“Eroi nel vento”: viaggio alle origini dei Litfiba, quando Firenze era la capitale della new wave italiana. L’estratto in esclusiva
A quattro decenni esatti di distanza, esce nelle librerie per Aliberti editore "Eroi nel vento. Quarant’anni di Desaparecido dei Litfiba", firmato dal giornalista musicale Donato Zoppo e con la prefazione di Roberto Mancinelli L'articolo “Eroi nel vento”: viaggio alle origini dei Litfiba, quando Firenze era la capitale della new wave italiana. L’estratto in esclusiva proviene da Il Fatto Quotidiano.
C’è stato un tempo in cui Firenze ha avuto anche un “rinascimento rock”. È stato qualche decennio fa: attorno al 1985, per la precisione. Negli anni Ottanta, Firenze si rivelò una città vitale e pullulante di stimoli, di connessioni artistiche, di inventiva e creatività sviluppate nell’underground delle cantine.
In quell’humus nacque, fra le tante cose, il disco più importante della new wave italiana: il debutto di quella che sarebbe diventata la più importante rock band della scena nazionale. Parliamo dei Litfiba e del loro LP Desaparecido.
“Una onda nuova di suoni, ambizioni, tematiche, orizzonti, che cambia il volto della musica nostrana” è stato definito quel disco, dove comparivano tracce come Eroi nel vento, Istanbul, Desaparecido, Pioggia di luce, La preda, Guerra. A quattro decenni esatti di distanza, esce nelle librerie per Aliberti editore “Eroi nel vento. Quarant’anni di Desaparecido dei Litfiba”, firmato dal giornalista musicale Donato Zoppo e con la prefazione di Roberto Mancinelli. È il racconto appassionato del percorso che ha portato i Litfiba da un’oscura e striminzita cantina in Via de’ Bardi ai grandi palchi nazionali ed europei.
Primo atto della “Trilogia del Potere”, tre dischi che i Litfiba dedicarono coraggiosamente ai temi del totalitarismo, della guerra, della dittatura e dell’antimilitarismo, Desaparecido viene rievocato nel libro attraverso la voce dei protagonisti, che raccontano la loro esperienza dentro e fuori lo studio di incisione, ricostruendo il background musicale e non solo dell’epoca. Piero Pelù, Ghigo Renzulli, Antonio Aiazzi, Bruno Casini, Federico Fiumani, Federico Guglielmi, Francesco Magnelli, Gianni Maroccolo, Alberto Pirelli, Alessandro Querci, Sergio Salaorni. Insomma, un bel ritratto di famiglia del rock italiano, e di tempi che sembrano davvero molto lontani dal paesaggio attuale della musica italiana. E non solo della musica.
Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto del libro:
È Piero Pelù, il loro cantante, uomo-immagine, autore dei testi. Tra una ventina di giorni, il 10 febbraio 1985, compirà ventitré anni. Acquario ascendente acquario, nomade e perennemente insonne. Non serve aggiungere altro.
Nerovestito tutto, lungo soprabito sottile che sembra un mantello, chepì da barricata calato sulla testa con due nastri ai lati, pantaloni neri attillati e stivaloni non molto adatti a una bicicletta mattutina, Piero è partito da Viale Milton, torrente Mugnone alle spalle, direzione Fortezza da Basso e Santa Maria Novella, destinazione cantina. Da cinque anni Oltrarno non ha segreti per lui, prima bazzicava prevalentemente Ponte Rosso, Piazza Libertà, l’area del suo gruppo giovanile, di tanto in tanto andava verso Ponte Vecchio dal Fulgenzi a curiosare tra chincaglierie freak, da Contempo a caccia di vinili, nella lussuriosa zona franca del Banana Moon a Borgo degli Albizi. I genitori lo vorrebbero tanto interdire, pur di non saperlo più in quel bazar di musica e gente diversa.
Ha passato parte della notte nella sua camera oscura, non uno studio fotografico ma un reliquiario dark. C’è un po’ di tutto lì, dal radiolone valvolare che cavalca l’onda araba di Radio Tirana e Radio Istanbul e le guerre nascoste tra i versanti orientali, alla tenebrosa schiera di cimeli esoterici. Una volta un conte gli ha ceduto uno scrigno di rosari, croci, teche con immagini sacre, polittici con madonnine, santi e salvatori che, circondate da candele e teschi, ha usato per decorare le sue segrete. C’è anche un letto a baldacchino sopraelevato di ignota provenienza, ideale per rendez-vous amorosi in alta quota.
Concerti, dischi, teatro, sfilate, mimi, magia, studi artistici, esplorazioni interiori, viaggi oscuri tra cimiteri, montagne sacre, antiche case funeree, campi rom e devozione a Santa Sarah. Le notti fiorentine di Piero non si contano, sono diventate una, larga e pulsante, senza albe né tramonti, intermittenze ribelli partite nel settembre 1979 con Patti Smith allo Stadio Comunale, poi Iggy Pop, Lou Reed alle Cascine e lì anche Peter Gabriel aperto dai Simple Minds, e i Clash l’anno dopo, eventi di svolta per larga parte di quella generazione.
