La fine del neoliberalismo progressista?

Dobbiamo rimanere saldi, in piedi, sul bus della storia, perché i posti della ragione e del torto sono tutti occupati. Potremmo così riassumere la postura che ancora una volta dovremmo […]

Jan 22, 2025 - 15:50
 0
La fine del neoliberalismo progressista?

Dobbiamo rimanere saldi, in piedi, sul bus della storia, perché i posti della ragione e del torto sono tutti occupati. Potremmo così riassumere la postura che ancora una volta dovremmo assumere, noi, come Fionda, ma in generale noi come quell’insieme dei cittadini che lotta per una democrazia compiuta, concreta, sociale.

Rimanere in piedi saldi, non significa non voler vedere le trasformazioni che sono in atto, e la riconfigurazione politica che in qualche modo porta a compimento il passato decennio populista, non sappiamo con quale durata, ma per la prima volta, con un progetto inedito. Non possiamo non vedere come ci sia nella nuova alleanza fra poteri economici e politici di questo nuovo governo Trump un salto di qualità rispetto a quello del 2016. L’alleanza con Musk e con le élites economiche dei settori più avanzati del capitalismo americano e l’obbiettivo ora raggiungibile di occupazione degli apparati militari e burocratici segna uno scarto in primo luogo in termini di capacità di produrre una trasformazione concreta: non più, come nel 2016, un populismo di destra “al” potere, ma una nuova idea concreta che diviene “il” potere. Questo non significa che non rimangano resistenze in vari settori dell’apparato militare, burocratico ed economico-finanziario, ma possiamo dire – o così ci sembra ad oggi – che Trump abbia la possibilità di produrre un riassetto egemonico integrale. In secondo luogo, e questo è il necessario complemento agli aspetti più “strutturali”, Trump pur mantenendo elementi genericamente ascrivibili ad un’ideologia di destra conservatrice con tratti populisti, in realtà con questa alleanza, è riuscito a creare un discorso nuovo, non proiettato più solo verso il ritorno al glorioso passato, ma con una idea di futuro: la colonizzazione di Marte rappresenta questo rinnovato desiderio di potenza, mediato dalla fantasia dei miliardari. Ciò che rende inedito tale nuova articolazione egemonica è proprio l’aver perfezionato questo dispositivo del desiderio: non si va a muovere solo la nostalgia, passione ambigua, ma anche un potente desiderio di godimento proiettato verso un avvenire glorioso. In questo senso Musk era ciò che serviva a Trump per fare il salto in avanti. Questo non significa – è bene precisarlo ancora –  che necessariamente questo esperimento sia destinato ad avere successo, ma che ha fatto un salto di qualità che gli permette di averlo.

Sembra che così siano finiti i tempi di quello che per anni abbiamo combattuto come il neoliberalismo progressista. E questo implica in termini strategici una riflessione. Sì, perché di fatto chi ha sconfitto il neoliberalismo progressista non è stata un’opzione emancipativa, popolare, sociale di qualsiasi tipo, ma una destra che sembra voglia superare entrambi i termini ma per riaffermare insieme un nuovo dominio del capitalismo finanziario su base nazionale, il controllo imperiale statunitense, anche se ridefinito su altri obbiettivi rispetto alla stagione dei guerrafondai democratici, il tutto in un’ottica culturalmente conservatrice e politicamente autoritaria. Chi oggi in qualche modo gioisce della fine della stagione del neoliberalismo progressista con tutte le sue derive culturali, sta scambiando una sconfitta con una vittoria, a meno che l’obbiettivo non fosse, come legittimamente è stato per parte della destra, quello di governare questa transizione egemonica in senso regressivo. Per chi invece si riconosce in una visione politica radicalmente democratica, popolare e sociale, questa trasformazione non può in nessun modo essere considerata una propria vittoria, o un processo che possa tatticamente avvantaggiare tale prospettiva. A meno che non si consideri l’attesa fine del wokismo e la relativa trasformazione culturale come la propria grande vittoria, nell’illusione che il nesso fra neoliberalismo e progressismo fosse un nesso strutturale, che eliminato uno si elimini l’altro. Questa fantasia che ha conquistato parte della sinistra si è ubriacata di un essenzialismo uguale e contrario a quello di chi a sinistra non ha saputo riconoscere il neoliberalismo progressista perché pensava ancora nei termini di un nesso necessario fra conservatorismo culturale e capitalismo, non comprendendo la svolta neoliberale.

Del resto, questo tipo di discorso sta riemergendo diffusamente a sinistra. È gioco facile oggi mostrare come finanz-capitalismo e un particolare conservatorismo (in realtà con tratti futuristici) abbiamo ricomposto un nuovo assetto per governare in forme sempre più autoritarie la galoppante crisi dell’occidente. Ma è altrettanto facile – e questo è un rischio che non ci possiamo permettere – finire a pensare che intorno a quello stesso blocco politico che ha aperto la strada a questo cambio di paradigma, lasciando le masse popolari stabilmente nelle mani delle destre, oggi possa rinascere una sinistra blandamente più sociale e a difesa della democrazia contro i rischi autoritari del trumpismo. Questo slancio a ricomporre un fronte antifascista fintamente socialdemocratico è già realtà ed è il tentativo disperato di settori delle élites politiche e culturali del neoliberalismo progressista di continuare a galleggiare sulla marea nera che li ha investiti. Per fare un esempio, e riprendere un aspetto che abbiamo menzionato, così come una certa tendenza reazionaria scambia la fine del wokismo con la fine del neoliberalismo, dall’altro lato c’è chi pensa che si possa rilanciare una nuova sinistra sulla rivendicazione del wokismo in crisi, a partire dal fatto che la critica del wokismo di destra che ha trionfato, ha buttato via il bambino (emancipazione in senso ampio) con l’acqua sporca (deriva linguistica, settarismo, moralismo ecc…). Come se il wokismo fosse stato qualcosa di più che la cortina ideologica del neoliberalismo che ha reso un cattivissimo servizio a quelle stesse battaglie che voleva sostenere.

In questa riconfigurazione dei due campi il nostro compito, come sempre, è quello dell’autonomia da entrambe le derive: non abbiamo vinto con Trump come non avremmo vinto con Harris, non abbiamo vinto con Meloni come non vinceremo con Schlein. Ancora una volta tanto la parte della ragione quanto quella del torto è occupata e non potremo che continuare ancora a rimanere in piedi, saldamente ancorati alle nostre ragioni, alle nostre analisi, cercando di comprendere i tempi che verranno.

What's Your Reaction?

like

dislike

love

funny

angry

sad

wow