Spianando la strada dal garage al venture
Che caratteristiche deve avere una startup per farsi notare dal venture capital? E quali passi deve compiere? L'abbiamo chiesto ad Andrea Di Camillo, founder di P101, che gestisce asset per circa 500 milioni di euro L'articolo Spianando la strada dal garage al venture proviene da Economy Magazine.
Provate a chiedere a qualunque delle circa 13mila startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese quale sia il loro core business: vi racconteranno con enfasi la loro idea, aggiungendo: «Siamo gli unici a farlo». Sarà pure vero, ma c’è una cosa che, invece, fanno tutte le startup: andare a caccia di finanza. Un’impresa nell’impresa. Ma che caratteristiche deve avere una startup per raccogliere fondi dal venture capital? «Deve saper rispondere a una domanda fondamentale: cosa rende la startup diversa da quelle già presenti sul mercato?», risponde a Economy Andrea Di Camillo. founder di P101, che gestisce asset per circa 500 milioni di euro attraverso ci17que fondi, tra cui il primo veicolo di investimento retail destinato al venture capital sviluppato in collaborazione con il Gruppo Azimut. Nei portafogli dei fondi gestiti da voi si contano oggi oltre 30 società partecipate, tra cui Habyt, Milkman, 100farmacie, Soplaya, Cyber Guru, Unguess. E tra gli investitori dei fondi vi sono realtà quali Azimut, Cdp, European Investment Fund, Fondo Pensione Bcc, Unicredit, Cassa Forense e altri investitori istituzionali, oltre ad alcune tra le principali famiglie imprenditoriali italiane.
In oltre 10 anni avete a portato a termine oltre 260 investimenti in più di 50 società che nel 2023 hanno generato circa 1,7 miliardi di euro di fatturato impiegando oltre 5.000 persone. Ma torniamo alla domanda chiave: cosa serve a una startup per farsi notare da voi?
Serve un business plan solido che chiarisca elementi cruciali per la nostra valutazione come l’analisi del mercato di riferimento, il problema che si vuole risolvere, come lo si vuole risolvere, la scalabilità del prodotto o servizio offerto su mercati internazionali, oltre a risultati finanziari già conseguiti o previsti. Tutto questo deve essere guidato ed eseguito da un team di alto livello: se le startup cercano capitale, i Venture Capital cercano capitale umano, convinti che, oltre all’idea di business, siano le persone a determinare il successo o il fallimento di un’azienda. Un imprenditore che, oltre a un solido business plan, presenta un team di qualità parte con un significativo vantaggio.
Ma immagino non basti…
La start up deve, inoltre, aver raggiunto una certa fase di sviluppo per poter accedere almeno a fondi Seed. Un errore comune è approcciare il VC troppo presto. Consiglio agli imprenditori di studiare bene i possibili investitori e muoversi di conseguenza, selezionando quelli adatti a supportarli non solo nella fase di sviluppo in cui si trovano, ma anche nel business specifico in cui operano: alcuni investitori, meglio di altri, possono offrire opportunità per accelerare l’evoluzione di una certa startup. Infine, serve la giusta “chimica”. Quello con gli investitori è un rapporto duraturo nel tempo, un percorso comune che può durare anche 10 anni. Serve quindi una certa predisposizione all’ascolto e al confronto perché il VC non è solo un partner finanziario, ma anche di business. In P101, per esempio, supportiamo le startup a livello strategico e operativo, accompagnandole anche nei processi di internazionalizzazione con il nostro team, con i nostri partner globali e con i nostri operation advisor, manager di grande esperienza in specifici settori.
E come dovrebbe approcciare una startup il venture capital, in generale?
Con preparazione, strategia e una comprensione profonda di ciò che gli investitori cercano. Come detto, occorre prepararsi adeguatamente con un business plan efficace e fare ricerche approfondite prima di contattare possibili investitori. Ma serve anche ricordare che i capitali investiti vanno non solo restituiti, ma idealmente devono generare un rendimento che diventa impossibile se le valutazioni iniziali sono eccessive. La fase iniziale di negoziazione dell’investimento è sempre complessa, ma una valutazione corretta, con numeri razionali e ragionevolmente interessanti per entrambe le parti, è il primo passo di un percorso virtuoso di crescita di lungo periodo che vedrà investitori e imprenditori allineati sugli obiettivi, senza contrapposizioni.