Generazione è un termine a lui caro, emerge in ogni suo testo tra conflitti con famiglia e istituzioni, scoperte di culture alternative, ricordi trasfigurati di racconti bellici. Tutto alimenta la sua poetica oppositiva, nella quale è centrale il rifiuto delle armi e della violenza in una chiave simbolista, dalle reminiscenze ancestrali. La guerra è al centro. Polemos padre di tutte le cose. Piero percepisce che senza guerra non c’è sé, ha bisogno di un nemico da combattere per definirsi, per darsi un nome che sia suo. Se ne sta dando molti, il giovane Pelù. Dopo l’imprinting con i suoi album di formazione Paranoid dei Black Sabbath e il Revolver beatlesiano, scopre il punk a Londra e a Parigi ma nonostante la delusione di quel contatto ravvicinato gli resta dentro il piglio riottoso dei Sex Pistols. Diventa Pierotten. A quel soprannome autoattribuito ne seguiranno altri: Sordido, Peter Punk, Tradimento, Piotre degli Urali, Piotre, Brado. […]
«Avevo un’anima poliedrica, un’anima rock tra punk, psichedelia ed etnico. Ero depresso e lo sono ancora! Già prima dei Litfiba venivo fuori da un periodo depressivo della post adolescenza perché ero in rottura con la famiglia, che aveva delle aspettative su di me, ero pieno di depressione e di rabbia che ho tradotto in forma positiva nella musica. Ho avuto una formazione disordinata ma ricca, tra l’ironia di Enzo Jannacci e lo spirito corrosivo di Edoardo Bennato, i Black Sabbath di Paranoid, i Beatles di Revolver ma anche i dischi di Louis Armstrong e Musorgskij di mio nonno, poi il punk scoperto nel 1977 grazie a “Odeon”, Sex Pistols, Clash, Ramones, e più avanti Stranglers, Bauhaus e Tuxedomoon». […]
Il 1984 è l’anno di svolta. Esce l’ep Yassassin, la rivisitazione del pezzo di David Bowie tratto da Lodger, con l’aggiunta di Elettrica danza, in ricordo di notti parigine e amori maledetti. A seguire Catalogue Issue con Diaframma, Moda e Underground Life, il disco che presenta la nuova etichetta ira – si comincia a parlare di “nuova musica italiana cantata in italiano”. E per quanto riguarda il versante concerti, in giugno i Litfiba tengono un’importante data berlinese al Loft-Metropol. A Berlino, come in Jugoslavia, hanno al seguito un vecchio amico di Piero. È un giovane regista, sta per diplomarsi all’Istituto di Scienze Cinematografiche di Firenze e fa un po’ di gavetta filmando i concerti: si chiama Corso Salani1. Resta colpito dalla versione live di Guerra, presentata come Der Krieg, così propone un video che userà come saggio d’esame finale. Tornati in Italia, Piero, Ringo e altri tre attori vestiti da soldati partecipano alla breve clip: la Guerra del video ha qualcosa di nuovo, tornerà utile presto. Dal concerto al Loft sarà tratta anche una cassetta intitolata Live in Berlin: sarà stampata nel 1985 in un centinaio di copie, con un affilatissimo stiletto in copertina, lama a doppio taglio: un’immagine forte da uno dei brani di punta, La preda.
Piero sente che un contributo alla maturazione del gruppo proviene anche dalla sua crescita personale. Alla fine di ogni concerto, anche quello nel posto più scalcagnato, anche quello più rabbioso, vissuto come se fosse l’ultimo, gran parte degli apprezzamenti è rivolta a lui. Le lezioni di avviamento all’espressione con il grande Orazio Costa, la curiosità per il teatro butō giapponese, il lavoro per sopperire ai limiti vocali con una corporeità magnetica e un’interpretazione mimica trovano finalmente la quadratura. Un cantante può fare la differenza, soprattutto quando è un canale di energia febbrile come lui, quando raddrizza la voce nonostante si muova da burattino attraversato da scariche, manichino epilettico tra Ian Curtis e David Byrne, rettile dark alla Peter Murphy, gotico altero primitivo alla Gavin Friday. Ma nessuno di loro ha costruito una bara da portare sul palco.
E dire che Piero, cinque anni prima, era entrato nei Litfiba con difficoltà. La sua vocalità era poco persuasiva, anche Oderso Rubini della Italian Records interpellato dal Renzulli si era espresso in tal senso. Ma Aiazzi aveva insistito, consapevole delle potenzialità che Piero avrebbe potuto esprimere in prospettiva. D’altronde era stato proprio il Marchese a segnalare ai compagni Piero, conosciuto come sgradito ospite a una sua festa: gli aveva quasi sfasciato casa, e per lasciare un ultimo segno aveva scritto sui muri «Punks Not Dead». […]
«La cantina era umida e fumosa, all’interno di un palazzo medievale a pochi passi dall’Arno, e nonostante fossimo tutti depressi e incazzati poiché non arrivavano risultati, c’era un clima molto rilassato. Con il tempo si sono accumulate tensioni che poi esplosero con la separazione da Gianni e Antonio. Eravamo una band estremamente eterogenea, nessuno di noi aveva convissuto con gli altri fatta eccezione per una frequentazione mia con Antonio e Mario Massa della Contempo, inoltre venivamo da mondi diversi e avevamo età diverse, ma la creazione musicale risentiva molto di questo e fu un periodo magico. Dal tour francese del 1983 fino al 1988 furono anni davvero magici».
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