L’influencer non è un testimonial

di Nicola Bertona, ceo e founder di 247production Partito come fenomeno cavalcato da pochi – ai tempi, giovani – millennials (Gen Y) e centennials (Gen Z), l’influencer marketing si è trasformato in un mercato che, solo nel 2024, è valso 4,06 miliardi di euro. Secondo il rapporto I-Com 2024 (“La Creator Economy in Italia: Dinamiche, […] L'articolo L’influencer non è un testimonial proviene da Economy Magazine.

Jan 15, 2025 - 02:44
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L’influencer non è un testimonial

di Nicola Bertona, ceo e founder di 247production

Partito come fenomeno cavalcato da pochi – ai tempi, giovani – millennials (Gen Y) e centennials (Gen Z), l’influencer marketing si è trasformato in un mercato che, solo nel 2024, è valso 4,06 miliardi di euro. Secondo il rapporto I-Com 2024 (“La Creator Economy in Italia: Dinamiche, Impatti e Sostenibilità nell’Ecosistema Digitale”), infatti, l’influencer marketing, quest’anno, ha generato lavoro a tempo pieno per circa 51.382 (occupazione sia diretta che indiretta) per una revenue media annuale di 84.028 a influencer. Nonostante questi numeri in crescita (la spesa per l’influencer marketing è cresciuta del 33% dal 2020 al 2023), la cosiddetta “Creator Economy” rimane ancora per molti difficile da decifrare, spesso, a causa della difficoltà per alcuni a capire chi sono davvero i suoi protagonisti. Volente o nolente, il concetto di influencer marketing nel nostro Paese è ancora legato alla figura del “Testimonial”. Vuoi per retaggio culturale, vuoi per la diffidenza verso coloro che hanno fatto dell’intrattenimento digitale una professione, chi si espone al pubblico per promuovere un brand viene assimilato a un semplice volto – meglio se famoso – che svolge una funzione di rappresentanza.

Non serve essere esperti del settore, però, per rendersi conto che questa definizione non si adatta più – se mai lo è stato – al concetto di influencer. L’influencer non promuove semplicemente un prodotto ma costruisce una narrazione del brand che ne valorizza l’identità, instaurando, al contempo, un rapporto di fiducia con il proprio pubblico. L’attività dell’influencer “moderno”, infatti, si caratterizza per la sempre crescente attenzione alla creazione di contenuti di qualità elevata, con un carattere artistico, informativo e di intrattenimento senza precedenti. Questo unito alla trasparenza, all’autenticità e alla specializzazione dello stesso, permette di raggiungere specifiche nicchie di audience e di fidelizzarle. Parallelamente, la multicanalità ne ha rafforzato il ruolo, permettendogli non solo di intrattenere, ma anche di coinvolgere attivamente un pubblico, sempre più desideroso di sentirsi parte di una comunità. Questa evoluzione ha portato alla nascita di un “ecosistema” intorno ai brand personali degli influencer, in cui la relazione con i follower si basa su empatia e reciprocità.

Non è un caso, quindi, che si parli sempre più di “Content Creator”, definizione che risalta le qualità di autore e performer dell’influencer. Con milioni di utenti e una continua fruizione di contenuti, però, può verificarsi la proliferazione di creatori simili e, quindi, il rischio di saturare l’ambiente digitale. Per questo diventa importante distinguere i content creator proprio sulla base delle rispettive competenze autorali – creatività e storytelling – e per le doti di performer a tutto tondo. Emergono, quindi, due principali categorie: il “Talent Content Creator” e il “Content Creator”. Il primo è riconosciuto non solo per la sua presenza digitale, ma anche per il proprio background artistico (TV, radio, teatro e cinema) con cui aiuta i brand a diventare “registi” della propria comunicazione, creando un intrattenimento crossmediale capace di posizionare immediatamente il marchio su scala nazionale. Il “content creator”, invece, si concentra sulla trasformazione del brand in un “comunicatore innovativo e contemporaneo”, garantendone una presenza costante e dinamica sulle piattaforme digitali e costruendo uno storytelling che, in sintonia con i valori aziendali e con il suo pubblico di riferimento, si adatta anche a raggiungere le nuove generazioni.

Sono proprio queste le caratteristiche che rendono l’influencer una risorsa estremamente preziosa per le aziende che riconoscono nel suo pubblico la propria customer base. Guardando al futuro, si può ipotizzare una maggiore presenza dell’intrattenimento digitale sulle piattaforme “Over the Top” (OTT) come Netflix, Amazon Prime Video, Disney+, Discovery+, Rai Play e altre. La crescente richiesta di contenuti originali e di nicchia, insieme alla capacità dei content creator di raccontare storie in modo autentico, li rende candidati ideali per collaborazioni con queste piattaforme adattando i propri contenuti ai format tipici delle OTT. Sicuramente, la tendenza verso contenuti brevi e “snackable” che si adattano perfettamente all’ecosistema di tali piattaforme può far supporre che, già nel 2025, potremo assistere a una crescente integrazione di formati digitali crossmediali, non solo sui social ma anche su piattaforme di intrattenimento globali.

Dal punto di vista dei brand, invece, l’espansione dell’influencer marketing in ottica OTT li porterà ad ampliare le proprie strategie di comunicazione per sfruttare nuovi canali, ancora più adatti a mantenere il contatto con generazioni “vecchie” e nuove, superando, sempre più, i confini della tradizionale pubblicità digitale.

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