Insomma non ci sono scorciatoie.
Avere fretta, bruciare le tappe, giungere impreparati agli incontri con gli investitori, avere un approccio non aperto all’ascolto e al confronto costruttivo – così come l’incapacità di reagire alle critiche o ai cambiamenti del mercato – sono dei fattori che garantiscono il fallimento di un’iniziativa imprenditoriale. Quanto all’approccio per avviare un dialogo, il più semplice è passare attraverso i canali ufficiali, passando da social, sito, mail. Ma serve sapersi distinguere comunicando con efficacia: in P101 riceviamo almeno 1.000 proposte ogni anno. Coltivare le relazioni quindi può aiutare a farsi notare: il venture capital è un settore relativamente giovane e ristretto che offre però tante occasioni di networking.
E P101 che startup cerca?
Oggi siamo particolarmente focalizzati sul B2B, con investimenti medi di 5 milioni di euro in fase early e growth stage. Stiamo inoltre lavorando a un progetto che ci consentirà di supportare anche startup in fasi meno mature. I nostri investimenti coprono diversi settori, tra cui Enterprise Software, Cybersecurity, Healthtech, Fintech, Energy, Transportation e Foodtech. Riteniamo l’intelligenza artificiale un elemento strategico per molti modelli di business e stiamo sviluppando una practice dedicata al Deeptech, che include verticali come Spacetech, Computing e Robotics.
Come le selezionate?
La selezione delle startup avviene attraverso un approccio strutturato e multidimensionale. Da un lato, sfruttiamo il nostro ampio network internazionale per individuare opportunità mirate e valutiamo le candidature dirette ricevute da startup o advisor; dall’altro, conduciamo un’attività costante di ricerca proattiva attraverso il nostro investment team, che sviluppa “intelligence” su settori e geografie di interesse. Questo ci consente di identificare startup promettenti ancora prima che attirino l’attenzione del mercato. Ogni opportunità viene poi analizzata con un rigoroso approccio data-driven, garantendo decisioni basate su razionali concreti e misurabili.
Come?
Abbiamo creato la business unit “Data Insight” con l’obiettivo di aumentare l’efficienza e l’efficacia del nostro processo di investimento integrando le pratiche data-driven nei flussi di lavoro. Oggi contiamo su una funzione automatizzata in grado di identificare e analizzare le opportunità provenienti da varie fonti, analizzare e strutturare i dati nel nostro Crm assegnando loro un punteggio rispetto alla nostra tesi di investimento. Questo accelera il nostro processo di screening di oltre il 50%, migliora l’accuratezza e riduce i pregiudizi. Siamo stati tra i primi venture capital al mondo ad investire su questo approccio che pensiamo ci garantirà un vantaggio competitivo, anche se il tocco umano dell’attività – l’intuizione e la competenza del team- rimane fondamentale.
Come sta oggi il venture capital italiano?
Siamo passati da investimenti quasi pari a zero a inizio millennio, ad investire stabilmente tra 1 e 2 miliardi all’anno. Siamo ancora lontani dalla dimensione raggiunta dal settore in altre economie europee e lontanissimo dagli Usa dove il venture capital è partito negli anni 60, ma le fondamenta del settore in Italia sono ormai salde. Ci sono tante aziende promettenti sul mercato, diverse exit e casi di successo e qualche primo fondo che ha generato dei rendimenti da questa attività fondamentale per l’economia. Si è creato l’ecosistema, che, come ha ricordato Draghi, è cruciale per l’innovazione. Ora dobbiamo farlo crescere, anche creando maggiore interesse degli investitori istituzionali in questa asset class strategica in grado di offrire rendimenti a doppia cifra.
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