La mezza retromarcia della Casa bianca sul piano di Trump a Gaza: “Nessun impegno ufficiale”
Donald Trump non ha assunto “impegni ufficiali” sul cosiddetto piano “Riviera” per il dopoguerra nella Striscia di Gaza, che prevede il controllo del territorio costiero da parte degli Usa per farne la “Costa Azzurra del Medio Oriente”, dopo aver espulso la popolazione palestinese. La retromarcia sull’iniziativa annunciata dallo stesso presidente degli Stati Uniti durante la […]
Donald Trump non ha assunto “impegni ufficiali” sul cosiddetto piano “Riviera” per il dopoguerra nella Striscia di Gaza, che prevede il controllo del territorio costiero da parte degli Usa per farne la “Costa Azzurra del Medio Oriente”, dopo aver espulso la popolazione palestinese.
La retromarcia sull’iniziativa annunciata dallo stesso presidente degli Stati Uniti durante la visita alla Casa bianca del premier israeliano Benjamin Netanyahu arriva dalla portavoce dell’amministrazione, Karoline Leavitt, che in una conferenza stampa tenuta nella notte italiana ha fatto una serie di precisazioni, soprattutto in merito ai costi dell’operazione.
La mezza retromarcia della Casa bianca
“Vogliamo ricostruire Gaza per i palestinesi e per le altre persone nella regione che vogliono la pace e lo sviluppo economico, in modo che sia un posto dove sarà possibile vivere in pace”, ha spiegato Leavitt. “Ma i contribuenti americani non pagheranno per la ricostruzione di Gaza”, ha quindi precisato la portavoce di Trump, secondo cui l’espulsione dei palestinesi dalla Striscia sarà solo “temporanea”. “Al momento Gaza non è abitabile”, ha ricordato Leavitt. “È un cumulo di macerie senza acqua corrente né elettricità”. Trump poi, ha proseguito la sua portavoce, non ha assunto “impegni ufficiali” sullo schieramento di truppe statunitensi nella Striscia. Dichiarazioni che contraddicono le stesse parole pronunciate dall’inquilino della Casa bianca.
Se, durante la conferenza stampa congiunta con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, Trump non si era pronunciato su chi avrebbe pagato i costi della ricostruzione a Gaza, il magnate era stato molto chiaro sul destino riservato dal suo piano alla popolazione palestinese. “Non credo che la popolazione (palestinese, ndr) dovrebbe tornare a Gaza”, aveva detto il presidente Usa, secondo cui agli attuali abitanti bisognerà offrire invece un “pezzo di terra buono, fresco e bello” altrove. “Gaza non è un posto in cui la gente dovrebbe vivere, e l’unica ragione per cui vogliono tornare, e ci credo fermamente, è perché non hanno alternative”. Lo stesso tycoon d’altronde aveva parlato di una “proprietà a lungo termine” da parte degli Usa del territorio costiero. A domanda diretta poi, Trump non aveva nemmeno escluso l’invio di soldati americani a Gaza. “Faremo ciò che è necessario”, aveva risposto.
Un piano a sorpresa
Eppure le precisazioni della portavoce della Casa bianca Karoline Leavitt non sono le uniche a smentire, parzialmente, il piano di Trump per Gaza, la cui serietà è stata messa in dubbio da più parti. Malgrado il magnate abbia letto il progetto in diretta televisiva mondiale da un foglio, l’iniziativa non sembra sia stata ponderata a fondo dall’amministrazione americana.
Fonti interne al governo Usa hanno rivelato al quotidiano New York Times e all’emittente televisiva Cnn che l’idea del presidente non è mai stata discussa negli incontri con i funzionari del dipartimento di Stato o del Pentagono né da alcun gruppo di lavoro prima della conferenza stampa con Netanyahu. Il dipartimento della Difesa, secondo il New York Times, non ha mai valutato l’eventuale numero di truppe da schierare nella Striscia né i costi di una tale operazione. “È poco più di un’idea nella testa del presidente”, ha fatto sapere al quotidiano americano una fonte dell’amministrazione, secondo cui non sarebbe mai stata prodotta alcuna valutazione di fattibilità dell’iniziativa da parte di alcun organo del governo federale.
Inoltre, secondo la Cnn, lo stesso segretario di Stato Marco Rubio, che allora si trovava in visita ufficiale in Guatemala, avrebbe sentito l’idea per la prima volta guardando la conferenza stampa congiunta di Trump e Netanyahu in diretta tv. Non solo: secondo le fonti citate dal quotidiano newyorkese, l’annuncio del presidente ha sorpreso anche il primo ministro israeliano, che sarebbe stato avvisato dallo stesso tycoon soltanto poco prima di presentarsi insieme davanti ai giornalisti. Una versione quantomeno credibile, a giudicare dalle parole dello stesso segretario di Stato americano, che dopo l’annuncio ha rivelato sui social di essere sempre rimasto in collegamento telefonico con Trump durante i suoi incontri con i rappresentanti israeliani, “ascoltando ogni singola parola”.
Questo non vuol dire che Trump non l’abbia approfondita ma che dovrebbe averlo fatto al di fuori dei tradizionali canali dell’amministrazione statunitense. Secondo il New York Times, il presidente avrebbe parlato del suo piano per Gaza per settimane, in privato. Qualcuno dei presenti però ha assicurato alla Cnn che tali discussioni non sono avvenute nemmeno negli incontri riservati che il magnate ha tenuto con i membri repubblicani dei comitati per le forze armate.
“Il presidente ha detto che stava parlando di questa idea da un po’ di tempo”, ha precisato la sua portavoce Leavitt nella conferenza stampa di ieri, ma “il piano è stato scritto nel discorso del presidente ieri sera (martedì, nella notte italiana, ndr), quando lo ha rivelato al mondo”.
Gli unici a conoscenza dell’iniziativa, secondo una fonte interna all’amministrazione citata dalla Cnn, erano il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e il suo inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, l’unico funzionario statunitense ad aver visitato Gaza (la scorsa settimana) negli ultimi anni.
“Gli edifici che potrebbero crollare da un momento all’altro. Non ci sono servizi di alcun tipo, niente acqua, elettricità, gas, niente. Dio solo sa che tipo di malattie potrebbero scoppiare”, aveva spiegato Witkoff alla stampa dopo l’annuncio di Trump. “Quindi quando il presidente parla di ripulirla, parla di renderla abitabile. E questo è un piano a lungo termine”.
“Abbiamo esaminato la cosa nelle ultime settimane e mesi e, francamente, lui ci sta pensando dal 7 ottobre”, ha invece precisato ieri Waltz in un’intervista all’emittente Cbs. “Non vede soluzioni realistiche su come verranno rimosse quelle miglia e miglia e miglia di detriti”, ha poi aggiunto il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense. “Il fatto che nessuno abbia una soluzione realistica e che lui metta sul tavolo idee nuove, audaci e fresche, non credo debba essere criticato in alcun modo. Penso che porterà l’intera regione a proporre le proprie soluzioni se quelle di Trump non piacciono”.
Insomma, una proposta provocatoria più che un piano ponderato ma che finora non ha portato a soluzioni alternative, alimentando solo la tensione e spaventando due milioni di palestinesi Gazawi che intravedono l’incubo di una seconda Nakba dopo quella del 1948.