Dazi in agguato, ma l’Asia resta un mercato dalle grandi potenzialità
La Deputy Head of Equities Asia Pacific di abrdn, Pruksa Iamthongthong, esamina le incertezze per la regione con l'arrivo di Trump. Ma gli stimoli cinesi e le opportunità dalle nuove filiere globali sono fattori positivi. L'articolo Dazi in agguato, ma l’Asia resta un mercato dalle grandi potenzialità proviene da FundsPeople Italia.
Con l'arrivo di Trump alla guida degli Stati Uniti, i dazi rappresentano il principale interrogativo per i mercati asiatici nel 2025. Tuttavia, l'impatto dipenderà da quali Paesi e settori saranno colpiti e dall'entità delle tariffe stesse. Tra le nazioni più a rischio c'è la Cina, stando agli annunci fatti sinora dal nuovo presidente. Pruksa Iamthongthong, Deputy Head of Equities Asia Pacific di abrdn, invita però a evitare un pessimismo eccessivo: il mercato interno cinese, se sostenuto da adeguate misure di stimolo governative, potrebbe mitigare gli effetti negativi dei dazi sulle esportazioni. Inoltre, l’Asia offre opportunità anche al di fuori del Dragone, grazie alla crescita di mercati come l'India e i Paesi dell'ASEAN (l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico), tra cui Malesia, Thailandia, Singapore e Vietnam. Queste nazioni emergenti stanno beneficiando della riconfigurazione delle catene di fornitura globali e della strategia "Cina +1" adottata dalle multinazionali per diversificare la produzione e ridurre i rischi legati alla dipendenza esclusiva dalla Cina.
L'incognita dei dazi
“Il nostro team globale di ricerca macroeconomica ha individuato tre scenari diversi in base a quanto Trump sarà aggressivo nelle proprie politiche e nei dazi. Per quanto riguarda la Cina, nel nostro caso base, prevediamo che i dazi potrebbero aumentare fino al 60%. Ma non per tutte le categorie di beni: alcune saranno soggette a tariffe più alte, mentre altre saranno oggetto di negoziati. In media, ci aspettiamo che i dazi medi salgano dall’attuale 16% a circa il 35-40%, un incremento comunque significativo, che rappresenta una pressione sulle esportazioni del Dragone nel corso dell’anno”, avverte la specialista di abrdn intervistata da FundsPeople.
Questo secondo Iamthongthong significa che, mentre lo scorso anno la crescita economica cinese è stata supportata da esportazioni forti, un fattore che ha compensato alcune debolezze domestiche, il prossimo anno la situazione sarà probabilmente inversa: le esportazioni potrebbero essere penalizzate, mentre il mercato interno potrebbe beneficiare di nuovi stimoli economici. “Diversi segnali confermano l’idea di un cambiamento nella strategia di Pechino con maggiori stimoli per supportare i consumi interni. Il rischio maggiore per la Cina oggi è che faccia troppo poco e troppo tardi per affrontare le sfide del Paese. Tuttavia, con l’inasprirsi delle politiche di Trump, questa eventualità sembra meno probabile, perché il governo sarà costretto a intervenire. Lo scorso dicembre i leader del Partito Comunista Cinese durante la Central Economic Working Conference hanno indicato l'aumento dei consumi come priorità assoluta per guidare la crescita economica nel 2025. Siamo ancora in attesa dei dettagli delle misure, che saranno resi noti nei prossimi mesi”, analizza.
I tre elefanti nella stanza di Pechino
Da tempo la Cina attraversa una fase di difficoltà che si è riflessa in un calo degli investimenti esteri. Ma Iamthongthong osserva come dallo scorso settembre ci sia stato un cambio di direzione da parte del Governo centrale con una maggiore decisione ad intervenire per risollevare le sorti dell’economia. “Ci sono tre ‘elefanti nella stanza’ per la Cina. In altre parole, tre grandi questioni strutturali che la indeboliscono: le difficoltà finanziarie dei governi locali, la crisi del settore immobiliare e la debolezza dei consumi. Non sono dei problemi isolati, ma interconnessi, ed è per questo che la situazione è piuttosto complessa”; spiega l’esperta. “Ma la notizia positiva è che il governo appare determinato a portare avanti la sua azione, affrontando questi problemi uno alla volta. I primi interventi sono stati indirizzati per sanare le finanze dei governi locali che potranno ricominciare a remunerare le imprese e i lavoratori riavviando l’economia. Nei prossimi mesi, l'attenzione della politica si concentrerà sugli altri due ‘elefanti’: real estate e i consumi. Questi saranno i settori chiave da osservare da qui in poi”, dice.
Opportunità in Asia
Passando all’Asia nel suo complesso, Iamthongthong precisa che i Paesi della regione hanno driver economici molto diversi tra loro e non tutti avranno le stesse ripercussioni per i dazi. Secondo l’esperta di abrdn, un Paese relativamente più isolato dagli effetti delle tariffe è l’India, per l’ampiezza del suo mercato domestico. “Circa l’80% del PIL indiano deriva dal mercato interno”, evidenzia l’esperta. “Inoltre, l’India ha un export di servizi rilevante: ad esempio, l’India esporta servizi IT in outsourcing negli Stati Uniti, un settore che potrebbe addirittura beneficiare dei tagli fiscali americani previsti da Trump, che andrebbero a stimolare ulteriormente la spesa in tecnologie”, dice. “E anche dal punto di vista dei fondamentali, la crescita strutturale indiana rimane solida, con una previsione del PIL intorno al 6,5% il prossimo anno. Sebbene si stia assistendo a una leggera decelerazione rispetto al passato, si tratta comunque di un tasso di crescita tra i più alti al mondo”, sottolinea la manager.
Iamthongthong prevede opportunità anche nella regione ASEAN, che reputa spesso trascurata, ma che sarà centrale nella nuova fase della globalizzazione che coincide con il ritorno di Trump e che definisce ‘Globalizzazione 3.0’. “In questa fase, la riconfigurazione delle catene di approvvigionamento iniziata con la prima guerra commerciale degli USA contro la Cina continuerà, ma in modo più veloce rispetto al passato per le nuove politiche di dazi. Ma il cambiamento dovrebbe essere meno doloroso, perché le aziende hanno già testato delle strategie per adattarsi a questo contesto negli ultimi anni. In questo scenario, Paesi come Malesia, Thailandia e Singapore diventano beneficiari di investimenti in settori avanzati come i chip, mentre il Vietnam sta attraendo filiere elettroniche giapponesi e coreane. Questa nuova fase non riguarda solo la delocalizzazione forzata per trovare delle alternative alla Cina, ma un processo di riconfigurazione delle catene di approvvigionamento più efficiente e digitalizzato, che finirà per rafforzare la produzione globale”, spiega Iamthongthong.
“Non tutte le nuove tariffe avranno dunque effetti negativi. Se la domanda di beni e servizi resterà forte, la produzione si sposterà verso Paesi con costi competitivi e supply chain già sviluppate. Non tutta la produzione può tornare di colpo negli Stati Uniti, sia per ragioni economiche che strategiche. Una parte significativa della produzione rimarrà quindi delocalizzata. Nei prossimi mesi sarà cruciale analizzare l’impatto delle nuove tariffe per comprendere queste dinamiche”, conclude.
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