge, al di là ovviamente del gusto personale, qualcosa che magari arriva da lontano…

Assolutamente. Guarda, ricordo che negli anni ’90 scrivere la parola “techno” su un flyer era quasi un suicidio: venivi subito criticato, venivi subito additato come facessi qualcosa di sbagliato perché era già in atto una fase decadente dei primi rave collegati appunto alla musica techno, che non erano quelli che facevamo noi, i cosiddetti illegal, ma erano quelli istituzionali, no? Tipo il Bresaola, il Simpson, i primi rave degli anni ’90, che poi andarono in decadenza. All’epoca i DJ suonavano o house o techno; praticamente ti dovevi schierare, o questa o quella. Io iniziai proprio con la techno, all’epoca una musica sperimentale, però a metà degli anni ’90 mi avvicinai all’house più spaziale, più sperimentale ed iniziai a fonderla con la techno nei miei set. Questa fusione fra questi due generi si può dire sia la mia prerogativa. Ed uno dei complimenti che mi fa più piacere e che mi fa anche capire che ho lavorato bene al mattino quando finisco di suonare in un club è quando le persone mi dicono “Clà, sembrava tutto un disco!”. Quando il pubblico ascolta la musica che sto selezionando e non ha la percezione dei passaggi, quella è la cosa che mi fa più piacere: perché vuol dire che allora c’è stato un filo conduttore unico.

Un bel flusso sì, è vero, una selezione intrigante di brani noti ma anche cose più oscure. Questo mi rimanda a una recente dichiarazione di Tricky, che sostiene che una volta il DJ era qualcuno con un basso profilo che ti introduceva a nuova musica, musica bella e poco conosciuta, che non avevi mai sentito prima, mentre ora c’è un proliferare di DJ superstar che suonano musica commerciale mentre assumono quella che lui chiama la “Christ pose” e non si curano di nient’altro se non di apparire…

Premesso che l’opinione di Tricky non mi interessa granché in quanto non sono un suo grande fan, personalmente sono ancora un DJ che propone una selezione originale e quando metto certi dischi vedo proprio una reazione stupita nel pubblico che non ha mai ascoltato prima quei brani. Quello è ancora il mio lavoro. Poi sono d’accordo, è vero, c’è un’escalation di DJ che stanno in posa e soprattutto di DJ donne che girano il mondo e ti domandi perché, dal momento in cui non senti assolutamente niente di speciale nei loro set. La verità è che girano il mondo perché hanno manager bravi che le vendono come prodotti, ma poi in realtà dietro non c’è il minimo spessore musicale, non ci vedo degli artisti.

Stai pensando a qualcuna in particolare?

Mah, più di una e più di uno, però se ti faccio i nomi facciamo scoppiare la  guerra mondiale. Resta che ci sono veramente delle DJ inette che purtroppo girano il mondo. Cioè, contento per loro ma ovviamente quando le ascolti poi ti domandi: ma perché hai iniziato a fare la DJ?

Bè, però convieni che questa non sia una prerogativa esclusivamente femminile…

Sì, certo, non è un fatto di genere, però è anche buonismo non criticare le donne solo perché sono donne. Ci vuole un po’ di onestà. Poi ovvio che ci sono anche brave DJ, così come bravi DJ, però per la maggior parte, come dice Tricky, non è più come una volta, oggi non è più così, assolutamente. 

Quando il pubblico ascolta la musica che sto selezionando e non ha la percezione dei passaggi, quella è la cosa che mi fa più piacere: perché vuol dire che allora c’è stato un filo conduttore unico

C’è chi come Scuba si è provocatoriamente spinto fino a chiedersi se per i DJ l’aspetto fisico sia, come dire, inversamente proporzionale alla qualità delle selezioni musicali…

Boh, non lo so, sai, se stiamo a guardare tutte le affermazioni… Io penso che contino i fatti, le chiacchiere stanno a zero. Cioè, io non è che ho la pretesa di prendere un aereo e andare a suonare per farmi la foto a Miami; però faccio il DJ come ho sempre fatto, non è cambiato una virgola, e tutte le settimane sono in un club, è il mio lavoro, senza fronzoli. Certo, dovessi pubblicare ogni settimana delle foto o dei video intaserei il web, però non lo faccio. E questo proprio perché ho suonato, chi c’era, c’era, chi non c’era amen, non è che poi mi metto a fare il DJ sui social. Ogni tanto posso pubblicare qualcosa, ma non è nel mio stile, non è proprio mia abitudine.

Certo dall’avvento dei social in poi c’è stato anche un grosso mutamento nelle strategie promozionali, ma comprendo. E, a proposito di mutamenti: sei protagonista della scena del clubbing romano da ormai tre decenni, avrai assistito immagino a notevoli trasformazioni. Qual è attualmente lo stato dell’arte di quel movimento musicale apprezzato dai maestri del deejaying di tutto il mondo?

Onestamente non sono molto interessato a quello che fanno gli altri, perché tanto come dicevo poco fa è sempre un copia-incolla, è sempre qualcosa che manca di originalità e personalità. La situazione dopo il Covid è peggiorata. Roma è una delle città più arretrate in termini di cultura e di intrattenimento notturno. Poi ci consoliamo con altre eccellenze, certo, abbiamo tante altre cose che nel resto del mondo ci invidiano; ma, per quanto riguarda l’intrattenimento notturno, c’è assolutamente un vuoto. Anche per questo Campo Magnetico è stato accolto con grande entusiasmo: perché abbiamo dato un’offerta che mancava e di cui la gente sentiva la necessità. Un club così e in pieno centro di Roma non c’era, e le persone ne sentivano il bisogno. La situazione, lo ribadisco, è desolante, anche a livello istituzionale. Se guardi quello che è successo con il concertone di Capodanno: il Comune di Roma, che è un Comune di ridicoli, ha invitato prima Tony Effe a suonare, poi c’è stata una mozione della Lega di Roma e allora subito hanno fatto marcia indietro, e questo ti fa capire che proprio non ci sono le basi… Non è che quegli artisti sono stati chiamati a suonare perché il Comune di Roma credeva in loro, no, sono stati chiamati per dinamiche di business, di risonanza, di cose che hanno a che fare più con la politica che con la musica.

Già, persino Avvenire ha scagionato Tony Effe e puntato il dito contro il Comune di Roma

Se vedi la line up che hanno messo insieme dopo, hanno messo in cartellone Boy George con P.F.M. e con Gabri Ponte, ci mancava solamente Fiorello per fare bingo, una cosa imbarazzante. Proprio della serie ‘Diamo il contentino al popolino’, davvero mi stupisco della gente che ci è andata.

Il festival più prestigioso dove ho suonato in vita mia è Dissonanze

Dalla tua ultima intervista su Soundwall, fra le tante cose, nel 2017 sei stato anche chiamato a suonare al Labyrinth Festival in Giappone. Che ricordi hai di quell’esperienza? 

Un ricordo bellissimo, anche perché era la prima volta che andavo in Giappone. Ero in cartellone il primo giorno di festival, dalle nove del mattino all’una, nella foresta di Naeba. Ricordo che alle dieci del mattino arrivò un tifone e nonostante ciò continuai a suonare, mentre i tecnici passavano lo scotch ovunque. Fu un’esperienza particolarmente emozionante. Alle nove misi il primo disco di musica ambient, ricordo anche il titolo, iniziai con Midori Takada, “Through the Looking Glass”; subito iniziarono ad arrivare le prime persone appena svegliatesi, e in particolare i bambini che avevano dormito nel camping con i genitori, che si misero in qualche modo a ballare sulla musica ambient. È stato veramente bello. Però ci tengo a dire che non lo considero il festival o l’evento internazionale più prestigioso dove ho suonato: perché sarebbe una falsità. Il festival più prestigioso dove ho suonato in vita mia è Dissonanze. 

Bè, parliamo davvero di un’eccellenza di casa nostra…

Già. Ci suonai nel 2007, un anno dopo l’edizione che gli diede l’impennata e lo fece diventare un festival conosciuto in tutto il mondo. E onore a Giorgio (Mortari, ndr), che non c’è più, che era un vero direttore artistico, uno che non seguiva le proposte delle agenzie di booking, come fanno tutti in Italia come un gregge di pecore. E qui ci ricolleghiamo a quello di cui parlavamo prima, appunto, di tendenze internazionali invertite: Giorgio era uno che chiamava gli artisti a prescindere dalle agenzie che gli facevano pressing “Fai suonare pure questo o fai suonare quest’altro“. Giorgio con undici edizioni di Dissonanze ha portato Roma in alto in tutto il mondo. Un festival come quello non ci sarà mai più. Quello è il primo festival che considero realmente prestigioso nella mia carriera. Il Dissonanze, non ce n’è proprio per gli altri. Guardare oggi le line up di quel festival è una cosa sconvolgente. Non solo l’edizione alla quale ho partecipato ma anche le edizioni precedenti e le due successive furono pazzesche. E questo perché rispecchiavano i gusti e la cultura musicale di Giorgio, che era veramente un intenditore.

(In effetti, come dare torto a Claudio; continua sotto)

So che hai suonato gomito a gomito con numerosi maestri internazionali. Tra gli highlight del tuo percorso immagino ci sarà stato anche il tuo incontro con Jeff Mills. Sul tuo profilo FB campeggia una bellissima foto che ritrae quel momento. Che serata è stata?

Ho avuto l’onore di suonare con Jeff Mills due volte: la prima abbiamo condiviso la console al Nevalon Festival nell’antica fortezza medievale di Montalcino in Toscana, la seconda fu al Goa Club Festival, dove venne scattata quella foto. Devo confessare che per quanto io sia suo fan e ammiratore, sinceramente suonai con un Jeff Mills che non era proprio quello dei tempi andati. Non rimasi particolarmente colpito da lui quella sera. La prima volta addirittura, storia rimasta leggendaria negli annali del Nevalon, gli tirarono un cubetto di ghiaccio e abbandonò il palco. Poi provò a tornare proponendo un back to back, ma io stavo già suonando e non se ne fece nulla. Se devo essere sincero i suoi dischi usciti negli ultimi anni non è che mi facciano impazzire: sento sempre un po’ lo stesso suono, nessuna evoluzione. Questo per dire che bisogna anche smetterla di osannare dei nomi solo perché sono quei nomi.

Hai parlato di suono, però pensando a Mills dal vivo, a livello di tecnica, immagino non ci sia molto da eccepire…

Jeff Mills è sempre Jeff Mills, certo. Però ecco, in generale, ormai la selezione musicale per me viene prima della tecnica. È fondamentale. Assolutamente bisogna mettere bella la musica. Se non c’è il disco buono, il disco giusto, bè, il pubblico non è stupido, lo capisce. Se la musica non gli piace, se ne va, no?

Chiaro.

Si chiama mestiere.

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